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Deglaciazioni e Circolazione Oceanica (AMOC)

Vi sono dei periodi storici in cui gli scienziati ed i mezzi di comunicazione di massa si concentrano su argomenti che fino a quel momento avevano trascurato. E’ quello che sta accadendo con le correnti termoaline e, in modo particolare, con la Corrente del Golfo. Lo scorso mese di aprile ho avuto modo di occuparmi di essa commentando due articoli scientifici che discutevano il rallentamento della Corrente del Golfo e le sue cause (qui su CM). Solo pochi giorni fa G. Guidi ha pubblicato un post, segnalando un altro articolo che indagava gli stessi temi e giungeva alla conclusione che le variazioni di velocità della Corrente del Golfo potessero avere cause naturali (qui su CM).

Due giorni fa su Nature Communications è stato pubblicato l’articolo a firma di Hong Chin Ng ed altri colleghi (da ora Ng et al., 2018).

Coherent deglacial changes in western Atlantic Ocean circulation

Come ormai ben sanno i lettori di CM, la circolazione termoalina distribuisce su tutto il globo terrestre il calore che gli oceani immagazzinano nella fascia equatoriale. Con il termine AMOC (acronimo che sta per Atlantic Meridional Overturning Circulation) si intende il complesso sistema di correnti marine che caratterizza l’Oceano Atlantico e la cui componente più famosa è proprio la Corrente del Golfo. Appare ovvio che variazioni della velocità dell’AMOC, siano capaci di influire profondamente sulle condizioni climatiche di tutto l’emisfero nord, per cui non stupisce che gli scienziati siano alla continua ricerca delle cause che determinano queste variazioni. Qualche anno fa L. Mariani ha dedicato a questa tematica un  post su CM che illustra sinteticamente il funzionamento di AMOC e la sua influenza su eventi climatici improvvisi come gli eventi di Heinrich o quelli di Dansgaard-Oeschger.

Nel post dello scorso aprile ho cercato di confrontare due tesi contrapposte: una attribuiva il rallentamento della Corrente del Golfo a cause naturali, l’altra lo imputava a cause antropiche. In quell’occasione feci notare che il lavoro che attribuiva le variazioni di velocità della Corrente del Golfo a cause naturali, era viziato dal fatto che le misurazioni riguardavano sedimenti trasportati dal ramo freddo della corrente a nord di Capo Hatteras, per cui potevano rendere conto di eventi locali che, quindi, non riguardavano l’intero sistema che definiamo AMOC.

Ng et al., 2018 sembra essere riuscito a eliminare questo problema, in quanto basa i suoi risultati su un record di tredici campioni prelevati da svariati siti oceanici. In linea di principio lo studio cerca di mettere in relazione la velocità dell’AMOC o, per essere più precisi, la sua capacità di trasportare calore, con bruschi cambiamenti climatici ben documentati. I ricercatori hanno individuato tre eventi che hanno caratterizzato il periodo temporale compreso tra l’ultima glaciazione e l’Olocene: Heinrich Stadial 1 (~ 19-15 mila anni fa), Bølling-Allerød (~ 15-13 mila anni fa) e Younger Dryas (~ 13-11 mila anni fa). Successivamente hanno esaminato tredici carote di sedimenti di cui si conosce la cronologia stratigrafica. Nei sedimenti presi in esame, gli studiosi hanno individuato il rapporto tra le concentrazioni di due radionuclidi: il 231Pa ed il 230Th.  Questi due isotopi sono presenti anche negli oceani odierni secondo rapporti ben precisi, determinati da diversi fattori, tra cui la velocità delle correnti oceaniche. Secondo Ng et al., 2018 il rapporto isotopico 231Pa/230Th costituisce, pertanto, un dato di prossimità efficace per individuare la velocità delle correnti oceaniche, in corrispondenza dei cambiamenti climatici presi in considerazione. Nell’immagine che segue, tratta dalla fig. 1) di  Ng et al., 2018, possiamo vedere i siti da cui sono stati estratti i tredici campioni.

Fig. 1: I cerchi ed i quadrati rappresentano i punti di prelievo dei campioni, le croci rappresentano i punti di prelievo dei campioni su cui sono state effettuate analisi granulometriche per individuare grani di diametro inferiore ai 63 micrometri.

