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Cicli astronomici e cicli climatici

Che il clima terrestre dipenda da fattori orbitali è un dato di fatto, anche se di questi tempi qualcuno tende a sminuire l’importanza delle cause naturali nel determinare i cambiamenti climatici. Eppure una lunga schiera di scienziati si è occupata delle possibili influenze dei cicli astronomici su quelli climatici. Tutti conoscono il celeberrimo ciclo di Milankovic che sembra essere alla base delle glaciazioni terrestri. In passato mi sono occupato diverse volte di Tzedakis et al., 2012 in quanto reputo tale articolo fondamentale per comprendere l’evoluzione del clima sulle lunghe distanze. In tale articolo viene illustrato un interessante meccanismo di innesco degli interglaciali, basato su diverse concause: obliquità dell’orbita terrestre, precessione, insolazione terrestre e concentrazione di gas serra. Secondo Tzedakis et al., 2012 un interglaciale si innesca quando tutti i fattori sono in fase tra di loro: basta che uno solo di essi vada fuori fase e l’interglaciale salta.

A questo punto abbiamo tirato in ballo due parametri orbitali in grado di influenzare il clima terrestre: precessione ed inclinazione dell’asse di rotazione terrestre (detta anche obliquità) che sono legati al ciclo di Milankovic. Esiste, però, anche un altro parametro orbitale che non possiamo trascurare, ovvero l’eccentricità dell’orbita terrestre. Questo parametro è regolato dall’influenza gravitazionale di Venere e Giove e subisce piccole variazioni con periodo di circa 405.000 anni. Oltre a questi cicli di lungo periodo, dobbiamo ricordare cicli di periodo molto più breve come l’alternarsi del giorno e della notte, le stagioni, i vari cicli solari di cui il più noto è quello undecennale e tanti altri.

In questo grafico semplificato, tratto da qui, sono visualizzati alcuni di questi cicli:

A questo punto la cosa diventa molto intrigante in quanto tutti questi cicli, interferendo tra di loro, rendono oltremodo complessa la comprensione delle influenze astronomiche sul sistema climatico terrestre. Se a tutte queste cause esterne associamo le variabilità interne (correnti oceaniche, correnti atmosferiche, copertura nuvolosa, gas serra, azioni delle specie viventi, vulcani, scambi energetici e fluidodinamici, ecc., ecc.), comprendiamo che quello climatico è, forse, uno dei sistemi più complessi con cui possiamo avere a che fare. Ai giorni nostri la linea di pensiero principale sostiene che questo sistema così complesso e governato, fortunatamente, da forze assolutamente fuori del nostro controllo, possa essere modellato matematicamente, in modo da prevederne l’evoluzione, solo sulla base di pochi parametri fisici, tra cui il più importante è il forcing determinato dai gas serra di origine antropica, principalmente diossido di carbonio. Io sono piuttosto scettico in proposito, ma la mia è un’opinione, informata, ma pur sempre un’opinione e, come tale, non condivisa dai più.

In questo post è mia intenzione esaminare più da vicino uno dei parametri orbitali che ho citato di sfuggita nei paragrafi precedenti: l’eccentricità terrestre. E’ stato pubblicato da pochi giorni su PNAS ed ha suscitato parecchio clamore mediatico, l’articolo:

Empirical evidence for stability of the 405-kiloyear Jupiter–Venus eccentricity cycle over hundreds of millions of years di D. V. Kent, P. E. Olsen, C. Rasmussen, C. Lepre, R. Mundil, R. B. Irmis, G. E. Gehrels, D. Giesler, J. W. Geissman e W. G. Parker (da ora Kent et al., 2018).

La prima firma dell’articolo è un ricercatore che si occupa dello studio del campo magnetico fossile della Terra. Come è ben noto il campo magnetico terrestre è soggetto a oscillazioni che vanno dalle semplici anomalie ed escursioni magnetiche, alle inversioni vere e proprie del campo geomagnetico.    Anche queste anomalie appaiono piuttosto misteriose ed i ricercatori, allo stato, hanno elaborato solo delle ipotesi circa le loro cause. Torniamo, però, all’eccentricità orbitale terrestre ed alla sua variabilità.

Gli astronomi conoscono molto bene il periodo della variazione dell’eccentricità dell’orbita terrestre, determinato dalle influenze gravitazionali di Giove e Venere, e sono riusciti a ricostruirne la storia sulla base di calcoli numerici relativamente agli ultimi 50 milioni di anni di storia del pianeta. Per le epoche precedenti il calcolo non è affidabile a causa dei molti parametri in gioco. Vediamo ora come questo periodo viene utilizzato ai fini climatici.

Negli anni passati gli scienziati hanno studiato una carota di sedimenti proveniente dal bacino di Newark nel New Jersey, detta anche APTS, e hanno datato gli strati sulla base del periodo di 405.000 anni che caratterizza la variazione dell’eccentricità dell’orbita terrestre. In tale periodo l’eccentricità orbitale cambia di circa il 5% (l’orbita terrestre è ellittica con un’eccentricità molto bassa, tanto da essere considerata quasi circolare). La variazione di eccentricità orbitale è in grado di modificare il clima terrestre. In particolare nei periodi in cui l’orbita è più eccentrica, il clima terrestre diventa più estremo: estati più calde ed inverni più freddi ed i periodi umidi prevalgono su quelli secchi. Nelle epoche con eccentricità minore, invece, le cose vanno diversamente, in quanto il clima è meno estremo e più secco.

La diversità climatica dei vari periodi lascia le sue tracce all’interno dei minerali intrappolati nei sedimenti e consente quindi di datare gli stessi. Basare la datazione della serie di Newark sulla periodicità di 405.000 anni dell’eccentricità orbitale terrestre, significa però assumere che tale periodo sia costante per durate maggiori di 50 milioni di anni, e ciò non è certo a causa delle imprecisioni presenti nei metodi di calcolo di cui ho già parlato. Allo scopo di dirimere una volta per tutte la questione, Kent et al., 2018 analizza una carota prelevata nella Chinle Formation (una formazione rocciosa di origine vulcanica) affiorante nel Petrified Forest National Park in Arizona, allo scopo di determinare le età dei vari strati che la costituiscono, utilizzando degli isotopi di uranio e degli zirconi contenuti nella roccia. In tal modo gli autori hanno potuto datare anche le tracce fossili delle inversioni geomagnetiche presenti nella carota prelevata nella formazione di Chinle. L’ultimo passaggio dello studio è stato quello di confrontare le tracce delle inversioni magnetiche registrate nella carota di Newark, con quelle della carota della formazione di Chinle. Il confronto ha consentito di accertare che le tracce di inversione magnetica conservate nelle due carote erano perfettamente coincidenti, per cui è stato possibile datare con precisione, basandosi sulle transizioni magnetiche fossili, anche la carota di Newark per comparazione con quella della formazione di Chinle.

Kent et al., 2018, ha potuto pertanto accertare sperimentalmente che la periodicità di 405000 anni nella variazione dell’eccentricità dell’orbita terrestre, è presente in tutti gli ultimi 215 milioni di anni e quindi rappresenta una regolarità senza precedenti nella storia terrestre.

Un’altra conclusione dello studio è che durante il tardo Triassico si è registrato un periodo caratterizzato da un clima molto più caldo di quello odierno di cui ignoriamo la causa scatenante. Anche in tale arco di tempo la periodicità di 405.000 anni ha esercitato la sua influenza: quando l’eccentricità era maggiore, il clima era più umido e si formavano profondi laghi; quando l’eccentricità era minore il clima diventava più secco e i laghi si prosciugavano.

Kent et al., 2018 ha potuto accertare in modo empirico che effettivamente la variazione di eccentricità dell’orbita terrestre, è in grado di modificare il clima terrestre. Milankovic, per esempio, non diede molta importanza all’eccentricità orbitale, privilegiando precessione e obliquità, ma gli studi eseguiti da Kent e colleghi, hanno consentito di rivalutare l’importanza di questo parametro orbitale.

Con questo non voglio assolutamente dire che le variazioni climatiche odierne siano da imputare alla variazione di eccentricità, ma semplicemente sottolineare che abbiamo avuto la conferma che la variazione dei parametri orbitali determina il clima terrestre, quanto la variazione di altri parametri, ad esempio la concentrazione di CO2. Questo, per esempio, ha sempre sostenuto il prof. Scafetta nei suoi studi sulle relazioni tra variazione del clima terrestre e parametri astronomici. Egli non ha mai negato che il diossido di carbonio possa determinare il clima terrestre, come non lo nego io, ma quanto influisce la concentrazione di CO2 e quanto i parametri astronomici o quelli naturali endogeni al sistema climatico? A queste domande si preferisce non rispondere, anzi si preferisce ribattere con insulti, sostenendo che chi le fa, nega la scienza. A me non sembra. Anche alla luce di questo studio che evidenzia ancora una volta quanto poco sappiamo del sistema climatico.

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Published inAttualitàClimatologia

20 Comments

  1. Lucia M.

    Ricordo un grafico che metteva in relazione le temperature, periodi di grand Solar Minimum e diminuzione del dipolo magnetico terrestre, vi risulta?

  2. giulio03

    Articolo interessante, ma siamo certi che nell’ambito dell’ultimo milione di anni il ciclo di 405.000 anni abbia lasciato prove evidenti di sè? Mi riferisco a evidenze riscontrabili in carotaggi nei ghiacci o nei sedimenti.
    Grazie,

    • donato b,

      Giulio,
      oltre che in Kent et a., 2018, l’argomento è stato trattato in de Boer et al., 2014 (in buona sostanza una reanalisi dei risultati di Lisiecki e Raymo, 2005). Lisiecki e Raymo, 2005 hanno esaminato una serie stratigrafica che copre circa 5,3 milioni di anni, derivandone una ricca messe di dati di prossimità.
      Una disamina degli ultimi due lavori citati, si può trovare, arricchita di contributi originali, in un articolo a firma di L. Mariani e F. Zavatti pubblicato su CM e reperibile all’indirizzo
      http://www.climatemonitor.it/?p=51555.
      Ciao, Donato.

  3. ale.meteo

    il deserto sembrerebbe il risultato di un’evento climatico estremo e durevole nel tempo.
    Quello che manca di contorno è la gradualità negli stadi di glaciazione.. L’interstadiale fa sempre parte di una glaciazione, diversamente si parlerebbe di altro..

    Saluti

    Immagine allegata

  4. Guido Botteri

    a mio parere questo è un articolo fondamentale per la comprensione di quel che per ora si sa delle forzanti climatiche. La cosa impressionante è la chiarezza con cui è scritto, e di cui ringrazio Donato.
    Quando si parla con chiarezza ci si espone alle critiche degli avversari, e questo testimonia l’onestà e la competenza del nostro autore, a cui va il mio plauso.
    Infatti diceva Einstein che si può parlare chiaro quando si è padroni della materia. Viceversa chi parla in maniera molto oscuramente tecnica ha magari qualcosa da nascondere.
    A questo proposito vorrei citare una frase di Galileo Galilei
    “Parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma chiaro pochissimi.”
    e, seppur qui fuori tema, visto che parliamo di Galileo, vorrei aggiungere un’altra sua frase, che mi pare assai significativa nel discorso sulla climatologia
    “Le verità scientifiche non si decidono a maggioranza.”

    • donato b.

      Caro Guido,
      ti ringrazio, ma sei stato troppo buono. 🙂
      Ciao, Donato.

  5. rocco

    In geologia l’utilizzo dei cicli dei parametri orbitali dell’orbita terrestre e dell’asse di rotazione viene chiamato ciclostratigrafia. Viene correntemente utilizzata per datare i sedimenti. Contando a ritroso dal presente al passato i numeri di cicli litologici o variazioni cicliche dei proxies si possono datare le rocce con una certa accuratezza fino almeno alla base del miocene, ma anche in epoche più antiche. I sedimenti marini nel Mediterraneo rispondono bene al segnale dell’insolazione. L’insolazione, cioè la quantità di energia che colpisce una data latitudine (in genere si usa i 65 gradi N, dove le variazioni sono più evidenti), varia con periodo 19-23 Kyr ed è fortemente modulata dalla precessione, ma anche dai cicli di eccentricità a periodicità circa 100, 400 e 1200 Kyr. Anche l’obliquità ha il suo effetto sull’insolazione. In particolare si pensa che fasi di precessione minima e eccentricità massima favoriscano uno spostamento verso nord del monsone estivo africano e un aumento di intensità; ciò provocherebbe un aumento della portata del Nilo tale da cambiare la circolazione termoalina del Mediterraneo. Attualmente siamo in una fase di minimo di eccentricità (100kr e 400kr) e in un minimo di insolazione (circa). Per inciso siamo in un interglaciale…

