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I Tifoni in Giappone

La JMA (Agenzia Meteorologica Giapponese) produce e aggiorna la serie dei tifoni (in giapponese; nella versione inglese del sito non sono stato capace di trovare la pagina) che si sono formati nell’area giapponese dal 1951 ad oggi (settembre 2019). I dati sono forniti come eventi nei singoli mesi e come somma annuale.
L’istogramma del numero annuale dei tifoni è mostrato in figura 1 insieme al fit lineare che mostra una diminuzione del numero di eventi nel tempo.

Fig.1: Numero annuale di tifoni in Giappone. La linea rossa è il fit lineare e mostra una leggera diminuzione del numero di eventi. La pendenza della retta è (-0.4±0.3) eventi/decennio.

Anche in questo caso (altri esempi nei link a CM presenti nel sito di supporto), malgrado la crescita della temperatura globale e la (ipotizzata ma ormai assunta dai più come vera) sua dipendenza dalla concentrazione di CO2 e, in definitiva, dall’attività antropica, gli eventi estremi non mostrano alcuna crescita.
I dati mostrano ampie fluttuazioni e se si prova a filtrarli si ottiene il quadro superiore di figura 2, con una netta oscillazione che -sia chiaro- dipende dalla finestra di filtraggio e fornisce soltanto un’indicazione di massima sul comportamento del numero di tifoni per anno. Questa indicazione è però sufficiente per un’analisi spettrale del dataset, analisi che evidenzia nel grafico in basso un massimo a circa 27 anni come la caratteristica dominante, pur non mancando indicazioni di massimi tra 2 e 7 anni, caratteristici di El Niño.

Fig.2: Numero di cicloni per anno con il fit lineare di figura 1. La linea rossa è un filtro passa-basso di finestra 15 anni. Da notare l’evidente andamento oscillante (che in parte dipende dalla finestra del filtro). In basso lo spettro MEM degli stessi dati: il massimo spettrale a 27.2 anni domina completamente lo spettro ed è mostrato nell’oscillazione del grafico in alto.

Il periodo del picco principale è ben rappresentato dalla curva rossa del filtro dove la distanza tra il primo massimo a sinistra e il successivo è di 24 anni (1990-1966) e la distanza tra i due minimi è di 28 anni (2006-1978). Con un semiperiodo di circa 13 anni si può prevedere che il 2019 è l’anno di un altro massimo relativo. Possiamo quindi immaginare che quest’anno sarà più ricco di eventi dei precedenti (in media, dei precedenti 13 e oltre); questo alla conclusione della stagione dei tifoni, a novembre come si vede in figura 3.
A me sorge il sospetto che il riscaldamento globale antropico abbia ben poco a che fare con il numero dei tifoni nel mar del Giappone e che i “gridi di dolore” lanciati da divulgatori e giornalisti sulla sorte del pianeta siano, almeno in questo caso, del tutto fuori luogo.

Come accennato sopra, la figura 3 mostra l’andamento mensile del numero di tifoni, con i mesi mostrati in coppia per evitare grafici troppo confusi.

Fig.3: Numero mensile dei tifoni in Giappone da cui appare chiaramente che la stagione dei tifoni va da giugno a novembre, con un crescendo fino ad agosto -settembre e una successiva diminuzione degli eventi. In ogni quadro il la linea nera mostra il primo dei due mesi rappresentati e la linea rossa il secondo.

Si vede bene che gennaio e febbraio sono mesi di bassa o bassissima attività e che ad aprile qualcosa comincia a muoversi nel Mar del Giappone; da maggio ad agosto-settembre si raggiunge il massimo di attività che a novembre decade per poi tornare ai livelli minimi a dicembre. Un aspetto importante di questo grafico e che in nessuno dei mesi si nota un sistematico aumento dell’attività, soltanto fluttuazioni attorno ad un valore medio costante.

