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CEI: indice di eventi estremi in USA

Nel sito https://www.ncdc.noaa.gov/extremes/ vengono elencati e brevemente descritti i vari aspetti della raccolta dati e ricerca relativi agli eventi estremi negli Stati Uniti. In particolare il U.S. Climate Extremes Index (CEI) (l’Indice degli Estremi Climatici negli USA) è descritto così: “The U.S. Climate Extremes Index (CEI) was developed to quantify observed changes in climate within the contiguous United States. Time series graphs and data files of the CEI (from 1910 to the present) are available for the following periods: Annual, Spring, Summer, Autumn, Winter, Cold Season, Warm Season and Hurricane Season. Elements included in the index include: Temperature, Precipitation and PDSI.” (PDSI=Palmer Drought Severity Index è un indice di siccità).

Fig.1: Il CEI per gli USA contigui (escluso Alaska e Hawaii). Notare, nel fit parabolico (linea rossa), una prima discesa dell’indice -fino a circa il 1960- seguita da una risalita; questo in corrispondenza di un aumento continuo dei livelli di CO2. In basso lo spettro dei dati.

Qui non uso la stagione dei cicloni ma uso i dati annuali delle quattro aree geografiche NW, SW, NE, SE e quelli dell’intero ovest (indicate con West in figura 3). L’intero est degli USA non è disponibile.

Fig.2: L’indice CEI per le quattro zone relative al Nord-Ovest (NW), SW, NE, SE, con i rispettivi spettri MEM. Nei quadri superiori delle figure, la riga verde è il fit lineare e la riga rossa è il fit parabolico dei dati.
Fig.3: Confronto tra l’indice CEI generale (All) e quello relativo all’ovest. In basso gli spettri.

I grafici delle altre sei zone geografiche e “temporali” (stagioni calda e fredda) avrebbero occupato molto spazio e non vengono presentati, ma sono disponibili nel sito di supporto.
Si notano subito due aspetti dei dati CEI (dal 1910 al 2018): in media, come si vede dal fit lineare, crescono nel tempo (esclusi NW e SW che sono “piatti” e Fall [autunno] che cresce debolmente, di meno del 2%) ma con uno strano andamento, evidenziato dal fit parabolico.
Tutti gli indici all’inizio decrescono fino al 1960 circa e poi crescono fino al 2018.
Se si suppone, insieme all’IPCC, che la concentrazione della CO2 condizioni (pesantemente) il numero -in questo caso la percentuale- degli eventi estremi, allora i grafici evidenziano un problema: la CO2 è sempre cresciuta dal 1850 mentre gli eventi estremi hanno seguito un andamento diverso, dal che deriva che il condizionamento dell’anidride carbonica è meno pesante di quanto si pensasse o che in realtà non sussiste affatto.

Gli spettri
Ad un primo sguardo, gli spettri appaiono abbastanza simili e danno l’idea che le “firme” spettrali del CEI siano varie e ben distribuite.
Se però si prova a realizzare una distribuzione dei periodi spettrali un po’ più accurata, si vede che la situazione è diversa da quanto ipotizzato. I periodi (ricavati qui non dai grafici ma dai file numerici) si distribuiscono in modo da accumularsi verso i periodi minori (2-8 anni) mentre i periodi maggiori sono sporadici e concordano in un numero molto limitato di serie, come si vede in figura 4.

Fig.4: Distribuzione dei massimi spettrali per le 12 serie dell’indice CEI considerate. In orizzontale si leggono i massimi delle singole serie indicate a destra con la loro sigla, mentre in verticale si può leggere la frequenza di apparizione di un singolo massimo o di un intervallo di massimi (periodi). I due quadri riguardano le due metà delle serie disponibili. Le bande gialle evidenziano 2 intervalli di periodi (6-7 e 8-9 anni) in cui i massimi sono presenti in tutte le 12 serie.

I massimi di periodo inferiore a 6 anni sono anch’essi molto frequenti in tutte le serie, anche se dalla figura 4 si vede che usare le bande gialle per evidenziali, porterebbe ad una maggiore confusione.

La mia idea è che gli eventi estremi (qui assumo che la definizione dell’indice rispecchi la percentuale degli eventi senza particolari distorsioni) siano condizionati da El Nino più che dalla CO2, come testimoniato dall’abbondanza di massimi spettrali tipici dell’evento tropicale (v. ad esempio qui su CM, figg.3,5,6), e che saltuariamente, nel tempo e nello spazio, fenomeni locali (e forse anche astronomici) modifichino la struttura dell’indice CEI.

