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Livello dell’Oceano globale e del Mediterraneo e loro spettri

Premessa
L’annunciata serie di articoli sul livello del Mediterraneo, di Donato Barone, di cui è uscita la prima puntata su CM, mi ha spinto a ricontrollare i risultati di due miei articoli precedenti, sulla crescita e l’accelerazione del livello del mare in varie zone del globo, tra cui l’Italia, il primo (d’ora in poi CM49) e sulla presenza dello shift climatico della fine degli anni ’80 del secolo scorso nei dati mareografici del Mediterraneo il secondo (d’ora in poi CM83).

Poi, un commento di Robertok06 all’articolo di Donato Barone mi ha rimandato alla tesi di dottorato (2016) di Marco Olivieri dove, tra le molte informazioni interessanti, si accenna ad una possibile periodicità di 60 anni presente nelle misure.
L’articolo di Olivieri e Spada del 2013, sempre citato da Robertok06, mi è sembrato meno interessante ai fini di questo articolo. Forse si possono trovare lavori e dati globali più completi (ad es. Jevrejeva et al, 2008; Colorado Univ. Sea Level Research GroupEPA).

Ho quindi deciso di utilizzare i dati EPA (medie annuali globali) per verificare la presenza del periodo di circa 60 anni riferito nella tesi di Olivieri.

Nel riguardare i dati mensili delle stazioni del Mediterraneo, ho notato (v. fig.1, pdf) che la funzione di autocorrelazione (ACF) delle tre stazioni italiane presenta sistematicamente una maggiore persistenza, rispetto alle altre tre stazioni, che testimonia la necessità di correggere gli spettri per la memoria a lungo termine.

Fig.1: Confronto tra le ACF di tre stazioni italiane e tre stazioni dell’Adriatico orientale. Notare come le stazioni italiane contengano più persistenza delle altre. Il grafico in basso è lo zoom sui primi 5 mesi (lag).

Ricordo brevemente che per dati teorici non autocorrelati l’ACF vale 1 a lag 0 e 0 per tutti gli altri lag. Dati reali non autocorrelati avranno lo stesso andamento ma con fluttuazioni più o meno ampie attorno allo zero. Nel caso di figura 1, le stazioni della costa ex-jugoslava mostrano proprio fluttuazioni attorno allo zero, in particolare se si considera l’andamento asintotico; per le stazioni italiane l’oscillazione avviene attorno al valore 0.3 e mostra la presenza di memoria a lungo termine, anche se non particolarmente forte.

I Dati
Qui uso due tipi di dati:

  1. il livello marino medio globale disponibile sul sito dell’EPA (agenzia americana per la protezione dell’ambiente) come valori annuali dal 1880 al 2013 e
  2. il livello marino medio mensile di 23 stazioni mareografiche del Mediterraneo, disponibili al sito PSMSL; queste ultime sono le stesse mostrate in CM83 con l’aggiunta della stazione di Bakar (Croazia) e quindi sono vincolate alla presenza di dati nel periodo attorno allo shift climatico della fine degli anni ’80. L’estensione temporale di queste serie è compresa tra 28 e 143 anni. Rimando a CM83, al suo sito di supporto e al sito di supporto di questo articolo per tutti i valori disponibili.

Dati globali
I dati globali sono in figura2 (pdf) insieme ai fit lineare e parabolico e ai loro parametri.Da notare il valore dell’accelerazione molto vicino a quello pubblicato in Church and White, 2006 (0.013±0.006 mm/yr^2, da Olivieri, tesi, pag.27). Nei quadri in basso lo spettro Lomb a due livelli di dettaglio.

Fig.2: Dati annuali globali del livello marino e loro spettro Lomb. Nello spettro sono identificati i periodi (in anni) di molti massimi, indipendentemente dalla loro potenza. La “siepe” di massimi di bassa potenza nella parte sinistra dello spettro in basso è l’insieme delle firme di El Nino.