L’Oscillazione Decadale del Pacifico
Il massimo spettrale a 27 anni fa pensare che l’oscillazione principale della presenza dei tifoni possa dipendere da un agente esterno che nel Pacifico potrebbe essere l’oscillazione decadale del Pacifico o PDO. Oltre a El Niño, esistono altre oscillazioni su larga scala e teleconnessioni (tipo la PNA tra il Pacifico e il nord Atlantico) le cui interazioni potrebbero avere una influenza sui tifoni, ma credo che la PDO sia la più significativa e per questo userò solo questa serie. Di seguito presento due serie temporali della PDO, una dal 1000 al 2000, ricostruita, e l’altra dal 1900 al 2018, osservata, insieme ai loro spettri.

Fig.4: La PDO dal 1000 al 2000. Dal 1900 si sovrappone (linea rosa) la PDO prodotta da Mantua (è la pdo-latest-mo.txt usata in figura 5).
Fig.5: La PDO dal 1900 al 2018.

Dalle due serie possiamo derivare l’indicazione che una oscillazione compatibile con quella dei tifoni si trova nello spettro della PDO “lunga” ma non in quello della PDO di Mantua, tranne una possibile increspatura dello spettro attorno a 27 anni (non indicata in figura 5), per nulla significativa. In queste condizioni è difficile attribuire alla sola PDO la modulazione della frequenza dei tifoni e bisogna immaginare altri condizionamenti presenti nel Mar del Giappone.
A questo scopo ho ricontrollato due grafici, già pubblicati in Mariani et al.,2018, per brevità disponibili solo sul sito di supporto.

  1. La serie della data di fioritura del ciliegio a Kyoto (Giappone, Aono e Kazui, 2008), il CFD, dall’800 al 2000, che però nello spettro non mostra picchi che si avvicinino ai 27 anni dei tifoni.
  2. La serie di anelli di accrescimento del ginepro a Wulan, Cina, ancora tra l’800 e il 2000, che mostra un massimo evidente, anche se non tra i più importanti, a 28.5 anni. Ma siamo in Cina, piuttosto lontano dal Giappone.

In definitiva, i tifoni che si formano attorno al Giappone mostrano una frequenza di apparizione che diminuisce nel tempo, cadenzata da una periodicità di 27 anni di cui non è chiara l’origine.

I dati di questo post sono disponbili nel sito di supporto.

Bibliografia

 

  • Yasuyuki Aono and Keiko Kazui: Phenological data series of cherry tree flowering in Kyoto, Japan, and its application to reconstruction of springtime temperatures since the 9th century Int. J. Climatol.,28, 905-914, 2008. http://dx.doi.org/10.1002/joc.1594.
  • L. Mariani, G. Cola, O. Failla, D. Maghradze, F. Zavatti: Influence of Climate Cycles on Grapevine Domestication and Ancient Migrations in EurasiaScience of the Total Environment635, 1240-1254, 2018. doi:10.1016/j.scitotenv.2018.4.175
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Published inAttualitàClimatologia

8 Comments

  1. CARLO CONVERSANO

    Da semplice cittadino, senza alcuna istruzione specifica in merito all’argomento del cambiamento climatico, vorrei fare una domanda a Franco Zavatti che si definisce scettico come una persona che non crede (o almeno non senza prove che allo stato attuale non sono sufficienti) al fatto che l’uomo e le sue attività possano modificare il clima terrestre….
    La domanda è la seguente: Se ogni specie vivente modifica più o meno profondamente l’ambiente in cui vive e l’ambiente e clima sono comunque connessi, perché l’uomo in quanto specie che modifica l’ambiente non dovrebbe anch’esso avere influenza sul clima? Resta da vedere quanto e come ma non credo si possa rifiutarla a priori. Grazie. l

    • Lei mi pone una domanda precisa con un tono e un modo che ritengo giusti e corretti e non ho difficoltà a risponderle.
      Dopo aver risposto alla sua domanda, però, mi permetterà di aggiungere alcune considerazioni che, alla fine, potrebbero risultare meno corrette e gentili di quanto vorrei.

