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Il COVID19 e le Emissioni di PM10 di origine Zootecnica in Lombardia

Ho avuto occasione di leggere lo scritto di Luigi Mariani “EMISSIONI DI PM10 DI ORIGINE ZOOTECNICA IN LOMBARDIA – Impatto ambientale e rapporti con l’epidemia di Covid19“, uscito nella sezione “Agricoltura è cultura” della Società agraria di Lombardia, associazione culturale nata nel 1861 per iniziativa di imprenditori agricoltori e scienziati con lo scopo di promuovere l’innovazione nell’agricoltura lombarda. A questo link trovate il PDF.

Penso che questa analisi sia interessante anche per i non addetti ai lavori in quanto la zootecnia costituisce uno dei settori portanti del sistema agricolo-alimentare italiano, dipendendo da essa sia gran parte dell’apporto di proteine animali nobili per la popolazione del nostro paese (carne, latte e derivati, uova, pesce, ecc.), sia la produzione  di alcuni fra i principali generi alimentari da esportazione (i due prosciutti di San Daniele e di Parma e i formaggi grana, padano e parmigiano reggiano in primis).

Come tutti i settori produttivi, la zootecnia ha problemi di impatto ambientale ed è necessario che evolva verso impatti ambientali per unità di prodotto sempre più contenuti, ad esempio in termini di emissione di particolato atmosferico (PM10 e PM2,5 – particolato atmosferico con diametro rispettivamente minore di 10 e 2,5 micron) che come noto è nocivo alla salute, con nocività più elevata per il PM2,5.

In tutto ciò la meteorologia c’entra parecchio in quanto nella quantità di PM10 presenti per unità di volume dell’aria intervengono in modo significativo:

  • L’effetto stagionale: in estate vi sono reazioni chimiche concorrenti che riducono sensibilmente la produzione di PM10 secondario dai relativi precursori (Ammoniaca, Ossidi d’azoto, Anidride solforosa)
  • L’effetto di trasporto remoto legato all’apporto di masse d’aria ricche di polveri da zone sorgenti (deserto del Sahara, steppe eurasiatiche).

Lo scritto di Mariani prende le mosse da una puntata di Report trasmessa da RAI 3 il 13 aprile 2020 che presentava una serie di servizi girati in Lombardia e in Emilia Romagna, puntata che è possibile rivedere qui. In tale trasmissione, sottolinea l’autore, si è fra l’altro presentata con molta enfasi l’ipotesi avanzata in uno scritto della Società italiana di Medicina Ambientale (Sima) secondo cui il settore zootecnico in quanto produttore di PM10 sarebbe all’origine della diffusione del virus Covid19. Durante la trasmissione si è anche citato un report dell’Italian Aerosol Society che smentisce in modo netto quanto affermato da Sima.

Al riguardo l’autore premette che sussiste una domanda di fondo a cui ammette di non saper dare risposta: “come mai parlando di PM10 e dei possibili legami dello stesso con il Covid19 si è puntata l’attenzione proprio sul settore agricolo, responsabile del 27% e del 19% delle emissioni di PM10 lombarde ed emiliano-romagnole e non sugli altri settori produttivi (trasporti, energia, riscaldamento, ecc.) che sono nel loro complesso responsabili del 73% delle emissioni di PM10  lombarde e dell’81% di quelle Emiliano Romagnole?”

Rimandandovi alla lettura del lavoro nella sua interezza, ecco le le principali conclusioni cui è pervenuta l’analisi, assai ben documentata sul piano bibliografico e dell’analisi numerica:

  1. Alla luce delle attuali conoscenze sui legami esistenti fra Covid19 e PM10 le accuse avanzate da Report circa un contributo dell’agricoltura alla diffusione del virus sono da ritenere infondate.
  2. Dal gennaio 2020 il PM10 in Lombardia si è mantenuto su livelli contenuti e che si sono ulteriormente ridotti dall’8 marzo per effetto delle misure assunte a seguito dell’emergenza Covid19, che hanno provocato una sensibilissima contrazione del traffico veicolare e dell’attività produttiva industriale, responsabili del 66,3% delle emissioni di NOx che con NH3 sono componente essenziale del nitrato d’ammonio che in larga misura rientra nei PM10.
  3. Nel 2020 il più rilevante superamento della soglia di attenzione del PM10 è stato registrato il 28 e 29 marzo in coincidenza con un’imponente irruzione di aria fredda da est che oltre a dar luogo a una delle tre principali ondate di freddo dell’inverno 2019-2020 ha apportato polveri provenienti dalle steppe asiatiche a est del mar Caspio, che hanno arricchito di PM10 l’aria che respiriamo.