E in Italia?

Dati sulla frequenza degli eventi estremi esistono anche per l’Italia ma io non sono stato capace di trovarli. Leggo continuamente di sicurezze sull’aumento di questi eventi nel nostro paese ma non ho notizie di intervalli temporali misurati e dei valori utilizzati. Se qualche lettore avesse indicazioni in tal senso, sarei lieto di riceverle e di elaborare questi dati (numeri, non chiacchiere).
Intanto ho trovato in questo sito la solita serie di chiacchiere e l’indicazione di un lavoro scientifico (Kew et al.,2018) che viene citato a riprova del fatto che gli eventi estremi dipendono dall’influenza antropica.
In Kew et al. leggo però:

“Models confirm an increase in likeliwood with global warming but fail to reproduce some key features of the observed distribution of heat waves [variability in southeastern Europe (this study) and trends and variability in northern Europe (Sippel et al. 2016; Min et al. 2013). Future research is necessary to reveal the mechanisms. Possible hypotheses are overefficient model moisture recycling leading to spatial, and over time, temporal, temperature heterogeneity, insufficient moisture transport, or an incorrect variability in boundary layer height.”

…e le sicurezze esibite (forse sono sicumere) diventano sempre meno sicure. In ogni caso, Kew e colleghi usano 4 stazioni meteo europee (Spagna, Francia, Italia, Croazia) essendo il Monte Cimone quella italiana.

Con Vincenzo Capozzi, nel 2015 qui, abbiamo trattato i dati di 8 stazioni meteo italiane, tra cui Monte Cimone.
Adesso ho ripreso quei dati (dal database SCIA) aggiornandoli al 2018 e li mostro in figura 5 come anomalie rispetto alla base 1961-90 e insieme al loro spettro.

Fig.5: Anomalie di temperatura del Monte Cimone dal 1945. La riga rossa è il fit lineare da cui ho derivato il detrended usato nel calcolo dello spettro.

Con riferimento al quadro superiore, non mi sembra di osservare picchi di calore particolari e soprattutto non credo di vedere un aumento della frequenza di accadimento di tali picchi. Siamo a quasi 2000 m slm, per cui è facile osservare anche picchi di freddo dei quali non parlerò.
Lo spettro, ancora una volta, mostra i periodi 2-7 e 9 anni e sono presenti anche i massimi a 20 e 30 anni

Non ho ripetuto l’analisi di Kew et al. e non pretendo di avere certezze (che non avrei in ogni caso), ma continuo a non vedere niente di nuovo nel grafico delle anomalie medie mensili. E’ possibile che la serie delle temperature massime si comporti in modo diverso? Forse, ma le ondate di calore dovrebbero agire anche nelle temperature medie, non solo nelle massime.

Per concludere una frase tratta da Wijngaarden and Syed, 2015:

“Stations experiencing low, moderate and heavy annual precipitation did not show very different precipitation trends. This indicates deserts/jungles are neither expanding nor shrinking due to changes in precipitation patterns. It is therefore reasonable to conclude that some caution is warranted about claiming that large changes to global precipitation have occurred during the last 150 years.”. E’ vero, qui si tratta di precipitazioni e non di temperatura, ma molte cose contribuiscono a creare un quadro che appare sempre meno certo.

Tutti i grafici e i dati, iniziali e derivati, relativi a questo post si trovano nel sito di supporto qui

Bibliografia

  1. Kew S.F., Philip S.Y., van Oldenborgh G.J., Otto F.E.L., Vautard R. and van der Schrier G.: The Exceptional Summer Heat Wave in Southern Europe 2017 Bull. Amer. Meteor. Soc.100, 549-553, 2018. https://doi.org/10.1175/BAMS-D-18-0109.2
  2. Wijngaarden & Syed, 2015. W.A. van Wijngaarden, A. Syed: Changes in annual precipitation over the Earth’s land mass excluding Antarctica from the 18th century to 2013. Journal of Hydrology531, 1020-1027, 2015. doi:10.1016/j.jhydrol.2015.11.006
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Published inAttualitàClimatologia