      Inizio a risponderle dicendo che clima e ambiente sono due cose distinte che nulla hanno a che fare l’una con l’altra: lo so che la martellante propaganda in voga di questi tempi spinge in una direzione diversa, ma
      è costretta a farlo perché altrimenti non saprebbe come legare l’ambiente alle emissioni industriali e alla volontà più volte manifestata di voler organizzare una diversa struttura socio-produttiva e il trasferimento di attività industriali “pesanti” verso i paesi in via di sviluppo. Solo con la paura della “distruzione del pianeta” (concetto mai spiegato esattamente, lasciato alla fantasia e capacità dei singoli) questi signori possono spingere al trasferimento di ricchezza verso altri lidi.

      Allora: “l’uomo modifica l’ambiente e QUINDI modifica il clima” è un concetto sbagliato e inaccettabile. Certo, l’uomo modifica l’ambiente, in qualche situazione può modificare parametri meteorologici, tipo il regime
      delle piogge attorno al lago Nasser dopo la costruzione della diga di Assuan o, come ha abbondantemente fatto nei secoli e nei millenni trascorsi, distruggendo le foreste europee (e poi quelle americane) a fini agricoli o
      energetici; quello che ha fatto è stata una modifica della meteorologia, non del clima. Come certamente saprà, il clima è per definizione la media su 30 anni del tempo meteorologico cioè è uno “smussamento” verso un valore medio della meteorologia globale (anche locale, ma vorrei che pensasse a quanto potrebbe incidere sulla media trentennale della Puglia l’effetto Ilva).
      Modificare il clima significa mettere in gioco energie che l’uomo non possiede (o se le possiede sono armi di distruzione che quindi devono agire per un tempo breve o molto breve e, ancora, nella media non contano nulla o
      quasi).
      Tutto quanto ci viene detto sugli scenari futuri deriva da modelli matematici che non sono in grado di prevedere nulla, in particolare perché le loro previsioni si sono dimostrate, finora, sempre sbagliate, sempre troppo “ricche” di retroazioni positive che portano alla catastrofe (lei dia pure a questo termine il significato che preferisce. Io so come si scrive ma non so più cosa significhi) mentre la storia della Terra ci dice esattamente il contrario: è in piedi da 4.5 miliardi di anni e quella “catastrofe” non ha intaccato la sua esistenza.

      Non so se ho ben interpretato l’ultima frase del suo commento, ma mi ricorda tanto il famigerato e cosiddetto principio di precauzione: noi non siamo i figli minori, da tutelare, dei nostri governanti e non abbiamo alcun bisogno di essere tutelati. Abbiamo bisogno che gli eletti siano al nostro servizio, se vogliono, ma non abbiamo bisogno di essere noi al loro servizio in modo
      che controllino ogni aspetto della nostra esistenza.

      In conclusione, se lei crede sia necessario battersi per l’ambiente, lo faccia, magari comportandosi da persona civile e non da esaltato. Avrà certamente il mio appoggio. Ma per favore non tiri in ballo il clima che
      nulla ha a che fare con l’ambiente, solo con le menti “un po’ così” dei fanatici che vogliono a tutti i costi propagandare e far vincere le loro idee sbagliate.

