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Le precipitazioni invernali dell’area mediterranea degli ultimi 1,36 milioni di anni nella serie sedimentaria del lago Ocrida

Il gruppo di studio sui sedimenti del lago Ocrida sta pubblicando una grande quantità di articoli scientifici. Da circa una settimana su Nature ne è stato pubblicato un  altro segnalatomi dal prof. L. Mariani.

Mediterranean winter rainfall in phase with African monsoons during the past 1.36 million years
a firma di B. Wagner ed altri 47 ricercatori tra cui molti italiani (da ora Wagner et al., 2019).

L’articolo è molto interessante, ma rispetto a quelli che ho commentato nelle scorse settimane, le conclusioni cui giunge non mi trovano molto d’accordo, in quanto  utilizza un modello matematico per poter dimostrare le tesi degli autori. Sono piuttosto prevenuto nei riguardi di queste tecniche (verificare i dati sulla base di un modello matematico), ma in questo caso mi preoccupa il coefficiente di determinazione tra i dati e le simulazioni modellistiche (R2) che è pari a -0,38. Per i dati climatologici è considerato buono, ma non sono del tutto d’accordo.

I siti web che si interessano di climatologia, ambiente e via cantando, si sono buttati a pesce su questo studio, vaticinando estati sempre più calde e secche, maggiore instabilità ed estremizzazione dei fenomeni. Il tutto alimentato a dovere dalle interviste dei vari co-autori. Per chi voglia rendersene conto di persona, basta questa breve lettura. Nell’articolo non è scritto da nessuna parte che le estati saranno più calde e più secche, a meno che non si consideri previsione ciò che è scritto nell’incipit: il clima mediterraneo è caratterizzato da forti contrasti stagionali con estati secche ed inverni umidi. Questa non è una previsione, ma una constatazione.

Continuando nella lettura, si scopre che nell’ultimo milione e trecentomila anni, un aumento delle temperature marine ha sempre determinato un aumento della piovosità invernale, in quanto tale aumento rafforza il sistema di bassa pressione dell’Atlantico settentrionale, consentendogli di interessare anche il Mediterraneo nei periodi in cui la copertura glaciale continentale diminuisce ed aumenta la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera. Aumenta anche il numero di cicloni mediterranei e cambia l’intensità del monsone africano.

Dalla lettura di questa parte dell’abstract, sembrerebbe che un aumento delle temperature superficiali del mar Mediterraneo, effettivamente determini una maggiore instabilità del clima, ma è solo un’impressione perché da una lettura attenta dell’articolo, si capisce che le cose stanno diversamente. Se ciò non bastasse, appare illuminante il commento di uno degli autori che possiamo leggere alla fine di un’altra breve nota:

“We have to be careful. We can’t just take these results and say that if it gets warmer in the future there will also be more rainfall during winter in the Mediterranean,” Dr Francke said.

Questo commento è per me estremamente significativo perché conferma la mia interpretazione dell’articolo e, inoltre, dimostra la grande onestà intellettuale del dr. Francke, uno dei co-autori dello studio di cui sto discutendo e, quindi, persona molto più competente di me in materia climatologica. Detto in altre parole, nessuno può affermare che il riscaldamento globale in atto è in grado di generare stagioni calde e secche, maggiore instabilità climatica ed eventi più estremi, a meno che non si ammetta che il cambiamento climatico in atto abbia le stesse cause di quelli precedenti. Se partiamo, invece, dal presupposto che il cambiamento climatico attuale sia determinato dal diossido di carbonio, le conclusioni dello studio non sono automaticamente estensibili al clima futuro. Lo studio dice una cosa, la vulgata un’altra. Come al solito.

Con questo chiudo definitivamente la polemica e passo ad un breve commento di Wagner et al., 2019.

Come ho avuto modo di scrivere nei due precedenti commenti relativi ad articoli sui sedimenti del lago Ocrida (qui e qui), dal fondo del lago sono state estratte delle carote di sedimenti lunghe oltre 450 metri che hanno consentito di ricostruire le variazioni ambientali, geologiche, climatiche, biologiche e via cantando, verificatesi durante le ultime centinaia di milioni di anni. Wagner et al., 2019 ricostruisce la storia delle precipitazioni nell’area del Mediterraneo negli ultimi 1,36 milioni di anni e trova un’evidente teleconnessione con il monsone africano. Le mie perplessità riguardano questa evidente teleconnessione, ma è meglio procedere con ordine.