7 Comments

  1. Seguendo l’indicazione di Alex, in attesa di contattare il prof.Pinna ho cercato sul suo sito e ho trovato la precipitazione della Toscana 1951-2017 (espressa come percentuale della media 1951-2000). Da quei dati ho ricavato il numero di eventi per intervalli di 10 e 5 anni (in fondo gli istogrammi), dopo aver definito “estremi” gli eventi in cui la pioggia è >=200 (cioè è almeno il doppio della media 51-00). Ormai comincia a diventare monotono, ma ogni volta che si usano i dati si scopre (a scale anche molto differenti) che gli eventi estremi, come minimo, non crescono. Franco

    Immagine allegata

  2. Ringrazio gli intervenuti per le utili indicazioni.
    Concordo pienamente con quanto scrive Fausto Cavalli: il sito carbonbrief.org dà per scontate cose che andrebbero dimostrate in via preliminare.
    Alex, sono già in contatto con il prof. Pinna: gli chiederò se i suoi dati relativi agli eventi estremi sono disponibili o dove sono stati pubblicati.
    Il lavoro di Libertino et al., 2019 è molto interessante: il link citato da Duccio si riferisce alle Supplementary Informations mentre il link all’abstract è https://doi.org/10.1029/2019GL83371. Ho trovato il testo completo, accettato da GRL su https://www.researchgate.net/publication/333843951
    Non ci sono dati, ma le loro conclusioni sono “pesanti” e soprattutto sono una conseguenza di analisi approfondite.
    Credo che nessuno di noi abbia dubbi sul fatto che l’uomo può modificare il clima locale. Basta pensare alla nascita di un lago artificiale o, dall’inizio del ‘900, alla presenza di una grande fabbrica. L’effetto isola di calore nelle città è un altro esempio che viene in mente. Ma che sia possibile modificare “il clima senza aggettivi” è tutta un’altra storia. Franco

  3. Duccio

    Per l’Italia c’è questo studio del Politecnico pubblicato su Geophysical Research Letter
    https://agupubs.onlinelibrary.wiley.com/action/downloadSupplement?doi=10.1029%2F2019GL083371&file=grl59185-sup-0001-Libertino_et_al_SI.pdf

    Pare non sussistano evidenze statisticamente apprezzabili di un aumento dei fenomeni estremi.

    Il primo autore, Andrea Libertino, commenta “La complessità orografica e geografica dell’Italia non consente di concludere che vi sia in atto un aumento complessivo dell’intensità dei nubifragi nel nostro paese (…). Le analisi mettono piuttosto in luce specifiche condizioni locali, con aree dove l’aumento è statisticamente rilevante ed altre dove è invece evidente il contrario. Quanto all’aumento della frequenza con cui si manifestano gli eventi, dare una risposta è difficile ed i risultati non consentono ancora conclusioni significative”. (fonte https://poliflash.polito.it/ricerca_e_innovazione/bombe_d_acqua_in_aumento_in_alcune_aree_italiane).

    Da censurare il fastidioso termine “Bombe d’acqua”!!!!!

  4. ALEX

    Contatti il Prof.Pinna,lui ha tutti i dati sugli eventi estremi in Italia,in particolare le piogge intense!

  5. Dopo aver spedito l’articolo e a margine dello stesso, ho trovato una serie di dati di precipitazione intensa (>200mm/24 ore) dal 1950 al 2016 nella Spagna orientale e sud orientale. Questi dati sono stati divisi in numero di eventi ogni 10 giorni (decadi) e nella figura in basso mostro il loro grafico (valori smussati su 1 mese o 3 decadi).
    Il link al full text dell’articolo (del 2018, in spagnolo) è:
    https://www.researchgate.net/publication/334329930

    Dalla figura si nota che questi “eventi torrenziali (chiamati così nell’articolo) nel periodo 1950-1982 sono stati più frequenti che nel periodo 1983-2016, ancora a conferma del fatto che è difficile mettere in
    relazione l’aumento della CO2 con l’aumento degli eventi estremi.
    Purtroppo sappiamo anche che la teoria AGW non è falsificabile, essendo in grado (secondo i suoi estimatori) di dimostrare tutto e il contrario di
    tutto. Franco

    Immagine allegata

    • Fausto Cavalli

      Lo studio Carbonbrief mi pare poco convincente. Non spiega i motivi di attribuzione di determinati eventi al fattore umano, ma sembra dare per scontato che siccome il riscaldamento mondiale è opera dell’Uomo, quindi è ovvio che ad esempio le ondate di calore siano ad esso quasi per intero attribuite, così come la siccità. Tuttavia, guarda caso, l’intensità dei fenomeni piovosi non mostra incrementi significativi. Questo dovrebbe fare riflettere..

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