La metodologia si basa sul fatto che i radionuclidi presi in esame, vengono prodotti secondo un rapporto ben preciso (circa 0,093). A causa dei diversi tempi di permanenza in acqua (50-200 anni per 231Pa contro 10-40 anni per 230Th), il rapporto tra i due isotopi nei sedimenti è diverso da quello di produzione. I radionuclidi vengono adsorbiti, infatti, dalle particelle trasportate dalle correnti oceaniche profonde e, a causa del diverso tempo di permanenza in acqua dei due isotopi, si verificano degli scambi tra radionuclidi che alterano il rapporto tra di essi. A migliaia di chilometri dal punto di produzione, il rapporto 231Pa /230Th  cambia e rappresenta una “firma” del trasporto laterale e delle vicende che caratterizzano la colonna d’acqua sovrastante il ramo profondo della corrente oceanica. I dati oceanici odierni ci consentono di stabilire una firma isotopica corrispondente allo stato attuale dell’AMOC, valori inferiori o superiori del rapporto 231Pa /230Th , rappresentano un indice di maggiore o minore velocità della corrente oceanica. Valutando il rapporto isotopico nei campioni di sedimenti risalenti a diverse migliaia di anni fa, siamo in grado di stimare la velocità delle paleocorrenti. I ricercatori hanno fatto ricorso, ovviamente, a metodi di calibrazione che sono illustrati nell’articolo liberamente accessibile e che in questa sede tralascio di descrivere, per non appesantire eccessivamente la discussione.

Nell’immagine che segue (tratta dalla fig. 2 di Ng et al., 2018), sono riportati i valori del rapporto 231Pa /230Th negli ultimi venticinquemila anni, determinato per i vari campioni studiati.

Fig. 2): Nel riquadro a) i dati relativi all’Atlantico occidentale; nel riquadro b) i dati relativi alle medie latitudini dell’Atlantico orientale e nel riquadro c) i dati relativi ai sedimenti dell’Atlantico equatoriale orientale. Le bande colorate (rosso, verde e blu) rappresentano le categorie alto, medio e basso rapporto isotopico ed i numeri in parentesi i campioni di cui alla precedente figura 1).

Sulla base dei risultati ottenuti e condensati nella figura 2, Ng et al., 2018 hanno potuto concludere che il rapporto 231Pa /230Th,  assume valori diversi per l’Atlantico occidentale e quello orientale: ad alti valori del rapporto 231Pa /230Th  nell’Atlantico occidentale, corrispondono valori più bassi del rapporto 231Pa /230Th  nell’Atlantico orientale e viceversa. Soffermiamoci ora su quanto accade nell’Atlantico occidentale. Durante l’ultimo massimo glaciale (LGM) i valori del rapporto 231Pa /230Th nell’Atlantico occidentale rientravano nella fascia media, successivamente, con l’avvento dello Heinrich Stadial 1, essi sono aumentati fino a portarsi  a valori simili a quelli di produzione, per ridiscendere in corrispondenza dell’evento caldo di  Bølling-Allerød. Durante lo Younger Dryas i dati sono un po’ contrastanti, ma con l’avvento dell’Olocene, i valori del rapporto  231Pa /230Th  si sono definitivamente ridotti ed hanno assunto i valori attuali con oscillazioni  di periodo millenario o multimillenario. Nell’Atlantico orientale l’andamento è qualitativamente simile, ma cambiano i valori del rapporto tra i radionuclidi.

Questi sono i dati. Dobbiamo cercare, adesso, di comprendere le implicazioni che questi dati comportano da un punto di vista climatico. La prima cosa che salta agli occhi è che gli eventi climatici improvvisi sono correlati alla velocità dell’AMOC a livello globale. Premesso che correlazione non è causalità, possiamo presumere, però, che variazioni nella velocità dell’AMOC determinano i cambiamenti climatici in quanto tali variazioni di velocità, a lume di logica, comportano variazioni della quantità di calore che AMOC veicola alle alte latitudini.

Ciò che è ancora più interessante è che, nel caso di Heinrich Stadial 1, il momento in cui inizia ad aumentare il rapporto 231Pa /230Th, non coincide con il rilascio dei detriti glaciali provenienti dalla calotta della Laurentide (come si evince dai confronti con le serie granulometriche), ma con i detriti fluviali di origine euro-asiatica. In altre parole la fusione delle calotte glaciali terrestri ad oriente del bacino atlantico, avrebbe riversato nel Golfo di Biscaglia acque dolci che avrebbero determinato un primo rallentamento dell’AMOC. Questo rallentamento determinò un accumulo di acque calde sub superficiali nella parte nord orientale dell’Atlantico che innescò, successivamente, il distacco di quelle flotte di iceberg che hanno generato i depositi di detriti che furono studiati verso la fine degli anni ’80 del secolo scorso da Heinrich e che caratterizzano quegli eventi climatici che da lui presero il nome. Detto in altri termini, gli eventi di Heinrich (almeno quello stadiale 1) sono caratterizzati da due fasi ognuna delle quali è contraddistinta da cause diverse che hanno influenzato, però, la circolazione termoalina nella sua globalità.

