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CAMBIAMENTO CLIMATICO E CACCIA – Alcune riflessioni in chiave storica ed evolutiva

Sintesi dell’intervento tenuto l’8 febbraio scorso dal prof. Luigi Mariani* alla fiera di Vicenza, nell’ambito di “Hit Show 2020, HIT Show, Fiera della caccia, del tiro sportivo e dell’outdoor”, su invito dell’Anpam (L’ANPAM è l’Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni Sportive e Civili). Il testo è stato pubblicato in origine sul sito della Società Agraria di Lombardia – http://www.agrarialombardia.it/news/

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L’intervento è fondato sul principio secondo cui per comprendere attualità e tendenze della selvaggina stanziale e migratoria e di conseguenza della caccia occorre una visione ecosistemica, nel senso che Il cambiamento climatico non può essere disgiunto dal cambiamento ambientale (il tutto da leggere in modo contestuale). Ciò in quanto su presenza e numerosità di una specie animale il clima agisce sia in modo diretto (es. cardinali termici) sia indiretto (espansione, contrazione, frammentazione degli habitat, effetti sul pabulum e sui predatori, ecc.). Alla luce di ciò potremmo ad esempio domandarci cosa accade alla fauna delle dune costiere se si edifica un villaggio turistico, al cui seguito giungono non solo esseri umani ma anche cani, gatti, topi, impianti di balneazione, ecc. O ancora potremmo domandarci cosa accade alla fauna delle praterie di media montagna se l’agricoltura abbandona tali aree e prati e pascoli sono sostituiti da boscaglie. Tutto ciò è complesso da trattare ed è più semplice adottare approcci riduzionistici del tipo “è tutta colpa del cambiamento climatico”.

Fatta queste premessa il relatore ha descritto i tre pilastri del sistema climatico e cioè l’equilibrio energetico (energia che la Terra emette verso lo spazio pari a quella ricevuta dal Sole), l’effetto serra (essenziale per avere temperature utili con la vita – è come se la superficie fosse scaldata da 2 soli) e la circolazione atmosferica e oceanica da cui dipende il riequilibrio dello scompenso energetico fra equatore e poli continuamente reimposto dal sole. A ciò si aggiunga che l’acqua è al cuore della macchina del clima (principale gas serra, vettore di energia nella circolazione). Inoltre le emissioni antropiche di gas serra sono in prevalenza emissioni di CO2 che come gas serra è secondo per importanza solo all’acqua ma è pure il gas della vita per il suo ruolo nella fotosintesi (e di tale dualismo si deve tenere sempre conto).

A ciò si aggiunga che le temperature globali sono aumentate dopo la fine della Piccola era glaciale (PEG – 1350-1850) e che le emissioni antropiche di CO2 giocano un ruolo significativo in tale fenomeno a partire dagli anni 50 del XX secolo.

Importanza dell’approccio storico in fatto di clima e caccia

La storia è essenziale per dare un senso al passato e per aiutarci a comprendere il presente e progettare il futuro. Il clima della terra ha 4,5 miliardi di anni e nel passato ne ha viste di cotte e di crude, per cui la nostra specie e i nostri antenati convivono da sempre con il cambiamento climatico che ha lasciato impronte indelebili nel nostro patrimonio genetico e nella nostra stessa cultura (figura 1), da quando i primi primati calcarono la superficie del pianeta, circa 60 milioni di anni fa, durante il torrido Eocene. Per approfondire tali tematiche occorre premettere che una legge non scritta della paleoclimatologia recita che la storia del clima è come un tunnel oscuro illuminato da luci fioche e poste a distanza crescente man mano che saliamo il fiume del tempo. Osservando il clima degli ultimi milioni di anni un esempio molto importante per capire il nostro rapporto con la caccia ci viene dalle gradi aridificazioni del Miocene (da 23 a 5 milioni di anni fa).

In Africa, culla degli ominidi da cui discendiamo, si registrano alcune fasi climatiche di intesa aridificazione (Middle Miocene Climatic Transition – MMCT, 16 Mio di anni fa e Messiniano, 7 Mio di anni fa) con scomparsa delle foreste sostituite da grandi savane di erbe alte. Proconsul (Miocene precoce) e Nakalipithecus (Miocene medio) sono ominoidi arboricoli di ambiente forestale. Con la scomparsa delle foreste furono catapultati in ambienti di savana in cui la selvaggina era abbondante ma bastava un attimo per trasformarsi da predatori in prede dei grandi carnivori. Nelle savane (si pensi al capitolo iniziale del film “2001 Odissea nello spazio”) si selezionano alcuni tratti distintivi della nostra specie e cioè la visione frontale, il pollice e l’indice opposti che consentono l’uso di attrezzi (Homo habilis) e la stazione eretta per scrutare lontano fra le erbe alte (Homo erectus). A ciò si possono secondo alcuni aggiungere l’archetipo di paradiso terrestre forestale, proposto ad esempio nella Genesi, e il radicato pessimismo legato all’istinto di conservazione, che peraltro ci aiuta a capire e in qualche modo a giustificare le profezie di fine del mondo che ci accompagnano da millenni.