    • donato b

      Rocco, grazie per il tuo interessante contributo.
      Hai scritto che attualmente ci troviamo in una fase caratterizzata da eccentricità minima ed insolazione minima. Sulla base di quanto hanno scritto Kent et al., 2018, ci dovremmo trovare di fronte a stagioni meno estreme a causa della bassa eccentricità. La bassa insolazione dovrebbe rendere il clima più fresco. Cosa succeda combinando le due circostanze, resta, però, un mistero.
      Ciao, Donato.

    • robertok06

      “ciò provocherebbe un aumento della portata del Nilo tale da cambiare la circolazione termoalina del Mediterraneo.”

      Ho paura che questo non sia piu’ necessariamente vero da almeno 1/2 secolo, cioe’ da quando la diga di Assuan ha radicalmente cambiato il profilo temporale stagionale delle piene del Nilo… non a caso il delta di quel fiume si sta restringendo e provocando grossi problemi a causa della quantita’ ridotta di sedimenti che arrivano al Mediterraneo.
      Ma non c’e’ problema… sicuramente i modelli climatici tengono conto a perfezione ANCHE di questo effetto antropico… 🙂

      Saluti.

    • ale.meteo

      Tutto il sistema è autorigenerante (ovunque..) Quindi più piove sul fronte intertropicale, più aumenta il senso meridiano e “disorienta” l’anticiclone delle Azzorre.. nel 2014 ho letto spesso a ponte con l’alta di Groelandia.
      Il clima trascina con se sempre effetti climatici del passato e lontano passato.

      Viene a pensare ad un assetto ENSO diverso, se la La Niña sta ora mostrando un’aumento significativo delle piogge nel Mediterraneo centrale. Perché poi ciò che è giunto di recente dall’Atlantico è provenuto molto basso in latitudine. Diciamo che ora c’è un’oscillazione in corso.. 🙂

      Resta da capire perché salirebbero questi monsoni, un’aumento della portata del Nilo è concomitante ad un’aumento delle precipitazioni, dell’attività monsonica sull’Africa equatoriale orientale. Le anomalie positive/negative delle precipitazioni, sembrano periodiche.

      Non è detto che la tendenza climatica sia un riscaldamento globale. Questo perché permangono effetti di un clima meno secco lungo l’intero fronte intertropicale africano. Non è detto che andiamo verso un clima “statico” caldo-umido. Non è detto che andiamo verso una repentina glaciazione, mi sembra impossibile.

      Penso un’ritorno ad un clima emisferico boreale generalmente più freddo, un fronte polare più espanso. Questo prepara alle lontane postere generazioni umane (se ci saranno) la vera glaciazione in arrivo.

      Contando la bassa attività solare, la qbo ed il recente raffreddamento eurasiatico ( di cui si notano ancora gli effetti..)Tutto mi sembra a rigor di logica collegato ad un raffreddamento dell’emisfero boreale e brevemente, se pensiamo agli equilibri delle masse glaciali, quanto affermano Surendra Adhikari ed Erik Ivins, (JPL NASA)
      mi pare molto interessante, ma incompleto. 🙂

      In sintesi dal 2003 l’asse terrestre dalla Baia di Hudson si sta spostando verso le Isole britanniche.

      Il destino del clima dipenderà dalla situazione predominante in corso d’opera. La Terra non è un pendolo..

      Grazie mille e Saluti
      🙂

      Immagine allegata

  6. Caro Donato, ottimo articolo molto, molto chiaro. Avevo guardato velocemente l’articolo di Kent et al. ma, colpevolmente, lo avevo trascurato pensando che i 405 mila anni fosse un effetto quasi impercettibile rispetto ai cicli di Milankovic, in particolare rispetto a quello di 100 mila anni e alle sue variazioni nel tempo. Grazie a te vedo che questo ciclo ha la sua importanza e merita di essere considerato con maggiore attenzione. Ciao. Franco

    • donato b.