In questo spettro, oltre al massimo principale a 132 anni, il massimo di periodo 55-60 anni sembra confermare quanto scritto da Olivieri nella sua tesi e anche il fatto che le grandi oscillazioni oceaniche (AMO, NAO, AO, PDO, …) lascino un segno nello spettro del livello marino. I periodi tra 7.5 e 30 anni trovano anch’essi un riscontro nello spettro di NAO invernale (DJFM), ad esempio nella figura 6 di questo articolo su CM (in cui NAO è confrontata con l’Indice Mediterraneo MOI).

Nella “siepe” di massimi di bassa potenza e alta frequenza dei dati EPA si notano -pur non essendo indicati dal valore del periodo- quelli a ~1.3 e a ~3.9 anni e in generale quelli tra 1 e 7 anni (estremi esclusi) che identificano l’influenza di El Niño (ad es. qui, figura 5).

Quando, però, si osserva la funzione di autocorrelazione dei dati EPA di figura 3 (pdf) e la si confronta con quella della derivata prima numerica dei dati “osservati” si vede che una correzione è necessaria.

Fig.3: ACF dei dati globali EPA e confronto con l’ACF della derivata prima dei dati stessi. Si noti come la derivata cancelli quasi completamente l’autocorrelazione. Come ormai abituale, i valori di H (l’esponente di Hurst) non sono attendibili, essendo calcolati sull’ACF a lag 1 mentre dovrebbero tenere conto del valore asintodico dell’autocorrelazione.

La correzione, mostrata in figura 4 (pdf), cambia poco la distribuzione dei massimi spettrali (cancella il massimo a 132 anni e, forse, ne trasferisce in parte la potenza ai due massimi a 73 e 51 anni) ma cambia il rapporto tra le potenze, in particolare rendendo quella della “siepe” tra 1 e 7 anni ricordata sopra la maggiore di tutto lo spettro. I massimi tra 7 e 30-35 anni sono ancora facilmente identificabili.

Fig.4: I dati EPA e il loro spettro Lomb, dopo l’uso della derivata prima. Come in tutti i grafici, i periodi minori o uguali a 1 anno non vengono presi in considerazione, assumendo che rappresentino fluttuazioni stagionali.

In conclusione, i dati globali del livello del mare, dopo la correzione per la memoria a lungo termine, non confermano -o confermano in modo non troppo nitido e con bassa potenza- la possibilità di un periodo di 60 anni derivabile dai mareografi. Viene invece messa in evidenza l’influenza globale di El Niño.

Dati del Mediterraneo
Per le 23 stazioni mareografiche del Mediterraneo elencate nella tabella successiva ho calcolato gli spettri Lomb dei valori osservati e delle loro derivate prime ed anche le funzioni di autocorrelazione di entrambe.

Tide Gauge
Station
Country Range
(yr)
Extent
(yr)
Alexandria EG 1944-2006 63
Alexandroupolis GR 1969-2016 48
Alicante 1 ES 1952-1996 45
Alicante2 ES 1960-1996 37
Bakar CR 1930-2013 84
Ceuta ES 1944-2016 73
Genova1 IT 1884-1997 114
Iraklion GR 1984-2011 28
Khalkis-n GR 1969-2016 48
Khalkis-s GR 1977-2016 40
Khios GR 1969-2015 47
Koper SL 1962-1991 30
Malaga ES 1944-2013 70
Marseille FR 1885-2017 133
Nice FR 1978-2017 40
Port Vendres FR 1984-2017 34
Siros GR 1969-2016 48
Soudhas GR 1969-2011 43
Split1 CR 1952-2011 60
Thessaloniki GR 1969-2016 48
Trieste1 IT 1875-2017 143
Varna BG 1928-1996 69
Venezia4 IT 1909-2000 92