Per quanto infine riguarda le aspettative relative al settore zootecnico, l’autore conclude che:

  1. Sussiste la necessità di contenere le emissioni di ammoniaca di origine zootecnica adottando strategie adeguate sul piano tecnologico da promuovere per mezzo di incentivi e con il supporto di esperti. In tal senso nel lavoro si sono formulate una serie di proposte che si ispirano al fatto che l’ammoniaca deve il più possibile raggiungere il terreno ove rappresenta un nutriente fondamentale per le piante coltivate, la cui perdita in atmosfera costituisce un danno non solo a livello ambientale ma anche economico per le stesse aziende agrarie.
  2. Sono impensabili le fughe all’indietro come l’espansione della zootecnia al pascolo di pianura, proposta da Report. Tale soluzione infatti, oltre a essere insostenibile sul piano economico condannando il settore zootecnico nazionale alla più totale marginalità e facendo dunque esplodere la nostra dipendenza dall’estero, renderebbe ancor più ingovernabili i flussi di ammoniaca e metano, trasformando sorgenti puntuali in sorgenti diffuse.
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Published inAttualità

3 Comments

  1. rocco

    come dimostra abbondantemente il film di Micheal Moore “Planet of the Humans”, il tema “ambientalismo” e quindi tutto ciò che attiene all’aspetto “inquinamento” è stato messo in campo solo ed esclusivamente a scopi “profittevoli” (cioè per fare profitto).
    Il tipico processo economico si basa su questa massima: “se non ci sono problemi, si creano e poi si offrono soluzioni”.
    Considerando che il primo e vero problema per ogni singolo essere umano (ma di tutti gli organismi biologici) è riuscire a prelevare entropia negativa dall’ambiente per garantire l’omeostasi (detto in parole povere: riempire lo stomaco), vien da se che ogni individuo mette in campo le strategie più disparate per arrivare allo scopo di alimentarsi, anche e sopratutto attraverso la finzione, la menzogna, il raggiro, la frode… e l’omeostasi agisce a livello individuale! La “solidarietà” è una strategia per raggiungere l’obbiettivo alimentare: all’interno di ogni gruppo “solidale” vi sarà sempre chi ne approfitta sponsorizzando la solidarietà.
    La questione microparticelle a chi interessa?
    questa è la domanda da porsi, non chi le produce.
    Poi, si scoprirà, come ha scoperto Moore, che coloro che combattevano le micropolveri sponsorizzando soluzioni, producevano anch’essi micropolveri… pensate alle montagne sali di litio spazzate dal vento…
    Alimentare 7,5 miliardi di esseri umani non è uno scherzo: c’è chi zappa e raccoglie pomodori e chi se li fa portare direttamente a casa innalzando un feticcio divino a cui donare offerte… cosìva l’umanità!
    La scienza?
    Ohhh, altra strategia di sussistenza, alla fine non è mai sicura di niente, l’importante è che qualcuno creda che dia risposte.
    Come abbiamo visto da questo episodio di lockdown… la scienza ha brancolato nel buio e forse tra due anni avremo qualche risposta.

  2. Giuliano G.

    L’inquinamento è sempre esistito. Ötzi, vissuto nelle Alpi al confine tra Italia e Austria 5300 anni fa, eta del rame, e morto nel ghiacciaio di Similaun, non aveva respirato solo l’aria pura delle montagne. Come accadeva nelle popolazioni preistoriche abitanti in climi freddi, il fumo del focolare che bruciava nel mezzo della capanna priva di finestre aveva annerito i suoi polmoni. Ma se non si fosse riscaldato e non avesse cucinato con il fuoco i suoi pasti, sarebbe verosimilmente prima. Peraltro, non morì di inquinamento ma per una freccia scagliata da un suo avversario a 3200 metri di altezza.

  3. Filippo Turturici

    Mi piacerebbe tranquillizzare l’autore a proposito di:

    “Al riguardo l’autore premette che sussiste una domanda di fondo a cui ammette di non saper dare risposta: “come mai parlando di PM10 e dei possibili legami dello stesso con il Covid19 si è puntata l’attenzione proprio sul settore agricolo, responsabile del 27% e del 19% delle emissioni di PM10 lombarde ed emiliano-romagnole e non sugli altri settori produttivi (trasporti, energia, riscaldamento, ecc.) che sono nel loro complesso responsabili del 73% delle emissioni di PM10 lombarde e dell’81% di quelle Emiliano Romagnole?””

    Dato che tutte le singole categorie, dalla circolazione veicolare ai pollini, potrebbero legittimamente porre la stessa questione. La genesi del PM10 e del PM2.5 è complessa e coinvolge diversi attori, sia umani che naturali. Da un lato, tutti possono dare il proprio contributo. Dall’altro lato, però, fissarsi su una sola categoria rischia di produrre risultati minori o inesistenti nel complesso: vedere la crociata contro i motori diesel in città, che forse impattano per l’1%. La figura da tenere a mente è però un triangolo: il terzo lato, è l’inevitabilità di una parte molto importante (probabilmente maggioritaria) di queste polveri, a meno di non fermare tutte le attività sia umane sia naturali e di cristallizzare i terreni.
    Mi si perdoni quindi il cinismo, se dico che anche qui vedo più il miraggio di “vivere per sempre” e “a rischio zero”, anche contro alla realtà della vita. L’eventuale tossicità delle polveri sottili – probabilmente anche per un rapporto costi/benefici del benessere diffuso – non ha per altro impedito alle province padane di avere la più alta speranza di vita media in Italia, superiore anche a diverse zone dal clima nominalmente più salubre.

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