      Non ho dettagliato di più perché ho visto che lei ha letto (e citato) il mio scritto, presente nella barra destra di Climate Monitor. Franco

      Chiusa questa prima parte, vorrei far notare -in via del tutto generale- che gli scettici non propongono nessuna teoria: si limitano ad osservare quanto succede e a registralo. Chi invece propone il riscaldamento globale
      antropogenico (AGW) crede di aver presentato una teoria (falso: è un’ipotesi non dimostrata) e come “presentatore” ha l’obbligo di dimostrare che TUTTI i suoi risultati sono confortati dalle osservazioni, in tutte le situazioni possibili; invece noto sempre più spesso che questi signori chiedono a noi di dimostrare qualcosa, restandosene seduti in poltrona a criticare le nostre scelte. In realtà sono loro che devono dimostrare tutto e siamo noi a restarcene in poltrona a criticare le loro convinzioni (sono sempre convinzioni, mai dimostrazioni che sarebbero obbligati a fornire).
      Questo sistema si chiama rovesciamento dell’onere della prova e io sono stanco di essere sottoposto in un modo o nell’altro a questa tecnica. Come ho scritto
      sopra, c’è un mio testo (nel quale metto, letteralmente, la faccia) su CM. Ho scritto in un’altra occasione che io il mio compito a casa l’ho fatto: adesso tocca ad altri fare il loro e leggere (e magari capire) quanto ho scritto.

  2. donato b.

    Caro Franco,
    Leggendo i tuoi interessantissimi articoli, mi rendo sempre più conto di quanto sia improba la battaglia. Stiamo cercando di capire il sistema climatico, ma la sua complessità è tale da far perdere la speranza. In campo scientifico capire come funziona qualcosa, significa essere in grado di prevederne il funzionamento. Nel nostro caso siamo ben lontani dal riuscire a prevedere quasi tutto quello che riguarda il clima.
    .
    Mi meraviglio, perciò, quando sento qualcuno che è pronto a giurare di conoscere ciò che farà il clima di qui a cent’anni. Anzi di prevedere il livello del mare, i fenomeni estremi, l’evoluzione delle masse glaciali terrestri e marine. Ammesso e non concesso che le temperature siano determinate dalla concentrazione di CO2, al massimo riusciremo a prevedere queste maledette temperature globali e, credo, con margini di incertezza anche piuttosto ampi. Per il resto avremo grandi delusioni. Sono un po’ pessimista, ma stasera va così! 🙂
    .
    Entrando nel merito della tua ultima fatica e contestualizzando il discorso fatto fino ad ora, noto, con profondo rammarico, che quello che sembra entrare dalla porta…. sfugge dalla finestra. Mi spiego meglio.
    Leggendo quanto tu scrivi mi ringalluzzivo in quanto vedevo emergere dai calcoli una qualche regolarità nell’evoluzione dei tifoni in Giappone: il periodo di 27/28 anni circa sembrava legato all’Oscillazione Pacifica Decadale. Quando ho visto che la correlazione sparisce se si considerano le serie secolari, invece di quelle millenarie, ci sono restato un po’ male. Ci è andata male anche questa volta! 🙂
    .
    I tifoni giapponesi, come tutti gli altri aspetti climatici più rilevanti, continuano ad essere refrattari ad ogni tentativo di comprensione. Possiamo avanzare solo ipotesi, ma di leggi non si vede ombra. Eppure sembra che per alcuni la scienza del clima sia ormai definita e che restino da sistemare solo i dettagli. Non esiste cosa peggiore della presunzione umana.
    .
    Per quel che mi riguarda la conclusione cui possiamo giungere è una sola: dobbiamo studiare e studiare ancora di più. Solo in questo modo possiamo sperare che qualcuno, in un futuro più o meno lontano, possa scrivere: “In definitiva, i tifoni che si formano attorno al Giappone mostrano una frequenza di apparizione che diminuisce nel tempo, cadenzata da una periodicità di 27 anni di cui [finalmente è] chiara l’origine.” Spero di poterlo vedere! 🙂
    Ciao, Donato.