Due milioni e mezzo di anni orsono, per la prima volta dopo parecchi milioni di anni, le temperature
scendono al di sotto di quelle odierne e si assiste a una quindicina di ere glaciali della durata di circa 80.000 anni alternate a fasi interglaciali calde della durata di 10-20.000 anni. In particolare nel corso della
glaciazione di Wurm, circa 36000 anni orsono, i nostri antenati Homo sapiens (il cosiddetto uomo di CroMagnon) giungono in Europa e dobbiamo immaginarceli come esseri evoluti e per i quali il vestiario e le attrezzature (armi, tende, ecc.) sono garanzia di sopravvivenza in un ambiente ostile (un poco come i
moderni Inuit).

In tale contesto ecologico la caccia garantisce apporto concentrato di proteine e vitamine essenziale per
garantire lo sviluppo armonico del cervello e della socialità. Inoltre dalla caccia viene la domesticazione
degli animali in virtù dell’abitudine dei cacciatori di portare in dono ai bambini i cuccioli degli animali
uccisi. Nel caso di specie gregarie il cucciolo identifica nell’uomo il capobranco e diviene domestico. E’ così che sono stati probabilmente domesticati il cane (Siberia, 35.000 anni fa), gli ovini, i caprini, i bovini, gli equini, ecc.

Figura 1 – Due libri per riflettere sul rapporto fra clima, cultura e società nell’Olocene. La copertina di quello di Wolfgang Behringer riporta una scena di caccia invernale durante la Piccola era glaciale.

L’Olocene

11.000 anni orsono inizia l‘olocene e in gran parte del mondo finisce la fase di caccia-raccolta e nasce
l’agricoltura (rivoluzione neolitica). Fra le due fasi si colloca Il mesolitico (fase di transizione fra cacciaraccolta e agricoltura) durante il quale i reperti archeologici mostrano che i cacciatori allestivano campi estivi sulle Alpi per cacciare il cervo. L’Olocene si caratterizza per l’alternanza di fasi calde (optimum) e fasi fredde (deterioramenti). La fase più calda in assoluto (grande optimum postglaciale) si colloca fra 8500 e 5500 anni fa ed in tale fase scompaiono quasi totalmente i ghiacciai dalle Alpi. La fase più fredda e di più intensa avanzata glaciale dopo la fine dell’ultima glaciazione è la PEG (1350- 1850) simboleggiata ad esempio dal famoso dipinto dei cacciatori di Pieter Bruegel il Vecchio (Kunsthistorisches museum di Vienna).

L’attualità

Nel 1850 finisce la PEG ed entriamo in una fase via via più calda con un aumento delle temperature globali di di poco meno di 1°C dal 1850 ad oggi mentre la quantità e l’intensità delle precipitazioni ha subito modifiche assai più modeste. Infatti se in media a livello globale piovono 1050 mm (Pidwirny M. & Jones S., 2018), rispetto a tale valore le anomalie sono modeste e l’analisi visuale dello scostamento dalla media 1961-90 indica che la serie storica delle precipitazioni globali per il XX secolo è stazionaria.

Alcune conseguenze di tali tendenze sono:

  • maggiore durata del periodo vegetativo per piante spontanee e coltivate
  • riduzione del periodo di letargo degli animali selvatici
  • cambiamento nelle epoche di migrazione
  • arretramento glaciale generalizzato salvo eccezioni a carattere locale (ad es. ghiacciai scandinavi)
  • mutato innevamento, anche con alcuni effetti controintuitivi (ad es. nel centro-nord Europa si registra un aumento dell’innevamento autunnale e una diminuzione in primavera)
  • scarse modifiche nel regime delle precipitazioni
  • aumento della biomassa vegetale globale (global greening) per effetto degli aumentati livelli di CO2. Ciò significa più biomassa forestale e di prateria e dunque più pabulum per la selvaggina.
  • espansione della vegetazione arborea in latitudine e altitudine.

Con il termine di global greening si indica l’effetto combinato di concimazione carbonica e condizioni
termo-pluviometriche favorevoli alla vegetazione e che si traduce in una aumento sensibile della biomassa vegetale globale. Ciò dovrebbe in teoria portare a un incremento degli incendi boschivi mentre in realtà stiamo assistendo a un significativo trend in calo sia nelle superfici totali percorse dal fuoco che nel numero totale di incendi e ciò tanto a livello globale che a livello euro-mediterraneo. Ciò significa a mio avviso che le politiche di prevenzione stano funzionando e rappresentano un significativo esempio di adattamento al clima che cambia.