La tabella riporta il nome della stazione, la nazione, l’estensione temporale e l’intervallo dei dati. Il foglio di calcolo nel sito di supporto riporta anche la presenza di almeno un massimo spettrale nei 6 intervalli in cui sono stati divisi i periodi disponibili (1=presenza; 0=non presenza) e per l’intervallo 1-7 anni (El Niño) il dettaglio dei periodi su 6 intervalli. Le stesse informazioni sono ripetute per le derivate prime -i dati corretti per la persistenza. Dodici “brutali” istogrammi mostrano, anche in forma grafica, in quanti dei primi 6 intervalli sono presenti massimi spettrali.
Rimando al sito di supporto per i grafici e i valori numerici di tutte le stazioni, mentre i parametri dei fit lineare e parabolico sono qui.
Mostro a titolo di esempio il più breve (28 anni, Iraklion) e il più lungo (143 anni, Trieste1) dei dataset disponibili.

Fig.5: (pdf). Spettro dei valori osservati di Iraklion.
Fig.6: (pdf). Spettro delle derivate prime di Iraklion. Con una serie lunga 28 anni e con una mancanza di dati di circa 3 anni complessivi, il periodo molto debole di 35 anni deve essere considerato spurio o, almeno, soggetto ad una incertezza molto elevata.
Fig.7: (pdf). Confronto fra le ACF delle due serie precedenti.
Fig.8: (pdf). Spettro dei valori osservati di Trieste 1.
Fig.9: (pdf). Spettro delle derivate prime di Trieste 1.
Fig.10: (pdf). Confronto tra le ACF delle due serie precedenti.

In conclusione, i mareografi del Mediterraneo mostrano molte similitudini con il livello dell’Oceano globale;

 

  • in particolare il periodo 60-80 anni che viene registrato dalle serie osservate di adeguata lunghezza, ma che scompare con l’uso della derivata prima.
  • I periodi legati (presumibilmente) a El Niño sono massicciamente presenti nelle serie mediterranee (dal 100% dei casi per 1-2 anni al 50% per 6-7) e denotano una vasta influenza dell’oscillazione del Pacifico tropicale, anche dopo la correzione per la persistenza (ad es. per 6-7 anni la percentuale scende dal 50 al 46).
  • I periodi nell’intervallo 10-50 anni nel Mediterraneo si osservano anche negli spettri (sia osservato che corretto per la persistenza) dell’indice SOI (Southern Oscillation Index) calcolato dal BOM (Bureau Of Meteorology) australiano, che io ho chiamato SOIBOM, il più esteso tra quelli disponibili (1876-Nov.2016). SOIBOM e il suo spettro è disponibile sul sito dell’atlante spettrale o, su CM, qui.

Un’ultima curiosità: A pagina 40 della tesi di Olivieri si sottolinea l’esistenza di una relazione tra la lunghezza del record e l’accelerazione; questa relazione viene mostrata in forma grafica nella figura 2.9. Applicando lo stesso sistema ai dati del Mediterraneo (sia all’accelerazione che alla pendenza) si ottengono i grafici di fig.11 (pdf).

 

Fig.11: Relazione tra accelerazione e pendenza dei fit parabolici e lunghezza in anni dei dataset. Questa figura può essere confrontato con la figura 2.9 a pag.40 della tesi di Olivieri.

Le accelerazioni di dataset con estensione temporale minore di 50 anni sembrano essere più disperse di quelle con range più estesi. La relazione lineare tra range e accelerazione, per estensioni minori di 50, anni dovrebbe essere solo apparente e dovuta al numero non elevato dei dataset: infatti il confronto con la figura 2.9 di Olivieri mostra che in generale la dispersione più grande è simmetrica rispetto alla linea di accelerazione nulla.
Una situazione analoga si verifica con la pendenza, più stabile dopo i 50 anni di estensione del dataset.

Bibliografia

  • Church, J. A., White, N. J.: A 20th century acceleration in global sea–level. Geophys. Res. Lett.33, L01602, 2006.
  • S. Jevrejeva, J.C. Moore A., Grinsted and P. L. Woodworth: Recent global sea level acceleration started over 200 years ago? Geophys. Res. Lett.35, L08715, 2008.dx.doi.org/10.1029/2008GL033611
Tutti i dati relativi a questo post si trovano nel sito di supporto qui
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Published inAttualitàClimatologia

13 Comments

  1. @Robertok06
    ” Eh!… non è colpa sua, sono certo, ha dovuto includere la postilla canonica… uno dei coautori dell’articolo e relatore della tesi è A. Cazenave, nota filo-il-livello-del-mar-….glu-glu-glu… :-)”

    E’ vero per la ben nota Cazenave. Spero che Palanisamy non si sia fatto lavare troppo il cervello da tutto quel mare che cresce a rotta di collo! Franco

  2. donato b.

    Caro Franco, si dice che nel periodo estivo feriale si ha più tempo da dedicare ad interessi non professionali: nel mio caso non mi sembra che sia così. Solo ora ho trovato, infatti, un po’ di tempo per commentare il tuo interessantissimo articolo.
    .
    La prima cosa che balza agli occhi (almeno per quel che mi riguarda) è che la variazione del livello del mare Mediterraneo sembra accelerare.
    Se consideriamo, infatti, il diagramma riportato nel primo pannello della fig. 2, notiamo che il fit lineare (la cui pendenza rappresenta la velocità con cui varia il livello del mare), tende ad allontanarsi dai valori misurati successivi all’inizio di questo secolo. Potrebbe trattarsi di un’oscillazione anomala, ma non credo.
    Se consideriamo il fit parabolico, emerge chiaramente un’accelerazione.
    Ad una prima lettura dei dati, infatti, mi sembra che il fit parabolico interpoli meglio i dati di quello lineare, per cui mi sentirei di dire che esso sia in grado di rappresentare, meglio di quello lineare, la variazione del livello del mare rispetto al tempo. Detto in altre parole la velocità del livello del mare non è costante (fit lineare), ma tende ad aumentare. La quasi perfetta coincidenza con il dato globale, dimostra che la tendenza di variazione del livello medio globale del mare, stia aumentando sia a livello regionale che globale.
    .
    Nella parte finale dell’articolo le cose sembrano, però, ingarbugliarsi di nuovo. Le accelerazioni sono massime (e con elevati margini di variazione) per serie corte, tendono ad azzerarsi (con piccolissimi margini di variazione) per serie più lunghe.
    Questo fatto porterebbe a concludere che l’accelerazione della variazione del livello del mare, sia un artefatto di calcolo dipendente dalla ridotta lunghezza della serie.
    Da un punto di vista pratico l’accelerazione rilevata, sembrerebbe dipendere dal fatto che si è misurata una variazione del livello del mare in un periodo caratterizzato da forte crescita, non compensata, come accade per le serie più lunghe, da misure effettuate durante una fase di decelerazione della variazione del livello del mare.
    .
    Diversi anni fa il prof. Nicola Scafetta mise in guardia nei confronti di questo rischio e, mi sembra, che il tuo articolo ponga ben in evidenza la problematica. Un’ulteriore conferma della poca affidabilità delle serie corte per misurare l’accelerazione dell’aumento del livello del mare, si desume anche dal fatto che le serie corte, danno valori di accelerazioni positive e negative relativamente elevate (fig. 11 del tuo articolo).
    .
    Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che simili variazioni potrebbero essere anche il frutto di fenomeni locali dovuti alla subsidenza o di innalzamento della base mareografica che, come mi è sembrato di capire, tu non hai preso in considerazione.
    .
    A questo punto torniamo ai nastri di partenza: non siamo in grado di stabilire in modo univoco se il tasso di variazione del livello del mare è costante o variabile.
    Non c’è niente da fare: condannati a studiare nei secoli dei secoli! 🙂
    Ciao, Donato.

    • Caro Donato, a Bologna direbbero che il mio livello di “becchisia” (dopo dotte meditazioni credo si possa tradurre con “rincoglionimento”) è piuttosto elevato perché evidentemente non sono riuscito a spiegarmi bene, e allora cerco di rimediare:
      1) la figura 2 (pannello in alto) rappresenta il livello dell’oceano globale (non del Mediterraneo) i cui dati sono disponibili all’EPA (sono un collage di diversi dataset
      mensili, trasformati in valori annuali).
      2) Ad occhio sembra che il fit polinomiale “fitti” meglio di quello lineare, ma i dati dicono che non è vero: infatti il coefficiente di determinazione R^2 è di poco superiore per il fit lineare. Il coefficiente di correlazione (lineare) ρ è uguale, ma il senso di questo coefficiente in un fit polinomiale è quantomeno discutibile, per cui trascuriamolo.
      3) L’accelerazione dell’oceano globale c’é (almeno nei numeri) ma vale (13±1) micron/anno per ogni anno (μ/anno^2), fra l’altro praticamente uguale al valore di Church & White (2006), che non mi sembra una grande accelerazione, anche considerando quanti e quali “rimescolamenti” di dati hanno condotto a questo risultato. L’incertezza sull’accelerazione deriva solo dai residui del fit e non dagli errori di misura e di elaborazione, non disponibili ma sicuramente grandi.
      4) La relazione tra lunghezza del dataset e accelerazione -con valore discriminante di circa 50 anni- pone dei seri limiti al calcolo dell’accelerazione: in questo caso, avendo selezionato un sottoinsieme dei dataset disponibili, quello contenente i dati attorno alla fine degli anni ’80, avrei potuto calcolare l’accelerazione mediando 10 dataset con estensione da 60 a 143 anni e non sarei stato affatto sicuro della bontà del risultato.

      Tirando un po’ le somme, direi che da qualche parte del mondo il livello del mare accelera, da qualche altra parte decelera e nel resto del pianeta cresce in modo lineare, come avevo mostrato nell’articolo che ho chiamato CM49.
      Considero queste variazioni del tutto naturali e parte dell’insieme delle oscillazioni del pianeta che servono per tenerlo in equilibrio (più o meno da 4 miliardi di anni; e per fortuna che adesso c’è l’uomo che in 150 anni ha provveduto alla prossima sua distruzione. Dopo una vita tanto lunga, la Terra ha diritto al riposo che farà seguito alla sua fine. Viva l’uomo!). Ciao. Franco

    • donato b.

      Caro Franco, mi sa che in questo caso la “becchisia” sia un mio appannaggio, in quanto nel tuo articolo il paragrafo in questione era chiaramente intitolato “Dati globali”: sono stato io a prendere lucciole per lanterne. 🙂
      .
      Chiarito questo, qualche ulteriore spunto di riflessione riguardo al problema dell’accelerazione della variazione del livello del mare. Concordo con te che si tratta di valori assoluti estremamente ridotti: centesimi di millimetro all’anno che possono essere individuati solo con il calcolo statistico e non con dati strumentali in quanto i mareografi non hanno sensibilità dell’ordine dei micrometri (la sensibilità ordinaria è di un millimetro).
      Come tu ben sai, però, è su questo che si concentra la discussione circa il segnale climatico contenuto nella variazione del livello del mare. Se la variazione del livello del mare accelera, allora è il riscaldamento globale che lo determina. Se il trend di variazione del livello del mare non aumenta, allora il livello del mare non contiene il segnale climatico.
      .
      Alla fine del discorso appare evidente che i segnali sono contrastanti: la variazione del livello del mare accelera, rallenta, resta costante, dipende dalle zone ove lo si misura e dalle condizioni locali. Dipende, però, anche dalla variabile tempo, nel senso che il tasso di variazione del livello del mare non è costante per definizione, ma oscilla secondo periodi (o pseudo periodi) opportuni. Come già ho avuto modo di scrivere nel precedente commento, un mareografo può registrare un segnale caratterizzato da un aumento del tasso di variazione del livello del mare per un certo tempo e, raggiunto un punto di massimo, registrare dati che testimoniano una riduzione del tasso di variazione del livello del mare per un tempo paragonabile con quello durante il quale aumentava.
      Se consideriamo la media estesa all’intero periodo, contrariamente a quello che accade se si considerano intervalli inferiori, otteniamo un valore costante del tasso di variazione del livello del mare.
      .
      In questo senso possiamo parlare di dipendenza del tasso di variazione del livello del mare dalla lunghezza della serie di dati: a serie corte corrispondono accelerazioni (o decelerazioni) del livello del mare, a serie lunghe corrisponde un trend di variazione del livello del mare costante.
      Ciao, Donato.

  3. robertok06

    Ottimo post, complimenti Franco.

    Mi permetto di aggiungere un paio di links ad articoli scientifici, ed una tesi, sullo stesso argomento… rateo di salita del livello di mari e oceani e eventuali accelerazioni, che tanto piacciono ai climatocatastrofisti e attirano i giornalisti/bloggari sprovveduti… con titoloni a 8 colonne “NY sparira’ sommersa dal mare”, o “Bye bye Venezia”.

    Pro-accelerazione di mari e oceani:

    “Climate-change–driven accelerated sea-level rise detected in the altimeter era”, R.S. Nerem et al, Proc. Nat. Acad. Sci, http://www.pnas.org/cgi/doi/10.1073/pnas.1717312115

    … dove si calcola, fittando un polinomio di secondo grado su dati degli ultimi 25 anni, un rateo di salita di “∼3 ±0.4 mm/y since 1993”, e una accelerazione di ben 0.084 ±0.025 mm/y2… che se fosse vera (non lo e’, state tranquilli) avrebbe come conseguenza…
    “at this rate and acceleration, sea-level rise by 2100 (∼65 cm) will be more than double the amount if the rate was constant at 3 mm/y”.
    Notare che uno degli autori, Fasullo, non e’ nuovo a questo genere di predizioni catastrofiste. Un paio di anni fa ci ha gia’ provato, con questo articolo…

    “Is the detection of accelerated sea level rise imminent?”, https://www.nature.com/articles/srep31245

    … dove giunse alla conclusione che…

    ” In stark contrast to this expectation however, current altimeter products show the rate of sea level rise to have decreased from the first to second decades of the altimeter era.
    Here, a combined analysis of altimeter data and specially designed climate model simulations shows the 1991 eruption of Mt Pinatubo to likely have masked the acceleration that would have otherwise occurred.
    This masking arose largely from a recovery in ocean heat content through the mid to late 1990’s subsequent to major heat content reductions in the years following the eruption.
    A consequence of this finding is that barring another major volcanic eruption, a detectable acceleration is likely to emerge from the noise of internal climate variability in the coming decade.”

    …. che sfiga!… ci si e’ messo il Pinatubo!… senno’ Venezia sarebbe gia’ sott’acqua!… 🙂

    Notare l’uso, spacciato come procedura affidabile, di…

    “specially designed climate model simulations”

    … le solite simulazioni farlocche, che notoriamente sono inaffidabili, inaccurate, approssimate.
    Senza di quelle non vanno da nessuna parte, e’ il loro solo appiglio teorico… peccato (per loro) che appena uno gratti un po’ sotto la superficie e si informi leggendo articoli di riviste specializzate, questo supporto teorico si dimostri di poco conto.

    Comunque, dopo due esempi, fra i tanti possibili, di calcolo RIDICOLO di accelerazione su periodi di solo un paio di decenni, vediamo qualche analisi un po’ piu’ seria, in aggiunta a quelle discusse da Franco Zavatti?

    Ecco i links:

    “Is anthropogenic sea level fingerprint already detectable in the Pacific Ocean?”, H Palanisamy et al, Environ Res Lett 10 084024, (2015).

    L’articolo e’, in un certo modo,, un anticipo della tesi di dottorato del primo autore, H Palanisamy, del 2016. La tesi e’ molto piu’ completa di quanto non lo sia l’articolo, che ha un limite di pagine, e vi invito a darci un’occhiata qui:

    https://tel.archives-ouvertes.fr/tel-01317607/file/HPalanisamy.pdf

    “Present day sea level: global and regional variations”

    Una delle conclusioni e’ che, anche volendo usare i modellini farlocchi CMIP5 (ne hanno usati 21 diversi!)…

    “according to climate models, externally forced and thereby the anthropogenic sea level fingerprint on regional sea level trends in the tropical Pacific is still too small to be observable by satellite altimetry”

    …. sarebbe impossibile riuscire a “vedere” adesso l’accelerazione, dato che, se c’e’, e’ troppo piccola, quindi lontana dai valori allarmistici di Fasullo et al.

    Il terzo studio che vi voglio proporre, impiega dei toni abbastanza caustici:

    “Short-Term Tide Gauge Records from One Location are Inadequate to Infer Global Sea-Level Acceleration”, A. Parker, C. D. Ollier,

    https://link.springer.com/article/10.1007/s41748-017-0019-5

    … dove mostrano, in maniera simile a quanto fatto qui da Franco Zavatti, come eventuali “accelerazioni” calcolate su intervallic di tempo di pochi decenni siano interpretabili come effetto spurio del calcolo… in particolare i coefficient di accelerazione sono molto sensibili alla scelta del momento iniziale della serie di dati, e oscillano selvaggiamente su periodi corti, per poi stabilizzarsi una volta che le varie oscillazioni naturali (PDO, IPO, etc…) si siano tutte manifestate su almeno un loro ciclo completo.

    D’altronde, basta andare sul sito del NOAA, dove riportano dati storici di moltissime tide gauges, e si vede subito che non c’e’ alcuna accelerazione globale, ma proprio nessuna. Qualche TG accelera, qualche altra decelera, la maggior parte e’ strettamente lineare da quando esistono dati.

    Concludo facendo notare che sul sito dell’universita’ del Colorado che si occupa di questo argomento, CU Sea Level Research Group, …

    http://sealevel.colorado.edu/

    … si trovano i dati globali grezzi:

    http://sealevel.colorado.edu/files/2012_rel4/sl_ns_global.txt

    Mi permetto di linkare il grafico con calcolo del coefficiente quadratico, l’accelerazione appunto (pre-“omogeinizzazione”/taroccamento dei dati stessi):

    https://www.dropbox.com/s/ihrfkorm5mhwehq/Sea_level_acceleration_Colorado.edu.PNG?dl=0

    L’accelerazione c’e’, come vedete… ma e’ negativa… 🙂

    Saluti a tutti, e buona lettura.

    • Grazie per le molte indicazioni bibliografiche, sempre interessanti. La tesi di dottorato di Palanisamy promette molto -avendo più spazio a disposizione- anche se il pistolotto iniziale sui pericoli per le città costiere promette
      un po’ meno …
      Il lavoro di Parker e Ollier, che per ora ho solo sfogliato, mi sembra importante e anche molto leggibile. Guarderò entrambi con maggiore attenzione.
      I lavori di Fasullo sono (per quanto mi riguarda) illeggibili già da diversi anni, sia per il legame a doppio filo con Trenberth che per l’uso praticamente esclusivo dei modelli
      (v.ad esempio doi:10.1175/JCLI-D-13-00294.1).
      Grazie per i complimenti. Franco

    • robertok06

      @franco Zavatti
      “La tesi di dottorato di Palanisamy promette molto -avendo più spazio a disposizione- anche se il pistolotto iniziale sui pericoli per le città costiere promette
      un po’ meno …”

      Eh!… non è colpa sua, sono certo, ha dovuto includere la postilla canonica… uno dei coautori dell’articolo e relatore della tesi è A. Cazenave, nota filo-il-livello-del-mar-….glu-glu-glu… 🙂

