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Il CERN ritorna sulle nuvole

Quella di questo titolo è una licenza poetica. Nel nostro mondo, quello che guarda alla meteorologia e climatologia in termini scientifici, si parla di nubi, non di nuvole, come nel linguaggio comune. Questa precisazione, tutt’altro che superficiale, è del Prof. Franco Prodi, uno dei massimi esperti di fisica delle nubi del nostro Paese. Suppongo quindi che non me ne vorrà né per la licenza né per la citazione, seppur indiretta.

Le nubi, mantello spessore ed estensione variabili che copre costantemente una porzione molto ampia della superficie terrestre –  si va dal 56 al 68% in funzione della loro profondità ottica – hanno delle dinamiche fisico-chimiche di formazione estremamente complesse, su cui sussiste un margine di incertezza molto ampio che si riverbera inevitabilmente sulla qualità dei tentativi di simulazione del comportamento dell’intero sistema. In poche parole, senza conoscere e replicare con efficacia le nubi, difficilmente si potranno mai avere dei modelli climatici affidabili.

In queste dinamiche hanno un ruolo importantissimo gli aerosol, sia organici che inorganici, sia naturali che antropici, che sono i “semi” delle nubi, e l’interazione di questi con il bombardamento continuo di particelle ionizzanti cui è soggetto il nostro pianeta, i cosiddetti Raggi Cosmici. Già in molte altre occasioni, abbiamo parlato di una serie di esperimenti tenuti al CERN di Ginevra, in cui si è cercato, anche con molto successo, di simulare l’interazione tra le particelle ionizzanti e gli aerosol atmosferici, utilizzando una camera speciale in cui sono state riprodotte – quindi controllate – le diverse condizioni che si generano in atmosfera.

In questi mesi, apprendiamo da una news pubblicata proprio sul sito web del CERN, la campagna di ricerca denominata CLOUD, tenterà un nuovo approccio, non più simulando i flussi di raggi cosmici attraverso il generatore di particelle, ma osservando l’interazione degli aerosol con i raggi cosmici naturali all’interno della camera in cui vengono simulate le condizioni atmosferiche. In particolare, riporta Jasper Kyrby, team leader dell’esperimento, si cercherà di capire come questi interagiscano con le nubi di acqua liquida o ghiaccio, con lo scopo, parole testuali, di capire definitivamente in che modo i raggi cosmici incidono sulle nubi e sul clima.

Soltanto come complemento di informazione, invitandovi comunque a leggere quanto già pubblicato sull’argomento (per esempio qui su CM), ricordo che tutta la questione dell’interazione tra raggi cosmici, nubi e clima, è strettamente connessa con le variazioni dell’attività solare, che modula appunto i flussi che raggiungono la nostra atmosfera, ed è, incredibilmente, completamente ignorata dal mainstream scientifico quando si tratta di definire quali siano le fonti di variabilità naturale del sistema.

Non è affatto detto infine che al CERN sarà trovata la pietra filosofale, ma è ben difficile che si stia perdendo tempo ;-).

Enjoy.

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Published inAttualitàClimatologia

7 Comments

  1. A. de Orleans-B.

    @robertok06: grazie per la precisazione, non lo sapevo!

    Questo diminuisce la mia speranza di una ricerca / verifica indipendente.

  2. robertok06

    @A.deOrleans.B

    “Non credo che il CERN si limiterà a studiare l’influenza dei raggi cosmici sulla formazione delle nuvole…”

    Precisazione. Il CERN fornisce semplicemente le infrastrutture. (che non e’ poco, sia chiaro).

    L’esperimento CLOUD e’ finanziato da un consorzio di decine di enti di ricerca. Il CERN, in particolare, non fornisce alcun supporto scientifico diretto, non ci sono “scienziati del CERN” che ci lavorano su.

    Jasper Kirby, che viene spesso citato, e’ semplicemente uno dei tanti (+di 10mila) “users” del CERN, ma e’ affiliato ad una universita’ in Germania in questo momento.