A livello italiano assistiamo al sensibile aumento delle ondate di caldo (numero di giorni annui con
temperature superiori a 33 e 35 °C) e al calo dei giorni con gelo, all’aumento della stagione vegetativa
(periodo fra ultima gelata primaverile e prima gelata autunnale).

Cambiamento climatico e cambiamento ambientale

L’effetto del cambiamento climatico va a sovrapporsi a rilevanti cambiamenti ambientali che a livello
nazionale si sostanziano in modifiche degli ordinamenti colturali con l’aumento delle superfici a colture
estive intensive come il mais e l’abbandono dell’agricoltura in alta collina e media montagna, con prati e
pascoli sostituiti dal bosco o più spesso dalla boscaglia. Si noti che il bosco si espande in modo rilevantissimo (+ 140% dal 1910 ad oggi) perché l’agricoltura si concentra nelle aree più produttive (pianura e bassa collina).

Cambiamento climatico e ambientale a livello italiano hanno conseguenze per a selvaggina fra le quali
ricordiamo a titolo di esempio la stanzializzazione di alcune specie un tempo migratorie (es: baccaccia che vive nel bosco e può accedere ai lombrichi anche in inverno per via del suolo non più gelato, per cui non migra più verso Sud Italia e Nord Africa; colombaccio che trova più facilmente cibo in autunno – residui colturali di cereali estivi – o si insedia nelle città). Altri effetti notevoli sono la sparizione della fauna che si giova della vicinanza dell’uomo (starne, fagiani, lepri..), l’arrivo dei tordi sempre più irregolare e posticipato, l’estinzione della starna italica (specie steppica legata ai cereali autunnali) e la scomparsa delle brigate di coturnici dovuta al fato che gli habitat rocciosi a loro favorevoli divengono più boscosi consentendo l’insediamento di ungulati (cervi, caprioli e cinghiali) come nel caso del Campo dei Fiori in Lombardia. A ciò si aggiunga per l’avifauna la forte mortalità dei piccoli che si osserva in primavere piovose.

Le conseguenze per la caccia si riassumono nel fatto che fino agli anni ’80 la caccia era rivolta soprattutto alla piccola selvaggina stanziale (pernici, fagiani, lepri) e migratoria (starne, ecc.) mentre in seguito domina sempre più la caccia agli ungulati (cervi, daini, mufloni, cinghiali). Ciò si traduce nel passaggio dalle armi a canna liscia per la caccia alla piccola selvaggina alle carabine per la caccia agli ungulati, con sensibili ricadute sull’industria delle armi.

Prospettive ambientali globali e ruolo della caccia

Per i prossimi 50 anni sono a mio avviso da attendersi:

  • aumento delle temperature con incertezza sul “quanto” (secondo IPCC sono equiprobabili valori al 2100 di +1.5/+4.5°C rispetto alla fine della PEG e di +0.6/+3.6 rispetto a oggi)
  • evoluzione oltremodo incerta per le piogge (Ipcc AR5, cap 9, pag. 749)
  • urbanizzazione sempre più spinta e improbabile espansione delle aree agricole, per cui sarà inevitabile l’ulteriore intensificazione dell’agricoltura
  • necessità di gestire popolazioni di ungulati e di altre specie invasive non in equilibrio che provocano danni all’uomo (incidenti stradali) e alle colture oltre a favorire la diffusione di grandi carnivori (lupo)
  • necessità di tutelare gli habitat delle specie selvatiche alla luce delle forzanti (naturali e antropiche) che su di essi agiscono modificandone estensione e livelli di frammentazione (es: occorrerà tutelare i pascoli montani dal degrado, altrimenti le specie vegetali e animali che sono di essi tipiche si estinguono o, nel caso degli animali, cercano foraggio più in basso invadendo territori abitati dall’uomo.

Conclusioni

Dai dati mostrati emerge che non ci è dato di cogliere “olocausti climatici” dietro l’angolo ma rilevantissime opportunità di adattamento al cambiamento climatico tramite la corretta gestione delle risorse naturali. Emerge il ruolo essenziale della caccia per ripristinare e mantenere l’equilibrio fra le specie e per presidiare il territorio. In questo un’attività di caccia condotta in modo razionale può integrarsi in modo ottimale con l’attività agricola.