    • Caro Donato,
      “Sono un po’ pessimista, ma stasera va così! :-)”
      Del tutto normale, succede.
      Invece io, non particolarmente ottimista di natura, oggi lo sono e molto: è il primo anniversario dell’operazione a cuore aperto (più tre by-pass; mi hanno fatto il tagliando, dico spesso) e mi sento in ottima forma, vado in bicicletta, cammino, salgo sulla scala a riparare la tapparella, ho guadagnato in fiato e resistenza. Vedo le cose da una luce diversa e migliore; anche il fatto di non aver capito a cosa sia dovuta la periodicità di 27 anni nello spettro dei tifoni mi sembra un problema minore: per me è stato importante aver messo in evidenza che questa periodicità esiste (non l’avevo mai osservata
      in altre manifestazioni simili come cicloni tropicali dell’Atlantico o tornado, ma tornerò a guardare meglio …) e da questa poter immaginare come andranno all’incirca le prossime stagioni. Vedrai, prima o poi qualcuno troverà la causa (o l’insieme di concause) che genera quel massimo spettrale. Ciao. Franco

    • Donato Barone

      Caro Franco,
      sono felice per le tue condizioni di salute e convengo con te circa l’importanza relativa delle cose di cui parliamo. A volte la vis polemica ci fa perdere di vista le cose veramente importanti e la salute è certamente una delle più importanti.
      Ciao, Donato.

  3. Buongiorno, mi viene spontanea una domanda che magari da non metereologo mi pare comunque una cosa strana.

    Ho letto sul vostro blog (complimenti vivissimi, interressantissimo!) che sull’ equatore non si sono registrati aumenti di temperature legati al global warming.

    Ma questa cosa non è in totale contraddizione con l effetto serra della co2 (e non solo).

    Mi spiego , all’ equatore l irraggiamento e quindi la temperature sono ai massimi rispetto ad altre parti del solo. Ora questo fa sì che, in virtù del maggiore riscaldamento, la radiazione terrestre in tali luoghi sia maggiore. Maggiore radiazione in uscita dovrebbe comportare maggiore riscaldamento dell’ atmosfera.

    Mentre la realtà empirica e l osservazione mostrano altri dati e il riscaldamento maggiore si ha dove c’è minore irraggiamento.
    Non pare strano? O forse ci sono altri fenomeni fisici che possano giustificare tale bizzarro aspetto

    Cordiali saluti
    Leo

    • Tento una spiegazione, ma neanche io sono meteorologo e spero che qualcuno più ferrato di me possa fornire qualcosa di meglio.
      E scontato che la posizione relativa Terra-Sole fornisca a quest’ultima tutta l’energia di cui ha bisogno e che la descrizione che lei ha fatto sia quella corretta se consideriamo che il sistema Terra (atmosfera, terra,
      oceani) è una macchina termica che ha un’unico scopo “nella vita”: deve trasportare il calore in eccesso dai tropici verso le latitudini maggiori in modo che il sistema sia sempre in equilibrio (o almeno provi ad esserlo).
      Il “riscaldamento maggiore si ha dove c’è minore irraggiamento” non significa che andiamo normalmente nelle assolate e deserte (e ghiacciate)
      spiagge del grande nord a prendere caldo e sole mentre andiamo alle Bahamas con il piumino. Significa che la macchina termica funziona, trasportando il calore dove ce n’è meno e sottraendolo da dove ce n’è di più, qualunque sia la causa che l’ha generato.
      Allora, pur con tutte le variazioni possibili e immaginabili, al nord (e al sud) arriva una maggiore quantità di calore e la temperatura ha maggiori variazioni verso l’alto (cresce), mentre ai tropici (la massima insolazione si ha ai tropici dove il Sole arriva allo zenit: ricorda la misura del meridiano terrestre fatta da Eratostene e il pozzo ad Assuan/Siene?) la temperatura è più uniforme, e guai a noi se non fosse così. Franco

    • Franco direi che ti sei guadagnato i galloni…
      Aggiungo soltanto che alle latitudini intertropicali il trasposrto del calore verso l’alto avviene quasi interamente per convezione, mentre alle medie e alte latitudini avviene a mezzo della circolazione atmosferica. Questo redistribuisce il calore in modo che si accentui il riscaldamento verso le alte latitudini.
      gg

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