Il lago Ocrida è uno dei laghi più vecchi d’Europa ed il suo fondale non è mai stato interessato da fenomeni geologici tali da perturbare la regolare successione dei sedimenti. I ricercatori hanno provveduto alla datazione dei sedimenti utilizzando i depositi di tephra nei vari livelli. La tephra è un materiale piroclastico di varie dimensioni eruttato dai vulcani. Nella colonna stratigrafica del lago Ocrida si trovano diverse tipologie di questa particolare roccia, proveniente dalle eruzioni dei principali vulcani italiani a partire da circa 800.000 anni fa. L’analisi radiometrica di  tali materiali oltre alle tracce delle inversioni del campo magnetico terrestre, hanno consentito di datare con precisione i sedimenti analizzati.

Come ho indicato negli altri due post dedicati ai sedimenti del lago Ocrida, i ricercatori hanno provveduto a raccogliere tutta una serie di dati relativi alle abbondanze relativi di isotopi del calcio e del potassio, del carbonio organico ed inorganico ed a classificare i pollini di latifoglia  racchiusi nei sedimenti. Sulla base dei dati raccolti, Wagner et al., 2019, ha individuato la distribuzione delle precipitazioni nell’area del bacino idrografico del lago durante i periodi glaciali e durante gli interglaciali. I ricercatori hanno potuto accertare che le precipitazioni autunno-invernali che sono quelle più abbondanti nell’area del Mediterraneo, sono sempre state in relazione con i parametri orbitali terrestri. L’analisi wavelet delle precipitazioni consente, infatti, di individuare periodi di 100.000 anni, 41.000 anni e 21.000 anni. Durante i periodi interglaciali  (caratterizzati da alta insolazione dell’emisfero settentrionale e bassi volumi di ghiaccio continentale), quindi in presenza di condizioni climatiche calde, si notano forti picchi di dati di prossimità che indicano piogge abbondanti e una copertura vegetale di specie decidue della superficie del bacino idrografico. La prima situazione è derivata dalle concentrazioni relative di ioni del carbonio inorganico e ioni del calcio e del potassio; la seconda dalla presenza di pollini. Sembra accertato, quindi, che sia l’insolazione dell’emisfero boreale a determinare le precipitazioni nell’area del mar Mediterraneo. A  conclusioni simili anche se riferite a periodi temporali differenti,  erano giunti anche Wagner et al, 2017 e Francke et al., 2019.

Nei periodi glaciali, invece, le cose cambiano ed assistiamo ad inverni meno ricchi di precipitazioni e ad una copertura vegetale del bacino idrografico piuttosto rada e prevalentemente erbacea. In questi periodi sembra che l’insolazione dell’emisfero settentrionale non sia in grado di condizionare le precipitazioni nell’area del Mediterraneo.

Ottenuta la serie di precipitazioni dall’analisi dei sedimenti, i ricercatori hanno cercato di simulare le precipitazioni, utilizzando un modello di circolazione globale. La simulazione delle precipitazioni da parte dei modelli matematici, rappresenta il loro tallone di Achille. I risultati delle elaborazioni sono, infatti, molto diversi a seconda del modello utilizzato. Gli output modellistici riguardanti le precipitazioni, risultano affetti da grossa incertezza, in quanto i modelli non riescono a simulare le condizioni locali e generali che influenzano le precipitazioni (convenzione umida, morfologia del suolo, altimetria e via cantando) e, pertanto, entità e durata delle precipitazioni differiscono enormemente a seconda del modello utilizzato. La simulazione delle precipitazioni è stata sintonizzata considerando la cella contenente il lago Ocrida ed ha consentito di ottenere un coefficiente di determinazione di -0,38. Per me è poco, ma secondo gli autori è soddisfacente.

Il modello ha consentito di determinare, ovviamente, molti altri parametri climatici tra cui le posizioni delle celle di Hadley e di Feller. Conseguentemente è stata determinata la posizione della Zona di Convergenza Inter-Tropicale (ITCZ) e, quindi, si è potuto stimare il monsone africano. Se l’analisi viene ripetuta per diversi periodi temporali, si ottiene la variabilità di tali parametri climatici nel corso del tempo.