*Università degli studi di Milano – Disaa;
 Società Agraria di Lombardia;
 Museo Lombardo di Storia dell’Agricoltura

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Published inAmbienteAttualitàClimatologia

16 Comments

  1. rocco

    @ guidi
    mi scusi per la fretta, è un argomento interessante ed aggiungo che il concetto di “pompa” che sposta gli animali in funzione dei cambiamenti climatici l’ho trovato anche in “La lunga estate” di Brian Fagan (Codice Edizioni 2005) nel capitolo 8 dove parla del deserto del Sahara e dei suoi cambiamenti a seguito della variabilità della ITCZ (Zona di convergenza intertropicale)
    Scusi ancora e spero in ulteriori commenti da parte di brillanti autori del blog

  2. rocco

    scusate, avevo lasciato dei commenti con link a studi scientifici che arricchivano la discussione.
    Non vi sono sembrati interessanti?

    • Rocco, certamente si, ho solo tardato a moderarli. Abbi pazienza.
      gg

  3. rocco

    aggiungo anche questi altri due paper che dimostrano l’esistenza di primati anche in Europa e che forse l’ipotesi che il clima con le sue glaciazioni ed interglaciazioni abbia fatto da “pompa” per l’espansione e la contrazione delle popolazioni ominine, ma non solo, avanzata da Botteri non sia tanto campata in aria.
    In effetti la prima strategia che adottano le specie viventi per affrontare i cambiamenti climatici è l’emigrazione.
    Oggi, ad esempio, con il riscaldamento dei mediterraneo si stanno espandendo popolazioni tipiche del mar Rosso, trovando condizioni favorevoli alla loro omeostasi.
    Non mi convince molto il concetto di specie aliene in quanto gli habitat e gli ecosistemi non sono fissi, ma si adattano alle condizioni ambientali.
    E ritengo assurda la pratica di voler “conservare”, “tutelare”, “salvaguardare” gli habitat perchè contro le evidenze scientifiche dell’evoluzione biologica che non prevedono il “fissismo”, nè tantomeno fini e scopi.
    Solo noi (poco) Sapiens ci illudiamo di avere fini e scopi, tra i quali quelli di volere climi stabili, specie stabili ed ambienti stabili.
    – The evolutionary context of the first hominins https://www.nature.com/articles/nature09709.epdf?referrer_access_token=L6-zxqWwXRT_kSDt_p5dKNRgN0jAjWel9jnR3ZoTv0PvkssXulI10SY4GDz35ia0Ro1zhoILTpZyKArIdFmOIOc9nCev9kddF3UsPWSA5VaoL8TIiE-eSUvqLe9keZwYnRR2L-iDpu9T_4QfEupsq3IWJaWYSKGmE3anhmFyGucoxXNH-6y0PBsmKQxMk_f4APhUG-D4Z01p5FN2KgUcJqIbhrt-LdpF-muZhlciRfwKnRMRS5s4WKfdN7_z2_lHbOkXlScGbjqCASA4_G-UvA2c9hGlONn0j_18y3CbL9w%3D&tracking_referrer=www.lescienze.it
    – Ouranopithecus macedoniensis (Mammalia, Primates, Hominoidea): Virtual Reconstruction and 3D Analysis of a Juvenile Mandibular Dentition (RPI-82 and RPI-83)
    https://www.researchgate.net/publication/258242001_Ouranopithecus_macedoniensis_Mammalia_Primates_Hominoidea_Virtual_Reconstruction_and_3D_Analysis_of_a_Juvenile_Mandibular_Dentition_RPI-82_and_RPI-83

