Salta al contenuto

Con la lente sugli uragani

Come tutti gli appassionati di questa materia sanno bene, oggi ha ufficialmente inizio la stagione degli uragani nell’Oceano Atlantico. Del carattere che avrà la stagione naturalmente ne parleremo in corso d’opera e alla fine, tenendo presenti il primo outlook della NOAA uscito come sempre a pochi giorni dall’inizio della stagione e il successivo aggiornamento che sarà disponibile prima ad agosto, ossia quando, stando alle serie storiche, sarà vicino il picco stagionale.

Gli uragani sono la manifestazione del meteo estremo per eccellenza, sia per dimensione che per intensità dei fenomeni associati, ed quindi logico che la ricerca si sia concentrata spesso sulle serie storiche per cercare di individuare – se esistenti – dei segnali di condizionamento della frequenza e dell’intensità degli eventi negli ultimi decenni. Neanche a dirlo, le proiezioni climatiche, che pure non hanno ad oggi nessuna chances di scendere alla scala spaziale e temporale in cui si sviluppano i cicloni tropicali e questo sarebbe già sufficiente ad evitare speculazioni, “vedono” dei cambiamenti significativi per l’intensità dei fenomeni associati agli uragani, non lasciando invece presagire modifiche importanti nella loro frequenza di occorrenza.

Tuttavia, già diversi anni fa, nello Special Report dell’IPCC sugli eventi estremi, abbiamo letto che in merito ai cicloni tropicali, vuoi per l’inaffidabilità delle serie storiche, vuoi perché i numeri comunque non lo supportano, non si identificano trend significativi. Quindi, in soldoni, il materiale di cui si dispone ad oggi non conferma le proiezioni modellistiche e non permette di fare valutazioni con la necessaria robustezza scientifica.

Nonostante ciò, ovviamente, gli uragani continuano a formarsi , ora dando vita a stagioni intense, ora scomparendo quasi del tutto ad esempio dalle coste dell’America settentrionale, come avvenuto ad esempio in modo del tutto fortuito negli anni dal 2005 al 2016. Per ovvie ragioni di prevenzione e protezione delle popolazioni e per altrettanto ovvi interessi assicurativi, l’analisi sulle serie storiche disponibili continua, nella speranza di identificare dei trend o di apprendere comunque qualcosa in più sull’argomento.

L’intensità degli uragani, specie se riferita a più eventi nell’arco di una stagione, si misura con l’indice ACE (Accumultaed Cyclone Energy), dalla cui lettura, anche soltanto facendo “eyeballing” si evince che di trend non se ne parla, pur in un contesto di forti e frequenti oscillazioni del segnale sia ad alta che a bassa frequenza. Roger Pielke Jr, scienziato che si è spesso occupato di questi argomenti, ha ripreso appena oggi su Twitter uno studio di recente pubblicazione che ha applicato alle serie storiche dell’ACE una metodologia di analisi già impiegata per altre serie storiche di parametri climatici, un metodo che si concentra appunto sui massimi di intensità che questi raggiungono.

https://twitter.com/RogerPielkeJr/status/1002145609476784128

La metodologia si chiama ACI (Actuaries Climate Index) ed èstata sviluppata con lo scopo specifico di trasmettere le informazioni nel modo più chiaro possibile agli stakeholder, siano essi decisori politici e realtà interessate a vario titolo a questo genere di dati; quello che vedete sotto, è il grafico del risultato dell’analisi:

Nel tweet segnalato trovate ovviamente il link a tutto il paper, di cui però riporto le conclusioni qui di seguito:

The methodology presented in this paper produces an index of tropical cyclone activity worldwide and by region, consistent with the methodology used for the Actuaries Climate Index. Such an index can be easily updated and analyzed periodically. Worldwide ACEstd since 1985, the period with good satellite data, is probably not long enough to credibly measure the effects of climate change on tropical cyclone activity. The two most unusual years for worldwide ACEstd were 1992 and 1997, the only years more than two standard deviations above the reference period mean. In the 20 years since then, there have been 14 below average years and only 6 above average years. The warm temperature component of the Actuaries Climate Index[3], and global temperature studies, have shown rapidly increasing anomalies since the late 1970s. Evidence that these warmer temperatures, along with warmer oceans, have increased the frequency and intensity of tropical cyclones remains to be seen.

Pur con la conferma dei caveat realtivi all’affidabilità e lunghezza delle serie disponibili, anche secondo questa metodologia di calcolo non ci sono evidenze che l’aumento della temperatura sia dell’aria che dello strato superficiale marino, abbiano avuto alcun effetto sulla frequenza e sull’intensità dei cicloni tropicali.

Da leggere e tenere a mente nei prossimi mesi, quando gli uragani appariranno in Atlantico (e speriamo il meno possibile sulle coste atlantiche) e saranno accreditati come “certa evidenza del disfacimento climatico in corso”.

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
Published inAttualità

Un commento

  1. virgilio

    Probabile che verificatosi qualche effetto compatibile con AWG molti mass-media lo enfatizzeranno, al contrario taceranno. In genere x= 1 viene inserito nel conto invece se x= 0, x= -1 …nisba.
    Così il risultato quando non positivo è ignorato e se ne cerca in altro ambito un altro confacente.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »