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Stesso periodo, stesso trend, cause diverse… oppure no?

Non so quante volte mi sia capitato di leggere che in materia di risposta del clima al forcing antropico, divenuto oggi semplicemente climate change come se null’altro fosse mai esistito, la scienza debba intendersi definita. Tanto definita che, ormai, determinate conseguenze vengono date per scontate, sia da molta parte di chi fa divulgazione scientifica, sia da chi fa semplici commenti. La riprova di questo è la cronaca di questi giorni, in cui eventi atmosferici pur eccezionali, sono letti in chiave climatica anziché meteorologica.

Eppure la scienza, intesa come letteratura scientifica (ne esiste un’altra?) è più o meno uniforme nel dichiarare che a) nessun evento di breve periodo è ascrivibile direttamente alle dinamiche del clima e, b) gli eventi estremi, pur se gli scenari climatici ne prevedono un aumento di frequenza e/o intensità, non sono sin qui aumentati, né sono divenuti più intensi. Per essere più precisi, dalle serie storiche che riguardano questi accadimenti, non è possibile tirar fuori informazioni chiare, per deficit di dati o perché semplicemente di trend non ce ne sono.

Ma, dicevamo, la scienza è definita…

Davvero? Vediamo due esempi.

Ieri mi capita di leggere il lancio di un articolo uscito su Nature di recente:

Ocean impact on decadal Atlantic climate variability revealed by sea-level observations

L’articolo è liberamente consultabile, ma ne trovate comunque un ampio (e semplice) riassunto qui: The Atlantic Is Entering A Cool Phase That Will Change The World’s Weather

In sostanza, pulita dal segnale di riscaldamento di lungo periodo, la serie delle temperature superficiali dell’Atlantico settentrionale, mostra notoriamente un’oscillazione multidecadale, nota come Atlantic Multidecadal Oscillation (AMO). Questa oscillazione è in fase con pattern atmosferici cui si associano diversi tipi di “tempo”, che quindi si presentano con maggiore frequenza a seconda della fase negativa o positiva dell’AMO. Questo è clima, se volete di breve-medio periodo, visto che si parla di decadi. Ora, scrivono gli autori del paper, l’AMO va verso valori negativi, che tradotti in “tempo” significano tempi duri, almeno per l’area Europea ma, leggendo, anche per altre e più lontane zone del pianeta. Guardando il grafico dell’AMO, che riporto qui di seguito, si notano dei segnali di tendenza negativa, cioè l’Atlantico settentrionale sta andando verso un raffreddamento, e questo avrà probabilmente effetto sulle temperature globali, così come ne avrà sulla circolazione atmosferica e il “tempo” ad essa associato, soprattutto nell’emisfero settentrionale. Tutto questo, ahinoi, nelle simulazioni climatiche, che dovrebbero supportare i processi decisionali, semplicemente non c’è.

La linea continua è la media decadale. van Oldenborgh et al. / ERSSTv3b, CC BY-SA

Del resto, non c’è neanche l’oggetto della prossima segnalazione.

Si tratta di un post di Clive Best che mette insieme alcuni tasselli importanti del puzzle sul clima. Tra questi, quello forse più importante di tutti, che non è la CO2, quanto piuttosto la copertura nuvolosa.

Global Temperatures Rose As Cloud Cover Fell In the 1980s and 90s

Che il ruolo delle nubi nelle dinamiche del clima sia determinante è un fatto noto. Che le nubi siano uno degli elementi più difficili (ove non ancora impossibili) da simulare nel tentativo di riprodurre il compattamento del sistema è altrettanto noto. Forse però lo è meno il fatto che, in termini di bilancio radiativo, una variazione anche solo di 1-2 punti percentuali della quantità di nubi presenti sul pianeta sia in grado di spiegare gran parte delle oscillazioni (soprattutto positive) delle temperature globali delle ultime decadi. Tanto nel forte trend positivo della fine del secolo scorso, quanto nell’appiattimento del trend occorso dai primi anni di questo secolo.

In sostanza, meno nubi uguale più calore, più nubi uguale tendenza al raffreddamento. E questo, ancora una volta lo dicono i numeri:

Perché possa variare la quantità di nuvolosità presente sul pianeta poi, è tutta un’altra storia. Però, guardando i grafici, sembra che ci sia un certo lag temporale tra le oscillazioni dell’AMO, la risposta della nuvolosità e il conseguente trend delle temperature, cui probabilmente si sommano anche molti altri fattori, non ultima la porzione ascrivibile all’effetto antropico, sia esso globale, ovvero riferito al surplus di gas serra, o locale, ossia riferibile più direttamente al cambiamento delle condizioni al contorno dei punti di osservazione.

Allora, visto che anche questo nelle simulazioni non c’è, questa scienza vi sembra settled?

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Published inAttualità

10 Comments

  1. Alessandro

    un caso troppo non casuale:

    Immagine allegata

  2. robertok06

    @alessandro
    No, AMS-2 misura solamente i flussi di elettroni, protoni, protoni e ioni vari che costituiscono in raggi cosmici, cercando di individuare deviazioni dai modelli teorici noti. Lo fa all’altitudine della stazione spaziale, cioè 400 km circa, dove di atmosfera non ce n’è praticamente più nulla.