Con la fine dello stadiale di Heinrich si verificò una diminuzione del rapporto 231Pa /230Th che coincide con il riscaldamento conosciuto come evento di Bølling-Allerød. Secondo Ng et al., 2018, questo evento coincise con un aumento della velocità di AMOC come dimostra la drastica riduzione del rapporto 231Pa /230Th. Stranamente, però, questo periodo climatico è caratterizzato da una scarsa presenza di detriti fluviali e glaciali: è come se i ghiacci non si sciogliessero. Si tratta di un controsenso in quanto ad un periodo caldo, non corrisponde fusione glaciale. Del resto l’andamento del livello del mare ed altri dati di prossimità, dimostrano che in quel periodo geologico i ghiacciai si fusero, per il rinvigorimento dell’AMOC, non può essere considerata un effetto della mancata fusione dei ghiacci.  E con questo siamo giunti a toccare il tallone di Achille di questo studio. Perché AMOC è diventata più forte? Ng et al., 2018 attribuisce il rinvigorimento di AMOC ad un aumento della CO2 atmosferica ed a giustificazione di tale tesi invoca un recente studio (Zhang et al., 2017) che sulla base di elaborazioni modellistiche, sembra aver individuato nella variazione della concentrazione di diossido di carbonio atmosferico,  la causa delle variazioni di velocità di AMOC. Personalmente non sono molto d’accordo, mi sembra più un modo per aggirare un ostacolo che per risolvere il problema. Che esiste ed è grosso. Senza questa spiegazione, infatti, dovremmo dedurre che il maggiore tasso di fusione dei ghiacci non rappresenta una causa del rallentamento dell’AMOC, ma una conseguenza delle variazioni di velocità della circolazione termoalina e dovremmo buttare alle ortiche tutto quanto detto a proposito del precedente stadiale di Heinrich.

Passando al successivo evento climatico, noto come Younger Dryas, le cose si fanno ancora più complicate: le serie di dati relative al rapporto 231Pa /230Th non sono univoche, ma presentano valori che variano in una forchetta estremamente alta. Sappiamo che questo è stato un periodo freddo, per cui ci saremmo aspettati alti valori del rapporto 231Pa /230Th. Non è così per cui mi viene il dubbio che questo metodo di stima della velocità di AMOC presenta qualche criticità che deve essere ancora risolta. Mi convince poco la spiegazione fornita da Ng et al., 2018: durante l’evento dello Younger Dryas il clima era molto più variabile e, quindi, le calotte glaciali molto più instabili ed AMOC più sensibile a piccole variazioni climatiche.

Ho riflettuto molto su questo articolo che non è di facile comprensione e, probabilmente, non sono riuscito a cogliere tutte le sfumature dei ragionamenti degli autori, ma alla fine sono restato piuttosto perplesso. Inizialmente mi ha entusiasmato l’idea che potesse essere stato individuato un metodo in grado di collegare tutta l’AMOC ai cambiamenti climatici globali, ma poi questo entusiasmo è calato man mano che individuavo delle criticità nelle scelte fatte da Ng e colleghi. Essi erano partiti, per esempio, dall’esame di oltre trenta campioni, ma alla fine hanno riportato i risultati relativi a quei tredici che manifestavano maggiore coerenza. Le motivazioni addotte per giustificare la scelta,  potrebbero anche essere condivisibili, ma la cosa rappresenta un punto di debolezza. A questo, infine, si devono aggiungere le perplessità che ho evidenziato nelle righe precedenti. Nel complesso un lavoro molto impegnativo, ma che non riesce a risolvere tutti i problemi sul piatto: funziona alla grande per l’evento Heinrich Stadial 1, ma questo dipende, forse, dalle operazioni di sintonizzazione delle serie di dati. Alla fine bisogna concludere che il legame tra clima ed AMOC è ancora largamente da scoprire, per cui continueremo ancora a lungo (spero non tanto) a chiederci se sia AMOC a determinare il clima o viceversa.

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Published inAttualitàClimatologia

6 Comments

  1. donato b.