  4. roberto

    caro Franco
    un plauso per il tuo contribuito. Nei dati di Venezia si può dire qualcosa sul fenomeno mareale “dell’acqua alta” e questo ha prodotto un effetto sull’eventuale innalzamento del livello marino ? Un caro saluto Roberto

    • Caro Roberto, nel database PSMSL sono chiaramente indicati i problemi connessi con alcune località (es: subsidenza a Venezia, vulcanesimo nella zona di Napoli – Campi Flegrei e nel Canale di Sicilia), problemi che senz’altro hanno peso nella misura del livello del mare, ma io non ho mai tentato di correggere le misure per questi fenomeni che potremmo chiamare geologico-ambientali. Sono convinto che sia molto facile, in particolare per qualcuno che come me non è del mestiere, commettere errori notevoli nella misura del livello marino e nelle conclusioni derivabili da queste misure “corrette”. Preferisco suggerire un segnale di allerta (l’ho fatto nei post precedenti sull’argomento) in modo che le conclusioni possano essere pesate opportunamente. Ciao. Franco

  5. luigi Mariani

    Caro Franco,
    il livello globale degli oceni mi ha sempre colpito per l’elevatissima variabilità spaziale del trend temporale. Ad esempio qui si vedono le mappe dei trend per l’intero globo
    https://www.climate.gov/news-features/understanding-climate/climate-change-global-sea-level
    e per il solo Mediterraneo: https://www.aviso.altimetry.fr/en/applications/ocean/mean-sea-level-greenhouse-effect/regional-trends.html).
    Mi domandavo se nelle tue analisi hai provato a ragionare anche di deviazione standard.
    Ciao.
    Luigi

    • Caro Luigi, avevo trattato il trend del livello marino e della sua accelerazione in altri post e qui mi sono limitato alle conseguenze di una correzione per la memoria a lungo termine sulle oscillazioni del livello marino. Il grafico dell’EPA (in realtà un collage di dati disponibili in vari siti, tradotti in “osservazioni” annuali e disponibili su questo sito)
      ci dice che la pendenza (il ritmo con cui cresce) del livello marino è di circa (1.61±0.03)mm/anno e che quindi la crescita viene misurata con un errore relativo di circa il 2%. L’accelerazione, con un ritmo di (1.3±1) micron/anno^2 (Δa/a=1/13=0.08). Se guardiamo il
      grafico, vediamo che l’aumento di livello è il frutto di una serie di crescita-stasi o diminuzione-nuova crescita (ad esempio nel 1910, 1920, 1942, 1965, 1985) che fa tranquillamente pensare ad un’evoluzione naturale, con i suoi alti e bassi, determinata dall’aumento generale delle
      temperature (espansione termica) e dal conseguente scioglimento di ghiaccio terrestre. Il secondo grafico del tuo primo link (NOAA) parla chiaro: 8 cm di aumento dall’epoca dei satelliti, quasi perfettamente ricostruiti da espansione termica e scioglimento di ghiacci, tra l’altro con una bella
      stasi dal 2016 circa, e tutti questi andamenti che appaiono molto “nature”, con le loro oscillazioni del tutto prevedibili e/o immaginabili, e senza niente di catastrofico.
      No, Luigi, non ho mai trattato l’analisi della varianza per il livello marino, se non nell’ultimo grafico del post, dove però la drastica diminuzione della dispersione per i dataset di estensione temporale maggiore di circa 50 anni mi fa pensare a grande incertezza nelle possibili conclusioni,
      dovuta a cherry picking o a qualcosa di molto simile. Ciao. Franco

  6. A. de Orleans-B

    Forse è irrelevante ai fini delle conclusioni, ma Varna non è un porto mediterraneo.

    • Grazie per la segnalazione: in effetti dai dati del post precedente che ho chiamato CM83 ho eliminato Constantza ma ho dimenticato Varna, entrambe sul Mar Nero. MI scuso con i lettori. Non credo che i risultati possano cambiare in modo drastico ma era giusto segnalare il refuso. Franco

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