  3. robertok06

    @guido

    Grazie dell’articolo.
    L’esperimento CLOUD e’ molto interessante, anche se difficile da capire e soprattutto, far funzionare “come il pianeta”… la presenza della camera a vuoto e di tutti i fenomeni che su di essa (la sua superficie) possono accadere e’ un problema maggiore non facile da risolvere.

    Vedremo… certo che il flusso di raggi cosmici naturali rispetto al flusso di protoni che il PS (proton synchrotron) gli “manda” di solito sono su due livelli completamente diversi!… ma forse hanno trovato come migliorare la sensibilita’ dei loro strumenti? Vedro’ se riesco a trovare altre info, qui al CERN.

    Altra cosa, comunque, stesso argomento:
    sull’ultimo numero di Nature, il 574… c’e’ un bell’articolo sullo stesso tema, nubi e CCN (cloud condensation nuclei)… questa volta misurati nell’atmosfera vera, del pianeta.

    L’articolo e’ qui…

    https://www.nature.com/articles/s41586-019-1638-9

    … chi fosse interessato all’rticolo completo non ha che da richiedermene una copia per e-mail.

    Vorrei solo riportare, e poi chiudo con una “schermata multipla” di figure e testo dell’articolo, la chiosa finale dell’abstract… che non mi sorprende per nulla! 🙂 LOL…

    “Our findings suggest that the production of CCN as new particles descend towards the surface is not adequately captured in global models, which tend to underestimate both the magnitude of tropical upper tropospheric NPF and the subsequent growth of new particles to CCN sizes.”

    (NPF=New Particle Formation)

    I “precisisssssssimi” modelli farlocchi colpiscono ancora.

    Saluti.

    Immagine allegata

  4. A. de Orleans-B.

    Formidabile, mi aspetto di tutto e di più.

    Non credo che il CERN si limiterà a studiare l’influenza dei raggi cosmici sulla formazione delle nuvole – l’appetito vien mangiando e quando avranno finito questa ricerca si domanderanno che effetto avrà sul clima questa generazione di nubi e voilà, cominceranno a modellizzare anche loro.

    Con almeno due “novità” importanti:

    – il CERN ha “in house” alcune delle capacità matematiche più avanzate esistenti sul pianeta e

    – gelosi come sono della loro indipendenza, credo che, nel loro caso, i loro risultati saranno poco influenzabili da chi finanzierà la loro ricerca.

    Godiamoci lo spettacolo… alcuni dei loro, compreso un premio Nobel, non furono ben trattati quando espressero le loro opinioni sul dibattito climatico e vorranno togliersi qualche sassolino dalle loro scarpe.

  5. Mario

    Magari avremo qualche dato veramente “scientifico” di cui parlare tra noi, maledetti “negazionisti” 🙂

  6. Alessandro

    “tutta la questione dell’interazione tra raggi cosmici, nubi e clima, è strettamente connessa con le variazioni dell’attività solare, che modula appunto i flussi che raggiungono la nostra atmosfera, ed è, incredibilmente, completamente ignorata dal mainstream scientifico quando si tratta di definire quali siano le fonti di variabilità naturale del sistema.”

    Mi è subito venuto in mente la prevalente caratteristica multidecennale di certi flussi che raggiungono la nostra atmosfera: i vari cicli multidecennali delle analisi spettrali di Franco Zavatti.

  7. rocco

    Questo minimo solare può essere un buon test per verificare se effettivamente il minor flusso di particelle solari favorisce l’aumento dei raggi cosmici e di conseguenza la formazione di più nubi come sperimentato in laboratorio da Svensmark 2017 https://www.nature.com/articles /s41467-017-02082-2
    Ovvio che non saranno solo i raggi cosmici a determinare la formazione delle nubi, saranno coinvolti i vari aereosol naturali ed artificiali, la temperatura ed altri parametri, almeno si potrebbero individuare i vari pesi che contribuiscono ad una corretta modellizzazione.

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