  4. rocco

    @ Mariani
    nella risposta a Guido Botteri lei parla di specie umane (penso si riferisca a Neanderthal, Denisova, ecc. ).
    se non erro, in tassonomia, le specie si differenziano per la caratteristica di non generare prole fertile o non sono interfeconde.
    ma Sapiens, Neanderthal, denisova ed altri, pare si siano accoppiati diverse volte creando prole fertile.
    In teoria, si dovrebbe trattare di sottospecie della specie Homo (Erectus?), mi sbaglio?
    Svante Paabo, il sequenziatore del DNA Neanderthaliano e denisoviamo, letteralmente balzò sulla sedia quando scoprì che le popolazioni subsahariane non avevano dna neanderthaliano, ma tutti gli altri si (l’ho letto nel suo saggio “L’uomo di Neanderthal” https://www.ibs.it/uomo-di-neanderthal-alla-ricerca-libro-svante-paabo/e/9788806205669 ) e si dovette riscredere sulla convinzione che la sola culla dei Sapiens fosse l’Africa come dalle celebri conclusioni su Eva Mitocondriale.
    Ora, si aggiungono altri tasselli che mostrano incroci ancor più diversificati e spostamenti ancor più complessi che la semplice teoria dell’ uscita dall’Africa come un conquistatore indomabile.
    Se non erro, anche il concetto di specie è superato dai genetisti, preferendo quello di clade.
    Il fatto che si sia scavato di più in Africa è motivato dal fatto che Darwin stesso la indicò come culla dell’umanità perchè lì ci sono i nostri cugini con i peli.
    vi sono questi nuovi studi che confermano che la vicenda umana è molto più complicata di come descritto solo qualche anno fa.
    – Recovering signals of ghost archaic admixture in the genomes of present-day Africans https://www.biorxiv.org/content/10.1101/285734v1
    – Genomic analysis of Andamanese provides insights into ancient human migration into Asia and adaptation https://www.nature.com/articles/ng.3621#/affil-auth
    The age of the hominin fossils from Jebel Irhoud, Morocco, and the origins of the Middle Stone Age https://www.nature.com/articles/nature22336.epdf?referrer_access_token=f5Ka7RoWFiScJG5L0QFyTtRgN0jAjWel9jnR3ZoTv0O1QiTIbccJK6aQkD6P0Dkr1u1zBD6BWsDdyPIuJczNiZcVGAqzDRb82mkJhzZ2NaE3jLaKNj6khLo7uLJ1phplReXyAwHrd6TASxX67WgyIDEVoCYPr3XF3IiodOgyDesjBLoepT8wB-DTDv7H1sVaGdMqbLmkADtvQ_T9NmnfYg5jaSMaXt26eCp37Z1psCGgbC-8jwqizqL1VATLgUPgphCVeibUwkLzcLmqUdjFuQ%3D%3D&tracking_referrer=www.nature.com
    – New fossils from Jebel Irhoud, Morocco and the pan-African origin of Homo sapiens https://www.nature.com/articles/nature22336.epdf?referrer_access_token=f5Ka7RoWFiScJG5L0QFyTtRgN0jAjWel9jnR3ZoTv0O1QiTIbccJK6aQkD6P0Dkr1u1zBD6BWsDdyPIuJczNiZcVGAqzDRb82mkJhzZ2NaE3jLaKNj6khLo7uLJ1phplReXyAwHrd6TASxX67WgyIDEVoCYPr3XF3IiodOgyDesjBLoepT8wB-DTDv7H1sVaGdMqbLmkADtvQ_T9NmnfYg5jaSMaXt26eCp37Z1psCGgbC-8jwqizqL1VATLgUPgphCVeibUwkLzcLmqUdjFuQ%3D%3D&tracking_referrer=www.nature.com
    – Potential hominin affinities of Graecopithecus from the Late Miocene of Europe https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0177127
    Come mi piacciono queste relazioni sistemiche tra campi diversi, è come una scintilla che incendia una foresta 🙂

  5. rocco

    @ Barone,
    non sapevo che già fosse stato trattata la questione Gobekly Tepe, ma la notizia del cratere Hiawata è stato data dopo (nel 2018) l’articolo su CM (del 2017).
    per cui l’ipotesi cometaria è ancora aperta.
    Io non demordo, è l’unico logica (ma non ancora scientifica) causa dell’improvviso ricongelamento, se poi gli antichi sacerdoti-sciamani di G.T. abbiano inciso l’evento…
    il cielo era molto più conosciuto allora ad occhio nudo che oggi con gli strumenti (per gli usi pratici dell’agricoltura e forse anche della meteorologia)
    Grazie per le nuove notizie.

