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Le Piogge nel Sahel – Alcuni Aspetti Meteo-Climatici

di Luigi Mariani e Franco Zavatti

Riassunto

L’articolo sarà pubblicato in due parti. In particolare la prima affronterà il tema delle piogge nel Sahel discutendone gli aspetti legati alla climatologia statica (valori medi, distribuzione spaziale, ecc.) e dinamica (strutture circolatorie sottese) e alla prevedibilità. La seconda parte sarà invece dedicata alla componente ciclica che caratterizza le precipitazioni nel Sahel affrontata tramite i classici strumenti dell’analisi periodale. L’aspetto ciclico è di grande rilevanza in quanto la variabilità ha pesanti ripercussioni sull’agricoltura dell’area che si basa su colture erbacee non irrigue e sulla zootecnia transumante.

Abstract

This work will be issued in two parts. In particular, the first will address the issue of rains in the Sahel discussing the aspects related to static climatology (mean values, spatial distribution, etc.) and dynamics (underlying circulatory structures) and predictability. The second part will be dedicated to the cyclic component that characterizes the precipitations in the Sahel faced through the classic tools of periodic analysis. The cyclical aspect is of great importance because the variability has heavy repercussions on the agriculture of the area based on non-irrigated herbaceous crops and on transhumant animal husbandry.

Aspetti geografici e climatici generali

Figura 1 – Precipitazioni medie del Sahel e limiti orientativi dell’area (da Nicholson, 2013).

Localizzato oltre 2000 km a Sud della Sicilia, Il Sahel è una regione che si estende longitudinalmente per circa 5000 km coprendo grossomodo 4 gradi di latitudine, da 14 a 18°N (figura 1), per cui in totale si tratta di circa 2,22 milioni di kmq (circa 7,4 volte l’Italia), caratterizzati da una relativa omogeneità est-ovest del clima e della vegetazione.

I caratteri macroclimatici dell’area in esame possono essere apprezzati adottando lo schema di classificazione di Koeppen e Geiger che indica il Sahel come areale di transizione fra il clima dei deserti caldi (BWh) caratteristico del Sahara e quello semiarido caldo delle steppe (BSh) caratteristico della fascia pre-sahariana (figura 2).

Il clima del Sahel può essere apprezzato applicando gli schemi propri della meteorologia della fascia intertropicale, ove agiscono fenomeni ciclici come l’ENSO, la cui sede è nell’Oceano Pacifico ma la cui influenza si estende all’intera fascia intertropicale e da lì si propaga verso le medie latitudini, il monsone, frutto del contrasto termico fra aree continentali e oceaniche e la zona di convergenza intertropicale (ITCZ), equatore meteorologico in cui convergono al suolo gli alisei e che nel corso dell’anno presenta una caratteristica oscillazione latitudinale spingendosi fino a 20°N in estate e scendendo verso sud in inverno.

Figura 2 – Classificazione macroclimatica di Koeppen e Geiger per l’areale africano. Il Sahel si presenta come areale di transizione fra il tipo desertico BSh proprio del Sahara e quello predesertico BWh https://it.wikipedia.org/wiki/Classificazione_dei_climi_di_K%C3%B6ppen#/media/File:Classificazione_climatica_mondiale_secondo_il_sistema_K%C3%B6ppen%E2%80%93Geiger.png

Climatologia statica e dinamica delle piogge saheliane

L’attenzione alle precipitazioni nell’area Saheliana è divenuta più alta dopo la siccità che ha colpito l’area fra gli anni 70 e 80 del XX secolo, e ciò ha anche portato ad un certo incremento delle conoscenze che restano comunque parziali anche in virtù del progressivo deterioramento delle reti pluviometriche locali. Ciò è attestato ad esempio da un lavoro comparso sull’International Journal of Climatology nel 2003 dal quale si evince che dalle 51 stazioni presenti nel 1921 si è passati alle 152 del 1951, alle 188 del 1971, alle 102 del 1991 per giungere infine alle 35 del 2003 (figura 3), numero largamente insufficiente per costruire una climatologia delle precipitazioni di un’area tanto vasta (se la rete pluviometrica sinottica dispone per l’Italia di 200 stazioni per un areale  grande più di 7,4 volte ne dovrebbero grossomodo occorrere 1500. Ciò peraltro costituisce un curioso apologo di un mondo che nonostante l’enorme preoccupazione per la “catastrofe climatica prossima ventura” si scorda che prima di usare l’aggettivo “catastrofe” bisognerebbe quanto meno esprimere i fenomeni in termini quantitativi tramite adeguate misure, come ci insegnò Galileo. Occorre peraltro dire che la penuria di stazioni di misura al suolo è oggi almeno parzialmente surrogata dal remote sensing da satellite (es: Tropical Rainfall Measuring Mission – TRMM).