    Luca, discorso molto difficile quello che introduci!
    Partiamo dalla relazione tra CO2 e temperatura. Credo tu ti riferisca alla figura 3 dell’articolo. In effetti si vede chiaramente che la concentrazione di CO2 tra 20000 e 10000 anni fa è cresciuta di circa 100 ppm. Il grafico che la rappresenta, non ha nessuna delle oscillazioni che contraddistinguono le temperature e questo la dice lunga sulla relazione tra diossido di carbonio e temperatura atmosferica. Se la relazione tra concentrazione di diossido di carbonio e temperatura atmosferica fosse di tipo proporzionale, allora dovremmo vedere un grafico delle temperature che segue da vicino quello della concentrazione di CO2. Questo mi sembra, però, che non accada, in altre parole è necessario individuare altri meccanismi che spieghino le oscillazioni delle temperature, diversi da quelli che vengono proposti.
    .
    Con questo non voglio dire che non esiste legame tra concentrazione di CO2 e temperature, ma che esso è più complesso di quanto si creda.
    .
    Circa l’altro punto (concentrazione di 14C in atmosfera), concordo con te circa la relazione inversa con la concentrazione di CO2. Concordo, inoltre, circa il legame tra raggi cosmici e nuvole, per cui una variazione nel flusso di raggi cosmici comporta una variazione del tasso di nucleazione delle nuvole e, quindi, una variazione dell’indice di copertura nuvolosa che comporta, a sua volta, una variazione del bilancio radiativo terrestre. Anche in questo caso, però, l’andamento monotono della variazione della concentrazione di 14C, mal si concilia con le variazioni della temperatura.
    .
    Personalmente credo che la relazione tra temperatura, concentrazione di CO2 atmosferica e flusso di raggi cosmici, sia molto più complessa di quanto sembri e, in tutto ciò, non escluderei influenze astronomiche che non sono state indagate nell’articolo, ma che abbiamo visto all’opera in altre ricerche.
    .
    Il clima terrestre è una macchina estremamente complessa di cui ancora non riusciamo a comprendere appieno il funzionamento. Anche in questo caso abbiamo capito dove va a collocarsi qualche tassello, ma non siamo in grado di collocarne altri, forse non li abbiamo neanche individuati. 🙂
    Ciao, Donato.

    • Luca Rocca

      Penso che l’andamento rettilineo dei rapporto C02 , 14C sia dovuto ad un interpolazione lineare che sarebbe la scelta più ovvia data la scarsità di dati. In un lasso di tempo simile dovrebbero almeno verificarsi diversi cicli astronomici con ordine di tempo fra i cento ed i mille anni . Mi incuriosiva il fatto della coincidenza fra un evento di riscaldamento ed il cross dei grafici di CO2e 14C.
      In una fase glaciale, l’ umidità in atmosfera dovrebbe essere più bassa e anche in presenza di un alta dose di raggi cosmici la enucleazione delle nubi dovrebbe essere poco importante . In fase di riscaldamento aumenta la CO2 e si riducono i raggi cosmici ma al cross fra i due andamenti sia ha un massimo relativo sia della quantità di C Ray sia di CO2 la condizione ottimale per la formazione di nubi e di conseguenza della genesi di un effetto serra da H2O

    • ale.meteo

      il clima è una macchina complessa si, ma le oscillazioni climatiche sui rispettivi emisferi sono ben evidenti. Cioè Quel che precede un evento climatico è rilevabile su determinate aree emisferiche, dalle dinamiche meteorologiche prevalenti attualmente sui di un area.

      In sintesi si dovranno aspettare, almeno, decine e decine di migliaia di anni, prima della prossima glaciazione. Quello che è imminente, è un brusco calo delle temperature ai poli. Questo nel corso dei prossimi 5000, anni porterà a condizioni climatiche avverse in determinati periodi, ma nel complesso si manterranno favorevoli per la civiltà umana, per come la conosciamo. La chiave è l’oscillazione della famosa isoterma 10°C. Quell’isoterma che a Luglio stabilisce l’area del circolo polare Artico. Un’oscillazione che nel tempo porterà l’isoterma a ridosso delle Isole britanniche, facendola allontanare dalle Isole aleutine. Sarà un raffreddamento altalenante e l’eclittica ed inclinazione dell’asse terrestre, favoriranno perciò la stabilizzazione del clima boreale sull’emisfero Nord. Riguardo a ciò che avviene in Antartide, mi viene da pensare che la vera glaciazione la stia subendo l’emisfero Sud, ora. Mentre sull’emisfero Nord, ci sia una pausa dopo l’apice wurmiano.

