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Più cavalli per tutti

È di qualche settimana fa la notizia che la compagnia petrolifera statale norvegese, nota da mezzo secolo come Statoil, ha cambiato nome: da oggi in poi si chiamerà Equinor. Un cambiamento volto a “riflettere i cambiamenti in corso e supportare la strategia della Company orientata alla sicurezza, al valore e alla de-carbonizzazione (sic)”.

Maledetto petrolio

Nulla di nuovo sotto il sole per il settore petrolifero, che più di altri avverte la necessità di darsi una verniciata di verde in quanto vittima predestinata della retorica sulle emissioni di CO2. In origine fu la BP, altrimenti nota come British Petroleum, a lanciare nel 2002 una costosissima campagna da 200 milioni di dollari per cambiare il simbolo in un più accattivante sole/fiore che sprigionava raggi verdi. Il tutto accompagnato dallo slogan “Beyond Petroleum”, a suggerire l’abbandono dell’impopolare idrocarburo nello stesso periodo in cui la compagnia abbracciava la narrativa sull’effetto serra.

Soltanto pochi mesi fa era toccato alla danese DONG (Danish Oil and Natural Gas) cambiare il suo nome in Ørsted, e a questo cambiamento pare essersi ispirata la stessa Statoil. Con  una piccola differenza: mentre la DONG aveva già abbandonato completamente il business dell’Oil & Gas per dedicarsi in massima parte allo sviluppo di campi eolici offshore, la Statoil continua a macinare utili grazie alla produzione di disgustosi e puzzolenti idrocarburi. Ma tant’è, la decisione ormai è presa e il management ci spiega anche che il nuovo nome, grazie alla particella “equi”, richiama termini come “uguale” o “uguaglianza”.  Cosa c’entrino queste parole dagli echi vagamente marxisti con la produzione di greggio, si fa davvero fatica a capirlo.

Questione di marketing

Il punto, semmai, è un altro: i manuali di strategie di mercato insegnano che è vantaggioso collegare il nome di una compagnia con l’industria in cui opera, se non altro per una mera questione di riconoscibilità. Gli esempi sono innumerevoli, da Volkswagen a FIAT passando per Facebook o Twitter e tanti, tantissimi altri. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, tale riconoscibilità si acquisisce semplicemente col tempo.

Alla luce di queste considerazioni la scelta di Statoil è a dir poco controversa: si butta nella pattumiera un marchio noto e vecchio di 50 anni per sostituirlo con uno più politically correct ma del tutto sconosciuto, e soprattutto dal significato equivoco. Equinor a molti fa pensare ad un business nel campo dell’ippica. Non a caso, è il nome di un prodotto veterinario per curare la gastrite nel cavallo, e la stessa Statoil ha dovuto ammettere di aver liquidato una clinica veterinaria equina di Oslo chiamata proprio Equinor per poter far suo l’ambito marchio.

Etica nordica

In realtà Equinor potrebbe anche far pensare ad un fondo di private equity. E il collegamento dell’industria petrolifera norvegese con la finanza non è casuale. Il fondo pensione norvegese (il più grande al mondo con il suo trilione di dollari di investimenti) è altrimenti noto come “Oil Fund”, essendo stato fondato nel 1990 per reinvestire gli utili dell’industria petrolifera: ché fu proprio la scoperta del petrolio nel Mare del Nord a trasformare un paese depresso e sottosviluppato nell’economia moderna e tecnologicamente avanzata di oggi.

Ma i tempi per fortuna sono cambiati, la pancia dei norvegesi è piena (grazie al petrolio) e quindi ci si può concedere il lusso di una ripulita. Fatto sta, che l’Oil Fund nel 2017 ha annunciato l’abbandono degli investimenti nell’industria petrolifera. Per presunti motivi economici (incomprensibili, vista la performance dei petroliferi in borsa) ma soprattutto “etici”: ché l’olio causa il global warming, esattamente come il carbone, bandito dallo stesso fondo solo qualche anno prima. Eppure nessuno si è fatto particolari scrupoli etici mentre l’Oil Fund si ingrassava a dismisura grazie al “Quantitative Easing”: quella che per molti versi si può leggere come la più grande operazione di trasferimento di risorse dai poveri ai ricchi mai sperimentata nella storia della finanza moderna.