Figura 3 – Evoluzione della rete pluviometrica relativa all’areale del Sahel e alle zone al contorno come evidenziata da Dai et al. (2004)

Il regime precipitativo

Se si analizza il regime annuale delle precipitazioni del Sahel e della zona al contorno (Nicholson, 2013)  si colgono 4 fasi temporali successive e cioè una fase oceanica (in media da novembre a metà aprile), una fase costiera (in media a metà giugno), una fase di transizione (fra terza decade di giugno e primi di luglio) e una fase continentale saheliana (in media da metà luglio a settembre, con il 24 di giugno come data media d’inizio). Durante la fase saheliana la pioggia raggiunge la massima intensità e la zona di picco si colloca a sud del Sahel a circa 10° Nord di latitudine.

A ulteriore dettaglio di tale schema occorre segnalare che il periodo piovoso dura mediamente 2 mesi nella fascia più a Nord del Sahel, ove cadono in media 200 mm l’anno, e 4-5 mesi in quella più a sud, dove cadono in media 500-600 mm/anno.  Inoltre Il Sahel è occasionalmente interessato da piogge invernali di entità assai modesta (meno di 25 mm l’anno).

Il monsone dell’Africa Occidentale

La pioggia che cade da giugno a settembre sul Sahel è di natura monsonica (Monsone dell’Africa Occidentale) in quanto ha origine dal contrasto termico fra il Sahara e l’Oceano Atlantico equatoriale. Infatti dal punto di vista dinamico il monsone si regge sull’afflusso di aria umida da sudovest (Golfo di Guinea) guidato dalla depressione termica che staziona sul Sahara occidentale con centro a 20°N (figura 4). In tale schema un ruolo chiave è giocato da due correnti a getto con direzione est-ovest e cioè il Tropical Easterly Jet (TEJ) posizionato nell’alta troposfera intorno a  200 hPa e l’African Easterly Jet (AEJ) posizionato nella media troposfera fra 600 e 700 hPa (figura 5). A tali correnti a getto da est si associano a bassa quota delle correnti occidentali (westerlies) che nelle annate più piovose si intensificano trasformandosi in jet di bassa quota.

Figura 4 – Circolazione media sull’area nel periodo invernale (a) ed estivo (b). Si noti la depressione termica sul Sahara e la linea puntinata che indica la posizione della Zona di convergenza intertropicale – ITCZ e il suo disaccoppiamento estivo rispetto all’area di precipitazioni (da Nicholson, 2013).
Figura 5 – Disposizione spaziale delle correnti a getto della media e alta troposfera TEJ e AEJ. Mentre AEJ è limitata all’Africa, TEJ si estende anche all’Oceano Indiano ove presenta un nucleo di massima velocità (da Nicholson, 2013).

La suddetta transizione fra fase costiera e fase continentale è di norma improvvisa e si accompagna all’inversione della circolazione a bassa quota che mentre prima era da ovest (westerlies) si dispone ora da est (African Easterly Waves – AEW). L’inversione della circolazione a bassa quota è associata all’irrobustirsi della depressione termica sahariana (figura 4) ed è accompagnata dall’innesco della convezione profonda e dallo spostamento delle strutture precipitative da 5° a 10°N. Al riguardo si noti che sull’area le strutture precipitative caratteristiche del monsone sono in genere costituite da bande precipitative a mesoscala, che sono responsabili di oltre l’80% dell’intera pioggia che cade sull’area e che sono tutt’altra cosa rispetto alle piogge frutto di instabilità locale.