  6. rocco

    Prof. Mariani, la ringrazio per la sua risposta.
    L’episodio Younger Dryas per la sua dinamica appare veramente strana, a mio parere, senza considerare un evento drammatico, casuale, violento e repentino.
    La calotta era già in scioglimento per avviarsi verso un periodo interglaciale (periodi ciclici in base ai carotaggi) per poi ritornare improvvisamente un periodo glaciale sopratutto in eurasia.
    Solo alla fine di questo periodo in medioriente si passo dalla sussistenza basata sulla raccolta e sulla caccia all’agricoltura.
    Gobekly Tepe mi affascina, in quanto mostra una fauna ricca ed abbondante e poi un improvviso declino, mostra una società complessa con rapporti estesi tra comunità culturali simili. Nei siti simili nelle vicinanze (Sefer Tepe, Nevali Cory, Karaham ) gli archeologi hanno ritrovato culti particolari molto diversi dal periodo natufiano ( nell’odierna Palestina) il che fa supporre una cultura completamente diversa da quella del Levante.
    Purtroppo molti dei siti turchi ora giacciono sotto le dighe lungo l’alto corso dell’Eufrate, per cui è impossibile aggiungere altre conoscenze. E possiamo azzardare solo ipotesi.
    Ma quella dell’impatto meteorico è molto realistica perchè spiegherebbe, probabilmente, anche un aumento della CO2 (come dice) dovuto a probabili incendi dovuti forse a frammenti cometari tipo evento Tunguska nelle neonate foreste euroasiatiche.
    Ho ricercato al cuni studi sul cratere di Hiawata, lascio agli esperti le dovute conclusioni.
    Mi lascio andare alla suggestione che una ricca e prosperosa civiltà di cacciatori raccoglitori si sia estinta ( o evoluta, a seconda dei punti di vista) a causa di drastici cambiamenti climatici dovuti ad impatti cometari.
    Ecco alcuni link:
    – The Hiawatha Impact Crater https://svs.gsfc.nasa.gov/4572
    – A large impact crater beneath Hiawatha Glacier innorthwest Greenland https://advances.sciencemag.org/content/advances/4/11/eaar8173.full.pdf
    – Massive crater under Greenland’s ice points to climate-altering impact in the time of humans https://www.sciencemag.org/news/2018/11/massive-crater-under-greenland-s-ice-points-climate-altering-impact-time-humans
    – A Possible Second Large Subglacial Impact Crater in Northwest Greenland https://agupubs.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1029/2018GL078126
    – The Younger Dryas
    https://www.ncdc.noaa.gov/abrupt-climate-change/The%20Younger%20Dryas
    – An abrupt wind shift in western Europe at the onset of the Younger Dryas cold period https://www.nature.com/articles/ngeo263
    – una sintesi di un convegno su Gobekly Tepe http://www.castfvg.it/articoli/paleoastronomia/gobekli_tepe_001.pdf
    Buona serata e buona visione sistemica 🙂

    • donato b.

      Rocco,
      nel passato mi sono appassionato all’origine astronomica dei cambiamenti climatici che caratterizzarono il Dryas recente ed ho condensato le mie riflessioni in un articolo pubblicato qui su CM:
      http://www.climatemonitor.it/?p=44770
      .
      L’articolo fa riferimento proprio ad una cometa che, schiantandosi sulla Terra, originò il cambiamento climatico. La cosa è molto affascinante, ma i commenti all’articolo mi fecero ulteriormente riflettere, per cui quello che mi era sembrato un fatto reale, oggi mi appare come una delle tante ipotesi in cerca di conferma.
      Ciao, Donato.
      .
      p.s.: Colgo l’occasione per ringraziare L. Mariani per i suoi impagabili contributi alle discussioni che si sviluppano su CM e per l’equilibrio che dimostra.

  7. Massimo Lupicino

    Bellissimo intervento. Al solito quando si parla di Luigi traspare, anche per il non addetto ai lavori, tutto l’amore per lo studio e la conoscenza. Scevro di sovrastrutture e condizionamenti preconcetti.

  8. prinsep58

    Vorrei aggiungere una mia riflessione solo apparentemente fuori tema. Perfino papa Francesco ha parlato di “ecocidio” stigmatizzando le azioni che modificano radicalmente un sistema ecologico, si riferiva all’ Anazzonia, al fatto che vengono tagliati gli alberi per far posto a coltivazioni agricole. Ora io vivo in un piccolo paese della Valtellina, alle pendicii delle montagne, attraversato da un torrente e con il fiume Adda verso valle. I miei antenati hanno fatto diversi “ecocidi” hanno costruito alti argini al torrente che altrimenti invadeva il paese ad ogni primavera, hanno bonificato il fondovalle paludoso rovinando un ambiente ottimo per rane e zanzare ed ora abbiamo in quella zona delle industrie che hanno evitato a me e a molti altri la strada dell’emigrazione. Io credo che noi “sapiens” a volte modifichiamo l’ambiente certo, magari per vivere un po meglio e poter crescere i nostri figli. Non mi sentirei in colpa per questo 🙂

    • Massimo Lupicino

      Chissà se è più grave l’ecocidio o l’omicidio. Strano che il Padreterno si sia dimenticato di citarlo sulle tavole della legge, questo ecocidio. Forse si era distratto e ora si cerca di porre rimedio alla colpevole dimenticanza. Pare avesse una curiosa fissazione per l’essere umano e per il trascendente, il Padreterno di 2000 anni fa. Evidentemente si sbagliava e forse è il caso che ora si confessi e reciti 10 discorsi di Soros al Bilderberg per farsi perdonare. Mi chiedo se esista anche il peccato di maronicidio, inteso come tortura e morte per schiacciamento delle gonadi maschili a seguito di martellamento ripetuto. Temo sia strettamente collegato all’ecocidio. Aspetto fiducioso delucidazioni teologiche in materia.