Niente di nuovo sotto il sole

È il solito gioco di specchi in cui tutto si confonde, l’apparenza vale più di qualsiasi contenuto e il Politically Correct usa la sua bacchetta magica per trasformare spregiudicati speculatori finanziari in enti di beneficienza, e società petrolifere in fiorellini verdi, manifesti egualitari marxisti o cavalli con la gastrite.

PS: In un contesto del genere, il fatto che gli stessi salotti nordici del politicamente corretto apostrofino il popolo italiano con epiteti quali “scrocconi”, “mendicanti”, “nullafacenti” ocorrottisuona solo come un complimento. Un magnifico complimento.

E allora più cavalli per tutti. E lunga vita al Global Warming.

 

 

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Published inAttualità

4 Comments

  1. ale.meteo

    Bisogna sempre correre dietro a queste nazioni, quando in pratica la nostra economia “mediterranea” è profondamente diversa. Cioè asserisco che il boom economico italiano c’è stato perché si è raggiunto un fisiologico apice e domanda ed offerta soddisfavano i nostri bisogni (export che funzionava). Più recentemente la crescita e benessere evolvevano di pari passo, (domanda ed offerta lavoro) Poi tutto è gradualmente involuto. In pratica è tutto cambiato seguendo gli altri (non specifichiamo i percosi, economie, poteri forti..)

    Di recente, l’invasività di certe economie ha prodotto gravi squilibri nelle economie mediterranee, ma anche guerre. Per dirne una, poco tempo fa.. c’erano politici italiani che volevano vendere tratti di mare ai francesi. C’è stato qualcuno che ha venduto sottomarini ai greci, poi ha avuto il coraggio di fare certe affermazioni, poi ancora ne ha venduti agli israeliani.
    Senza elencare recenti titoli di quotidiani esteri o commenti di certi loro politici.. In pratica la crisi greca è iniziata dopo aver ospitato le olimpiadi.

    Si pensi a ciò che è accaduto in Grecia. Oppure le guerre che il petrolio ha causato questi ultimi venticinque anni.. Ci fu chi bruciò pozzi di petrolio durante un’invasione armata di noi occidentali.

    Politically Correct

    • Fabrizio Giudici

      c’erano politici italiani che volevano vendere tratti di mare ai francesi

      Comunque si sono corretti: alla fine glieli hanno regalati.

  2. Luca Maggiolini

    L’ipocrisia al suo massimo livello.
    La stessa che porta (o ha portato):
    – i boss di certe compagnie americane del petrolio a far parte del board decisorio di Greenpeace, come probiviri.
    – il WWF che ha tra i suoi fondatori un noto produttore di diossina.
    – i francesi a scagliarsi contro l’olio di palma per favorire la propria colza .
    – sempre i francesi (tra i peggiori di tutti nel campo specifico) a demonizzare altri per poi finanziare la guerra civile contro i cristiani in Africa nel Darfour (grazie a Total che ha l’esclusiva dello sfruttamento!!!), ricchissimo di petrolio o nella zona del Senegal per le miniere di terre e metalli rari.
    – i norvegesi, così puliti a casa loro, che ingrassano sul petrolio. Certo rinunciano ad investirvi (ohhhh che bravi…) ma non a vendere il loro. Ohhhh come sono verdi….. Perchè non smettono di estrarlo? Perchè altrimenti tornerebbero a mangiare cipolle come 50 anni fa scarsi…. Gli stessi che vieteranno la vendita di auto NON elettriche tra qualche anno. (PS: io preferirei restare bloccato in una tormenta di neve a -30 gradi con un’auto a idrocarburi che con una SOLO a batterie, poi fate voi)
    – i tedeschi del dieselgate; delle porcate immonde fatte con le banche (praticamente TUTTE salvate dallo stato); della inverencoda questione-Grecia: questi signori danno lezioni agli altri. Che i trucchetti col diesel li abbiano fatti tutti lo sanno anche i sassi ma perlomeno state zitti voi che siete stati beccati, no?

    Ecco, questi signori si alzano in piedi e pontificano….

    • DarioC

      Concordo 100%.

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