      Osservare ciò che è avvenuto nel quaternario, comprendere che il periodo wurmiano è lunghissimo e l’olocene sia una convenzione: da una parte, su riferimenti geologici, rende evidente un deglaciazione avvenuta sull’emisfero Nord, dall’altra parte sia semplicemente per convenzione, il periodo più recente della storia del pianeta Terra.

      Si tende ad esagerare sia come in un senso, di riscaldamento, sia nel senso del raffreddamento globale.
      l’Apice wurmiano, è dato da parametri orbitali terrestri complessi ed un ratio di raffreddamento graduale e costante, che permane nell’era attuale: il quaternario, con olocene era convenzionale più che altro. Attualmente il clima sull’emisfero Nord, tende ad essere caldo-umido, rotta un bariera tenderà ad essere sempre più freddo, nel corso dei prossimi 25 000 anni. Di fatto è ora caratterizzanto dalla tendenza ad avere un clima boreale, con ampie foreste di conifere. Osservare il quaternario, non il cretaceo o il giurassico. Il permiano, inizia con il termine di una glaciazione e vaste aree della Pangea, poi furono caratterizzate da deserti estremamente caldi e secchi. Mentre di fatto nel paleogene la posizione dei continenti porta a risultati differenti, e le oscillazioni climatiche diventano più che complesse.

      Vista l’attuale e costante piovosità in aumento, la forza dei monsoni, sulle aree tropicali. L’intensità delle onde planetarie in risposta a tale attività tropico/equatoriale. Più che altro definirei l’evoluzione della nostra stella e ne cercherei di simili. Poiché è il contenuto della stessa stella ad essere particolare.

      Immagine allegata

  2. Avevo notato un paio di cose pubblicate in questo articolo
    La prima che non c’era correlazione fra le oscillazioni di temperatura del periodo e l’andamento della CO2, la seconda che esisteva una correlazione inversa fra CO2 e C14
    Il C14 è un indicatore dell’ incidenza dei raggi cosmici e esiste una relazione inversa fra attività solare e raggi cosmici. Ho trovato in diversi siti di astronomia i grafici relativi ai cicli undiciennale del sole
    Anche se non c’è probabilmente una relazione evidente all’ argomento dell’ articolo pare che i raggi cosmici siano connessi alla formazione delle nubi.
    Ma la cosa che mi aveva colpito di più è che c’e una coincidenza fra il cross del grafico del C14 e della CO2 in corrispondenza del picco in Late HS1 fra CO2 quasi che per avviare un ciclo caldo sia necessario la combinazione di raggi cosmici e concentrazione di CO2, Lo ammeto è solo un’ipotesi ma avrei piacere di avere un suo parere

    Sembra che non carichi il commento, se fosse duplicato per favore cancellatelo

  3. Luca Rocca

    Avevo notato un paio di cose pubblicate in questo articolo
    La prima che non c’era correlazione fra le oscillazioni di temperatura del periodo e l’andamento della CO2, la seconda che esisteva una correlazione inversa fra CO2 e C14
    Il C14 è un indicatore dell’ incidenza dei raggi cosmici e esiste una relazione inversa fra attività solare e raggi cosmici. Ho trovato in diversi siti di astronomia i grafici relativi ai cicli undiciennale del sole
    Anche se non c’è probabilmente una relazione evidente all’ argomento dell’ articolo pare che i raggi cosmici siano connessi alla formazione delle nubi.
    Ma la cosa che mi aveva colpito di più è che c’e una coincidenza fra il cross del grafico del C14 e della CO2 in corrispondenza del picco in Late HS1 fra CO2 quasi che per avviare un ciclo caldo sia necessario la combinazione di raggi cosmici e concentrazione di CO2, Lo ammeto è solo un’ipotesi ma avrei piacere di avere un suo parere

    • ale.meteo

      Non c’è un relazione diretta.. esiste un discostamento, temperature, CO2. Sono in relazione ma sfasate: il clima raffredda, si mette in moto la CO2 poi il clima si riscalda avviene una deglaciazione.. A gradoni si scende verso il basso e con l’ascensore si sale verso l’alto.

      Quando c’è la più bassa percentuale di vapore acqueo atmosferica, sei dentro un apice glaciale. Bassa latenza oceanica e bassa latenza di fusione glaciale.

      Quando un ghiacciaio si scioglie rilascia una notevole quantità di energia in atmosfera. Riparte il ciclo.

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