    • Luigi Mariani

      Macché ecocidio,
      i nostri antenati hanno modificato il territorio e creato paesaggi umani che sono a mio avviso il vero patrimonio dell’umanità, indipendentemente dal fatto che siano riconosciuti o meno dall’Unesco. Per restare alla sola Lombardia (ma esempi analoghi vi sono in tutte le are del nostro Paese) nei 40mila km di canali d’irrigazione c’è il sudore e il sangue di decine di generazioni e così nelle centinaia di ettari terrazzati in Valtellina, Valchiavenna e in altre valli.
      Per questo non sono d’accordo nel colpevolizzare ma penso viceversa che occorra porsi il problema delle gestione oculata di questi paesaggi creati dall’uomo e che se lasciati alla natura ritornerebbero a qualcosa che sono certo scontenterebbe tutto noi. Ad esempio
      tutelare i pascoli dall’infelciamento e dall’espansione del bosco è cruciale anche per salvare specie vegetali e animali che altrimenti sparirebbero irrimediabilmente.

  9. Guido Botteri

    una piccola curiosità storica, Senofonte, nella sua Ciropedia, ci racconta che Ciro il Grande usava la caccia come metodo per allenare i suoi soldati.
    Ovviamente le esigenze belliche sono diverse da quelle della caccia.

    Per quanto riguarda il ruolo dell’Africa, si è detto che le glaciazioni furono molte, e durante i periodi più freddi gli uomini erano costretti a migrare verso terre più calde.
    Ricordo che la domesticazione di piante e animali è piuttosto recente (forse poco più di dieci mila anni fa) mentre le glaciazioni si sono ripetute più volte durante la storia (anzi, la preistoria) dell’uomo.
    Nei tempi più antichi l’uomo, essendo raccoglitore (non agricoltore, quindi raccoglieva quello che cresceva spontaneamente) e cacciatore non era e non poteva essere stanziale, ma si muoveva a seguito delle migrazioni delle sue prede, e a causa dei problemi climatici.
    Questo vuol dire che l’uomo in Africa ci è andato, si è espanso nuovamente verso terre ridiventate appetibili, è tornato in Africa al seguito della successiva glaciazione, e così via molte volte.

    In epoche così difficili, se non fossero esistite la caccia e la pesca, l’uomo si sarebbe estinto, e su questo non c’è alcun ragionevole dubbio.
    Perché con la sola raccolta di ciò che cresceva spontaneamente in periodi particolarmente freddi, non avrebbe potuto sopravvivere.

    Secondo me.

    • Luigi Mariani

      Gentile Guido,
      concordo sul contributo della caccia alla sopravvivenza delle popolazioni umane, specie nel periodo di transizione fra paleolitico e neolitico noto come mesolitico (e anche oggi per alcune popolazioni umane). Per quanto riguarda invece i ritorni verso l’Africa, per quel che ne sappiamo oggi l’uomo passa dall’Africa, si diffonde nel Medio Oriente e da lì raggiunge l’Europa in un interstadiale caldo delle glaciazione di Wurm, circa 36000 anni fa. Da allora gli europei permangono in Europa per tornare in Africa solo con il colonialismo.
      Luigi