Sulla scorta dei risultati ottenuti, Wagner et al., 2019 giunge alla conclusione che il monsone africano e le precipitazioni invernali nell’area mediterranea sono in fase tra di loro, per cui esiste una ben precisa teleconnessione tra i due fenomeni. Entrambi sono guidati, pertanto, dalle variazioni dei parametri orbitali, dall’insolazione dell’emisfero settentrionale e dal volume di ghiaccio continentale. Quale ulteriore elemento di verifica i ricercatori hanno utilizzato anche i dati relativi allo speleotema cinese che riesce ad approssimare in modo piuttosto affidabile il monsone boreale ed alcuni depositi sedimentari del mar Mediterraneo orientale.

Wagner et al., 2019 si conclude con un auspicio: si augura che la serie di dati relativi alle precipitazioni del lago Ocrida, possa essere d’aiuto ai modellisti del clima per poter sintonizzare i loro modelli e, quindi, rendere minori le incertezze (oggi abissali) legate ai loro output. Molto interessante, infine, una parola che compare all’inizio dell’ultima frase dell’articolo: apparente. Essa si riferisce al confronto tra l’attuale aumento delle temperature globali ed i periodi caldi del periodo indagato dallo studio. Il suo significato effettivo è stato ampiamente spiegato dal commento del dr. Franke riportato all’inizio di questo post.

p.s.: Chi fosse interessato a leggere l’articolo completo, può cliccare sul link seguente. Qualora non dovesse funzionare, lo si può copiare e trascrivere nella barra del proprio motore di ricerca. Non garantisco il risultato in quanto il sito è piuttosto “instabile”.

https://www.researchgate.net/publication/335568236_Mediterranean_winter_rainfall_in_phase_with_African_monsoons_during_the_past_136_million_years

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Published inAmbienteAttualitàClimatologia

6 Comments

  1. Francesco Marangi

    Giovedí 12 settembre al tgradio Rai 2, se ben ricordo delle 12:00, una ricercatrice del cnr intervistata proprio sulla ricerca del lago ocrida ha concluso come da copione: a suo dire la ricerca ha dimostrato che nel passato nei periodi caldi, come lo è l’attuale e come lo saranno, manco a dirlo, ancor di più quelli futuri, gli eventi meteo erano estremi con le estati secchissime e gli inverni piovosissimi, sicché è confermato che stiamo andando incontro alla catastrofe climatica.
    Non c’è niente da fare: non abbiamo speranza contro il pensiero unico e la relativa macchina propagandistica.

  2. Paolo M.

    Grazie Donato per la risposta che mi ha risparmiato una tediosa lettura di un articolo che non porta notizie sconvolgenti alla conoscenza del clima passato.
    Doppio grazie, quindi, per tutto il lavoro che fai.

    Come pensavo, non si trattava di una teleconnessione ma di una coesistenza tra caratteristiche del monsone africano e della pioggia invernale sui Balcani.

    Si cita spesso in questo lavoro, mi pare di capire, l’insolazione estiva quale meccanismo che governa le fluttuazioni climatiche.

    A mio parere, quello è solo l’innesco.
    Il vero protagonista, direi quasi dinamico, dei cambiamenti della circolazione generale credo che stia nella costruzione progressiva delle immense calotte glaciali su Europa e America settentrionale e il cui disgregarsi repentino porta lo stato climatico a un altra situazione.

    I puristi direbbero che è un feedback, ma è quello che agisce dinamicamente con le correnti atmosferiche e oceaniche.

  3. Paolo M.

    Senza aver letto l’articolo, vorrei riformulare quanto in esso contenuto e descritto da Donato Barone.
    Durante un interglaciale sulla penisola balcanica piove molto in inverno, viceversa se fa freddo.
    Con tutto quel ghiaccio sul continente e associata alta pressione termica, da dove soffia il vento? Ovviamente da est, quindi secco. Se il ghiaccio sparisce, magia e i venti umidi dal mare tornano sui Balcani.
    Una scoperta rivoluzionaria davvero!
    Lo studio ha semplicemente confermato quanto già saputo.
    Un altro appunto.
    Che monsone africano e pioggia balcanica sia correlati non significa che siano teleconnessi.
    Magari il rapporto tra i due è meglio specificato nel testo, ma dal post si evince una semplice coesistenza.
    Donato, tu che hai letto, potresti chiarirmi cosa scrivono?