E’ altresì interessante notare che la zona di convergenza intertropicale (ITCZ) parrebbe giocare un ruolo marginale nel fenomeno in esame in quanto un’area di subsidenza separa l’ITCZ dalla zona di massima precipitazione, disaccoppiandola di fatto dalla stessa.

La data media d’inizio del monsone nel Sahel è il 24 giugno ed in un primo tempo il fenomeno procede con lentezza e si caratterizza per una successione di fasi attive e inattive. Le simulazioni mostrano che l’innesco e la successiva temporizzazione del monsone sono legati alle dinamiche a macroscala che si estendono ben oltre l’areale del Sahel. Più in particolare l’inizio dipende dalla propagazione verso ovest dell’onda di Rossby associata al Monsone indiano e che raggiunge l’Africa Occidentale 7-15 giorni dopo, innescando la convezione nel Sahel. Fra i fattori locali gioca inoltre un ruolo significativo l’interazione fra l’AEJ e l’orografia. Al riguardo si noti che mentre AEJ è limitato all’Africa, TEJ è parte di una corrente a getto ben più ampia che si estende all’Oceano Indiano ove presenta un nucleo di massima intensità (figura 6).

 

Effetti sull’agricoltura e prevedibilità dell’inizio del monsone

Figura 6 – Posizione delle correnti a getto della media e alta troposfera TEJ e AEJ – sezione verticale latitudinale (da Nicholson, 2013).

L’inizio delle piogge monsoniche sul Sahel ha un’importanza cruciale per l’agricoltura coincidendo con le semine delle colture tipiche dell’area, le più importanti delle quali sono come di seguito elencate dalla  U.S. Agency for International Development (USAID): cereali (mais, miglio perlato, sorgo e riso); piante da fibra (cotone), piante da frutto (anacardio, mango e shea); legumi (ceci, fagiolino dell’occhio, fagiolo mungo, caiano e néré), oleifere (sesamo) e piante da radice (cassava, patata dolce) (USAID, 2014). Importanti sono anche la zootecnia (bovini, pecore, capre e dromedari) basate sulla transumanza e dunque dipendenti dall’abbondanza del pascolo, a sua volta determinata dalla pioggia (Ickowicz et al., 2012). Lo stretto legame fra la biomassa vegetale espressa tramite l’indice NDVI e la pioggia caduta stimata da satellite è espresso in modo molto efficace dalla figura 7 (NASA – Earthobservatory, 2004).

Purtroppo l’inizio della stagione monsonica ha prevedibilità molto bassa, tant’è che le popolazioni locali lo associano alla comparsa di particolari nubi sulle aree montane[1] come ad esempio nel massiccio del Tibesti, fra Libia e Chad, la cui cima più alta, l’Emi Koussi, raggiunge i 3445 m di altezza. Attualmente nell’ambito del centro Agrhymet sono in corso esperimenti di previsione stagionale del monsone di cui un resoconto in lingua francese è disponibile qui: http://agrhymet.cilss.int/index.php/2019/03/01/les-previsions-saisonnieres-des-caracteristiques-agro-hydro-climatiques-pour-la-grande-saison-des-pluies-dans-les-pays-du-golfe-de-guinee-sont-tombees/

 

Figura 7 – Piovosità stimata da satellite nell’ambito della Tropical Rainfall Measuring Mission (TRMM) ed effetti sulla vegetazione (https://earthobservatory.nasa.gov/images/7277/vegetation-and-rainfall-in-the-Sahel).