    • Alessandro

      @robertok06 è sempre una misura della concentrazione di elettroni a 30000 km in ingresso verso la Ionosfera.
      Mi pare di ricordare inoltre che la concentrazione di elettroni sia massima in corrispondenza della termopausa a soli 200 km di altezza. Immagino che la densità di elettroni liberi in atmosfera sia proporzionale a quelli presenti a 30000 km di altezza.
      Questo valore di concentrazione di elettroni a 200 km di altezza influenzerà a sua volta in stratopausa la più o meno presenza di ozono (O3) in corrispondenza della stratopausa…mi sembra in definitiva che sia indicativo per la superficie terrestre quale sia la densità degli elettroni in atmosfera.

  3. Alessandro

    @robertok06 il mio intento era quello di far notare alcune (per me) inspiegabili coincidenze di un sistema poco conosciuto e di certo la mia pretesa era solo quella di osservare una piccola cosa che mi rendo conto faccia parte di un meccanismo molto complesso.
    Hai spiegato un effetto visibile come l’aurora tramite l’interazione tra elettroni e atomi neutri in corrispondenza dei poli magnetici.
    AMS-2 et similia in relazione a ciò che succede nella ionosfera misurano anche la presenza di ozono in atmosfera?

  4. robertok06

    @Alessandro
    A occhio e croce elettroni di bassa energia, pochi MeV per esempio, non riescono a raggiungere la terra, o le parti alte dell’atmosfera, perché le fascie di Van Allen li deviano, c’è un’energia di cut-off che dipende dalla longitudine magnetica, la posizione sulla terra, solo ai poli magnetici le linee del campo convergono e gli elettroni riescono a seguirle, con traiettorie a spirale… e possono creare le famose aurore.
    L’esperimento AMS-2, attaccato alla International Space Station e controllato dal CERN, misura da anni gli spettri di elettroni e positroni, e altro, vedi qui:

    https://arxiv.org/abs/1402.0437

  5. Luigi Mariani

    Da rilevare anzitutto che purtroppo la serie storica di copertura nuvolosa globale di ISCCP (che io trovavo molto utile) è ferma al 2008 e mi sono spesso domandato perché non sia più stata aggiornata. A qualcuno risulta che avesse problemi di accuratezza?
    C’è poi una frase del post di Clive Best che merita a mio avviso una riflessione: “Climate models assume that changes in cloud cover are a feedback response to CO2 warming” -> credo sia un modo un tantino sincopato per esprimere lo schema seguente: aumentano i livelli atmosferici di CO2 -> aumenta la temperatura -> aumenta il contenuto atmosferico in vapore acqueo (feed-back) -> ne conseguono effetti sulla copertura nuvolosa globale che deriva dai processi di condensazione di tale vapore acqueo che ha luogo in presenza di idonei nuclei.

  6. A. de Orleans-B.

    La formazione delle nubi è un fenomeno complesso?
    No, molto di più…

    Questa è la prospettiva di un pilota di aliante, che ha un forte incentivo a capire questo fenomeno per non essere costretto ad un atterraggio forzato, spesso fuori da un aeroporto.

    Una giornata quasiasi… la mattina il sole cominicia a scaldare il suolo, si formano le prime termiche, senza nuvole perché oggi l’inversione le ferma prima della quota/temperatura di condensazione.

    Ma oggi il suolo è umido, le termiche trasportano umidità in quota, l’inversione si alza un pò, si formano dei cumuletti.

    Le termiche aggiungono ancora umidità in quota, oggi l’adiabatica umida è instabile, si forma un congestus che degenera in temporale.

    L’incus genera dei cirri sottovento che oscurano il suolo, le termiche sottostanti spariscono ma il congestus forma anche uno strato nuvoloso a livello della inversione originale che oscura ulteriormente il suolo.

    La persistenza di questo strato è praticamente imprevedibile, da mezz’ora o fino al tramonto, nemmeno i recenti modelli RASP con mesh sotto un chilometro ci danno lumi anche solo poche ore prima.

    OK, adesso mettete tutto questo in un modello climatico e cercate di calcolare l’albedo media risultante…

    Ci riusciremo, prima o poi, ma dobbiamo ancora scoprire o inventare parecchi aspetti di questo fenomeno prima di poterlo “modellare” affidabilmente – e l’albedo media delle nuvole ha un effetto potentissimo sul bilancio energetico della troposfera.

    Con molte scuse per l’eventuale imprecisione dei termini che ho usato per trasmettere queste idee.

  7. robertok06

    @alessandro
    Il flusso di elettroni è misurato/calcolato alla distanza geostazionaria?… sono 30 e passa mila km dalla superficie della terra, no?…
    Se così fosse, non so quanto possa essere indicativo di quanto succede alla superficie della terra…

    • Alessandro

      @robertok06 mi riferisco ad una correlazione che sia legata in questi 30 mila km da ionizzazione di molecole neutre. La concentrazione di elettroni per cm cubico è presente fino in mesosfera a circa 60 km di altezza.
      Il processo di perdita di elettroni avviene attraverso la preliminare ossidazione da parte dell’ozono o dell’ossigeno degli ioni meteorici ablati.
      Quindi in sostanza una diminuzione della concentrazione di elettroni dovrebbe corrispondere ad un aumento della concentrazione di ozono in stratosfera e con influenza conseguente sugli strati più bassi.
      Puà essere indicativo secondo te?

  8. Alessandro

    Ho notato in tantissime occasioni una certa correlazione tra nubi mediterranee e il flusso di elettroni.
    Anche in questa occasione:

    Immagine allegata

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