      Caro Franco, come vedi questi benedetti cicli che tanto ci appassionano, fanno capolino un po’ ovunque con buona pace di chi nega a priori qualsiasi regolarità nel clima terrestre. D’accordo che esso è un sistema non lineare caotico, ma questi periodi o pseudo periodi sono in ogni caso presenti e rappresentano forti indizi della presenza di attrattori che sono in grado di stabilizzare il sistema nello spazio delle fasi.
      Ciao, Donato.

  7. Luca Rocca

    In questa scala temporale scompaiono fenomeni catastrofici come l’eruzioni del trappo siberiano o di quello nord americano. Non si vede neanche l’effetto dei licheni sul periodo carbonifero. L’influenza solare sembra che copra il 99% delle grandi variazioni climatiche

    • donato b.

      Non credo che fenomeni endogeni, come quelli da te elencati, non influenzino il clima. I cambiamenti climatici derivano, secondo me, da una serie di concause che, tutte insieme, possono innescare, bloccare, modificare un cambiamento climatico. Il sistema è troppo complesso per ridurre tutto ad una sola causa. Prendiamo, per esempio, gli interglaciali. Secondo Tzedakis et al., 2012 per innescare un interglaciale è necessario che si verifichino contemporaneamente diverse condizioni: l’obliquità e la precessione modificano l’insolazione nell’emisfero nord, ma da sole non riescono a innescare l’interglaciale. C’è bisogno che la concentrazione di CO2 raggiunga un certo livello e, solo allora, iniziano una serie di processi che portano al capovolgimento di AMOC e, infine, ad un riscaldamento globale a distanza di alcuni secoli dal verificarsi delle condizioni favorevoli alla fine del periodo freddo. Secondo qualche studio:
      Ruddiman 2005
      .
      http://www.lescienze.it/news/2005/05/01/news/quando_iniziammo_ad_alterare_il_clima-585004/ 9
      .
      e CNR 2015
      .
      http://www.climatemonitor.it/?p=38274&cpage=1
      la concentrazione particolarmente elevata di CO2 atmosferica potrebbe aver ritardato l’innesco di un periodo freddo (fine dell’attuale interglaciale).
      I fattori in gioco sono tanti per cui è sempre limitativo preferirne uno solo.
      Ciao, Donato.

  8. Maurizio Rovati

    Caro Donato.
    Facendo una breve ricerca ho trovato che la variazione dell’eccentricità ha un periodo di circa 92000 anni, quindi non so come salti fuori il periodo di 405000 anni da te riportato. Anche ammesso (il dubbio ce l’ho) che 92000 sia un semi periodo (il tempo di passaggio dalla minima alla massima eccentricità) il periodo dovrebbe essere al massimo di 184000 anni. C’è una spiegazione?

    • Donato Barone

      Caro Maurizio,
      il ciclo di 400.000 anni è quello più importante ed è visibile sul diagramma schematico che ho allegato all’articolo. Esso è frutto dell’interazione gravitazionale della Terra con Giove e Venere. Le oscillazioni dell’eccentricità non sono, però, frutto della sola interazione gravitazionale tra Giove, Venere e Terra, ma anche delle interazioni con gli altri pianeti. Saturno, Giove e Terra creano un sistema a tre corpi che origina l’oscillazione a 92000 anni di cui tu parli. Tornando sempre al grafico allegato al post, si nota come la curva che rappresenta l’andamento dell’eccentricità dell’orbita terrestre in funzione del tempo, presenta dei massimi principali con periodo di 400000 anni circa e dei massimi secondari con periodi inferiori, circa 95000 anni. Dovrebbe essere presente anche un periodo di 136000 anni circa che va a sovrapporsi ai primi due, ma su questo non ho molte notizie: ne ho trovato traccia solo in alcuni articoli, ma non mi hanno convinto.
      Il periodo delle oscillazioni dell’eccentricità dell’orbita terrestre è, pertanto, il risultato della composizione di diversi periodi corrispondenti alle diverse interazioni gravitazionali tra i pianeti costituenti il sistema solare e la Terra.
      Ciao, Donato.

    • Maurizio Rovati

      Ok, grazie.

    • donato

      Grazie.
      Ciao, Donato.

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