    • donato b.

      Paolo,
      hai messo molta carne a cuocere! 🙂
      Premesso che di queste cose tu ne sai molto più di me, mi azzardo a rispondere alla tua domanda ed a commentare le tue considerazioni. Sulla base di quello che ho capito, naturalmente.
      In merito alle tue considerazioni circa lo schema circolatorio, può essere d’aiuto la fig. 3 di Wagner et al., 2019. In tale figura si vede chiaramente lo schema circolatorio dominante del periodo settembre-dicembre sull’Europa durante i periodi piovosi. Una profonda depressione centrata tra le Baleari e la Corsica, convoglia aria umida marittima verso i Balcani. Come tu hai giustamente scritto, i venti soffiano da sud-ovest con intensità piuttosto sostenuta. Schema classico, se non erro, anche ai giorni nostri. Lo schema circolatorio di cui stiamo parlando è stato corroborato dalla rianalisi sviluppata su dati NOAA e dagli output del modello di circolazione globale LOVECLIM che, però, secondo gli autori sottostima le precipitazioni medie annue. Mi ha impressionato il periodo di rianalisi dei dati NOAA: 39 anni. Paragonato al periodo studiato mi sembra meno di un battito di ciglia.
      .
      Passando al problema della teleconnessione tra il monsone africano e le piogge balcaniche, gli autori partono dal confronto tra i dati di prossimità desunti dallo speleotema cinese e da altri depositi bentonici medio-orientali e quelli della carota del lago Ocrida. Sulla base di tali dati esiste una netta correlazione tra il monsone e le piogge balcaniche. In particolare esiste anche una correlazione tra i minimi di precessione ed i picchi di piovosità e di intensità dei monsoni. Detto in altre parole, i picchi di insolazione verificatisi durante i minimi di precessione, sono ampiamente riconoscibili tanto nei sedimenti balcanici che in quelli cinesi, per cui l’insolazione del nord emisfero sembra essere la forzante comune che guida i due fenomeni (monsoni e piogge balcaniche).
      Durante i periodi caldi (interglaciali) sembra che il meccanismo che regola le piogge balcaniche ed i monsoni africani, non sia tanto diverso da quello attuale. Durante l’estate si verifica un aumento dell’insolazione nell’emisfero boreale che determina , lo spostamento verso nord tanto della cella di Hadley che del’ITCZ e, quindi, una maggiore persistenza di alte pressioni sul Mediterraneo, con conseguente aumento delle temperature superficiali del mare.
      Durante l’inverno la ridotta insolazione determina lo spostamento verso sud tanto delle celle di Hadley e di Ferrel che dell’ITCZ.
      Tali spostamenti determinano intensità e durata delle piogge balcaniche e del monsone africano. Secondo gli autori la responsabilità di tali fenomeni, dovrebbe essere ricercata nei ridotti gradienti di temperatura latitudinali e nella particolare disposizioni delle correnti termiche.
      Le simulazioni modellistiche e le rianalisi dei dati NOAA sembrano avvalorare questo schema, per cui Wagner e collaboratori giungono alla conclusione che sia l’insolazione dell’emisfero settentrionale la forzante che determina tanto il comportamento del monsone africano che delle piogge balcaniche.
      Nei periodi glaciali i dati di prossimità dimostrerebbero che questo meccanismo si arresta, per cui variano le intensità delle piogge invernali nei Balcani e del monsone africano rispetto a quanto si verificava nei periodi caldi.
      Spero di essere riuscito a rispondere alla tua domanda.
      Ciao, Donato.

  4. Monica

    Un coefficiente di determinazione, essendo il quadrato di qualcosa, non può essere negativo (R² = -0.38 ?).

    • Donato Barone

      Monica,
      essendo R² il rapporto tra le somme di scarti quadratici, non può che essere positivo. Non riesco a spiegarmi la presenza di quel segno meno, anche perché nel testo dell’articolo di Wagner è chiaramente scritto R² = 0.38.
      Probabilmente un refuso o una mia banale (nonché deprecabile) distrazione. La ripetizione dell’errore qualche riga più sotto deriva da un pigro copia ed incolla.
      La ringrazio per la precisazione e chiedo scusa a lei ed a tutti i lettori per l’imprecisione.
      Ciao, Donato.

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