Bibliogafia

  • Dai A.,  Lamb P.J., Trenberth K.E., Hulme M., Jones P.D., Xie P, 2004. Comment – the recent Sahel drought is real, Int. J. Climatol. 24: 1323–1331
  • Ickowicz et al., 2012. Crop–livestock production systems in the Sahel – increasing resilience for adaptation to climate change and preserving food security, Centre de coopération internationale en recherche agronomique pour le développement (CIRAD) (http://www.fao.org/fileadmin/templates/agphome/documents/faooecd/CropLivestockSahel.pdf).
  • NASA – Earthobservatory, 2004. Vegetation and Rainfall in the Sahel  https://earthobservatory.nasa.gov/images/7277/vegetation-and-rainfall-in-the-Sahel
  • Nicholson Sharon E., 2013. The West African Sahel: A Review of Recent Studies on the Rainfall Regime and Its Interannual Variability. , ISRN Meteorology , 213, ID453521, 32 pages, 2013.
  • USAID, 2014. A review of fifteen crops cultivated in the Sahel, 102 pp. (il PDF è disponibile gratuitamente in rete)

 

[1]                     Questo è quanto fu riferito a uno degli autori da Michele Conte, climatologo del Servizio meteorologico dell’Aeronautica Militare che negli anni ‘80 si occupò della climatologia dinamica del Sahel nell’ambito del progetto Agrhymet (http://agrhymet.cilss.int/) promosso dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale.

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Published inAmbienteAttualitàClimatologia

2 Comments

  1. Caro Donato,
    è vero, la complessità del clima è impressionante e la dimensione frattale la descrive al meglio.
    Per il Sahel, credo che anche la Nicholson, che ha passato la vita a studiarlo, possa dire di avere molti dubbi su diversi aspetti del suo meteo-clima. Quella è anche la zona (più o meno) dove si formano i cicloni tropicali, il che, almeno per me, non semplifica la situazione.
    Purtroppo la seconda parte, a mio parere, serve a legare le piogge del Sahel ad alcune situazioni climatiche e non ad altre: piccoli, piccolissimi passi, verso una comprensione di là da venire.

    Per passare ad argomenti meno piacevoli (e non certo con piacere): io da ragazzino leggevo il glorioso Paese Sera e per questo mi sono sempre considerato un lettore di Repubblica, fin dal primo numero, ante-litteram. Ho quindi avuto modo di leggere, negli anni, gli articoli e le recensioni, sul Venerdì, di Alex Saragoza. Ho capito abbastanza presto che non vale la pena di ingaggiare sterili duelli con lui (soprattutto per il tono che usa nei millemila blog che frequenta). E non mi è dispiaciuto essere stato da parte in questa occasione. Ciao. Franco

  2. donato b.

    Cari Franco e Luigi, leggere il vostro articolo (parte 1) è stato un vero piacere: una ventata d’aria fresca confrontata alla bollente polemica che infoca altre pagine del blog! 🙂
    .
    A parte la battuta non ho potuto fare a meno di notare la terribile complessità del sistema climatico del nostro pianeta. Tale complessità che voi siete riusciti a rendere comprensibile in modo encomiabile, emerge da leggi fisiche affatto complicate: termodinamiche e fluidodinamiche abbastanza ben conosciute.
    Ne parliamo da anni, ma ogni volta, almeno per me, è una sorpresa. Uno crede di aver capito buona parte del sistema, ma poi si trova di fronte a ciò che succede in una parte relativamente minuscola del pianeta (pochi milioni di chilometri quadrati) e si rende conto che la complessità che si manifesta a scala planetaria, si ripete a scala regionale. E’ tipico dei sistemi complessi, ma fa sempre una certa impressione, come quando si analizza la struttura frattale del cavolfiore, per esempio. 🙂
    .
    Come accade alle nostre latitudini, anche in questa relativamente piccola striscia di terra, incastonata tra il deserto del Sahara e la savana pre-equatoriale, la circolazione dell’alta troposfera guida quella della media e bassa troposfera ed innesca i moti convettivi che determinano le condizioni meteorologiche sul Sahel. E la cosa buffa è che, pur avendo capito a grandi linee il funzionamento del motore termodinamico e fluidodinamico che governa la meteorologia del Sahel, non siamo in grado di prevedere in modo soddisfacente le date di inizio della stagione delle piogge e quindi, programmare semine e raccolti. Dobbiamo ancora affidarci a metodi empirici come le nubi che compaiono in una certa zona ed in un certo periodo: come durante la preistoria, in altri termini.
    .
    Attendo, ora, la pubblicazione della seconda parte dell’articolo per vedere se esiste una possibilità di colmare questa, per così dire, “lacuna predittiva”.
    Ciao, Donato.

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