  10. rocco

    ritengo illuminante questo articolo.
    Mi complimento con il prof. Mariani per la capacità olistica di giuardare ai problemi.
    Purtroppo siamo sempre abituati a guardare i problemi da un solo lato alla volta senza abbracciare il contesto generale.
    Il contesto generale, secondo me, è sempre lo stesso, ossia quello delineato da Darwin (e successivi): a grandi linee è competizione, selezione naturale, ambiente mutevole, omeostasi e per quanto riguarda l’essere umano sentimenti ed emozioni.
    Mi viene da sorridere quando si fanno affermazioni del genere: “dobbiamo salvare, proteggere, tutelare questo o quella specie, questo o quell’habitat, questo o quell’ecosistema” per il semplice fatto che tutto è in perpetuo mutamento e tutto è in perpetua interconnessione.
    Ciò che è eterno, perfetto, stabile possono essere solo le idee, come affermava Platone.
    A me sembra che quando si tratta di intrapprendere azioni per salvaguardare, proteggere, tutelare non si tratta di realtà tangibili, ma solo di idee.
    Si vuol proteggere l’idea di una duna di sabbia con tutto l’ecosistema che gira intorno, ma praticamente, lo stesso atto di proteggere porta a modificazioni di quell’habitat: gli ecosistemi non sono isolati e non si possono isolare.
    Per quanto riguarda la caccia, ho appreso che vi sono intere regioni italiane in balia di cinghiali che impediscono l’agricoltura e creano gravi danni sia ambientali che economici ( http://www.ansa.it/basilicata/notizie/2019/11/06/allarme-cinghiali-mai-cosi-alto_cf50aab1-02cf-48d5-8683-677293347b2f.html ).
    A determinare questo fenomeno è stato il sentimento di salvaguardia (o anche il dolore dalla perdita di ambienti selvaggi) che ha consentito l’istituzione di aree protette in cui la caccia è stata vietata.
    Come sempre “la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni” solo che l’inferno è per gli agricoltori, costretti a cedere i loro terreni incoltivabili a multinazionali dell’eolico (http://www.ansa.it/basilicata/notizie/2019/05/16/eolico-selvaggio-corteo-a-potenza_f1f645f7-85bd-425e-8c2c-a2da85ccbab7.html ) ad ulteriore dimostrazione che le buone intenzioni di proteggere dal “surriscaldamento globale” crea altri inferni per chi subisce politiche assurdamente protezionistiche.
    L’ambientalismo, è inutile ricordarlo, è bussiness as usual e rientra a pieno titolo nell’incipit iniziale: competizione e lotta per la sopravvivenza.
    Come sempre, ma mai applicata, la verità sta nel mezzo: non eccedere con il protezionismo, ma neanche eccedere con il libertismo.
    Non può esistere la moglie piena e la botte ubriaca ( 🙂 ).
    E’ sempre preferibile la moglie brilla e la botte semipiena.
    Solo che è difficile, in quanto la politica è fatta da opposte fazioni che, a maggior ragione in questo periodo di tribalismo da social network, si dividono in due tesi opposte senza nessuna via di mezzo.
    Taluni, addirittura pensano di far gestire l’esistenza umana da macchine digitali che non hanno sentimenti e che sono intelligentissime perchè troveranno la soluzione giusta spulciando tra infiniti dati, ma così facendo l’esistenza umana viene privata del dono più bello: provare emozioni.
    Che dire? Non vi è soluzione! Come afferma Antonio Damasio, neuroscienziato e filosofo, l’omeostasi agisce a livello individuale e solo in taluni casi si coopera, ma solo se la cooperazione porta ad un vantaggio collettivo, ma capita spesso e frequentemente che nel gruppo cooperante vi è il soggetto approfittatore e quello che lavora per due.

    p.s. gentile prof. Mariani volevo un suo commento sulle connessioni da me riscontrate riscontrate tra clima, età dell’oro e nascita dell’ agricoltura commentate su questo articolo http://www.climatemonitor.it/?p=52342
    Grazie

    • Luigi Mariani

      Gentile Rocco,
      nel ringraziarla per le molte suggestioni offerte vedo di rispondere ad alcune di esse:
      – circa il peso dell’impatto delle comete su climi del passato, l’ipotesi mi pare affascinante ma non dispongo di elementi per poterla giudicare. Per ora la metto lì, in attesa di avere un po’ di tempo per ragionarci.
      – circa poi la “visione olistica” io preferisco usare “visone sistemica” che ha significato analogo ma che privilegia l’aspetto quantitativo dell’approccio
      – su Gobeki tepe si tratterebbe in effetti d un santuario nato in epoca pre-agricola, probabilmente ad opera dalla cultura natufiana che è quella da cui ha origine la rivoluzione neolitica nella mezzaluna fertile (civiltà del frumento). Che sia stato il cambiamento climatico con brusco viraggio al freddo proprio del Dryas recente a indurre la rivoluzione neolitica nella mezzaluna fertile è un’ipotesi accettabile anche se un fattore d’innesco essenziale sembrerebbe costituito secondo alcuni (Sage, 1995) dall’aumento di CO2 rispetto all’epoca glaciale che avrebbe aumentato la produttività potenziale delle prime colture.
      – circa le causa del Dryas recente e dei 24 eventi di raffreddamento brusco (eventi di Heinrich – H) seguiti agli interstadiali caldi della glaciazione di Wurm (eventi di Dansgaard-Oeschger – DO) non abbiamo credo un meccanismo causale ben assestato da proporre. Ho letto solo di ipotesi circolatorie atmosferiche e/o oceaniche. Non è da trascurare l’idea che Oscillazione di Allerød e Dryas recente altro non siano che gli ultimi due eventi DO e H della glaciazione di Wurm.
      Concludo osservando che certo, un po’ di CO2 può non essere la fine del mondo e tuttavia è a mio avviso un sintomo di squilibrio del sistema che ci terrei venisse superato, anche per non dare più alibi a coloro che la usano come scusa per proporre le politiche più strane.
      Luigi Mariani
      PS: un amico mi ha segnalato questa mattina che in 5 anni sarebbero usciti ben 205mila articolo scientifici dedicati al cambiamento climatico. Questo significa che come ricercatori singoli non abbiamo alcuna speranza di mantenerci aggiornati.

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