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Quando sulla Terra faceva molto più caldo di adesso

Avevo da poco finito di scrivere un articolo in cui analizzavo, tra l’altro, il modo piuttosto estemporaneo con cui la stampa generalista (dis)informa il grande pubblico, riguardo ai risultati di alcuni studi scientifici in grado di catalizzare l’interesse della pubblica opinione e dei gruppi di pressione politico/economica, che incappai in un altro caso piuttosto curioso. La mia attenzione fu attratta da una nota dell’ANSA con un titolo piuttosto preoccupante: “Dai gas serra temperature mai viste negli ultimi 50 milioni di anni“.

Viste le esperienze pregresse, pensai subito che l’agenzia di informazione nazionale avesse perseverato nel suo errore, per cui iniziai a ricercare la fonte della nota di agenzia: ANSA ha la pessima abitudine di non citare mai il titolo dell’articolo originale, cui si riferisce il lancio. Dopo una breve ricerca individuai la fonte della nota. Si trattava di un articolo pubblicato su Science da qualche giorno:

An astronomically dated record of Earth’s climate and its predictability over the last 66 million years

La firma è di Thomas Westerhold ed altri 24 ricercatori che per ragioni di spazio non elenco. Voglio fare, però, un’eccezione per Claudia Agnini, Vittoria Lauretano e Fabio Florindo in quanto sono dei ricercatori italiani (da ora Westerhold et al., 2020).

Di questo articolo si è già occupato l’amico F. Zavatti qualche settimana fa. Egli ha analizzato, però, i materiali supplementari, per cui nelle righe che seguono mi concentrerò sul testo di Westerhold et al., 2020.

Dopo aver letto l’articolo, devo riconoscere che, questa volta, ANSA ha interpretato in modo abbastanza corretto la vicenda.

Un breve cenno a quello che considero l’aspetto più interessante di Westerhold et al., 2020, ovvero la ricostruzione delle temperature terrestri negli ultimi 66 milioni di anni, a partire da dati di prossimità, derivati da carote di sedimenti marini profondi.

La nostra storia inizia dal 1975, allorché alcuni studiosi ricostruirono per la prima volta l’evoluzione climatica terrestre negli ultimi 40 milioni di anni, attraverso lo studio dei resti fossili dei foraminiferi bentonici presenti nei sedimenti profondi. I foraminiferi sono organismi unicellulari ameboidi che popolano tutti gli ambienti acquatici terrestri e sono dotati di gusci mineralizzati che, a volte, assumono dimensioni eccezionali rispetto a quelle della cellula. I gusci dei foraminiferi sono una miniera di informazioni di inestimabile valore, in quanto consentono di ricostruire non solo le temperature atmosferiche, ma anche l’evoluzione dei volumi di ghiaccio terrestre e marino, la temperatura dell’acqua marina, le correnti oceaniche e via cantando. A partire dal 1975 sono stati recuperati moltissimi campioni di sedimenti marini ed ognuno di essi ha raccontato un pezzo della nostra storia climatica. Su queste pagine vi ho raccontato alcuni brani di queste storie, ma oggi, forse, potremo leggere l’intera storia climatica degli ultimi 66 milioni di anni.

La ricostruzione delle temperature terrestri in epoche remote viene effettuata mediante l’analisi delle variazioni del rapporto tra i vari isotopi dell’ossigeno. L’isotopo diciotto dell’ossigeno (δ18O) é legato in modo inverso alla temperatura dell’ambiente in cui vive l’organismo vivente: maggiore è la concentrazione dell’isotopo, minore è la temperatura e viceversa. Partendo dall’analisi di 14 carote ottenute perforando i fondali oceanici ed analizzando in via quasi esclusiva fossili di due ben precisi generi di foraminiferi, per ridurre al massimo gli errori dovuti al diverso modo in cui i protozoi assimilano l’ossigeno, Westerhold et al., 2020 ha potuto creare un’unica serie di dati relativi alla temperatura terrestre che copre un periodo di circa  sessantasei milioni di anni a partire da oggi. La serie ottenuta è quella riportata anche nell’articolo di F. Zavatti e che, per ulteriore chiarezza, riporto qui di seguito.

Fig. 1 tratta da Westerhold et al., 2020

Zavatti ha ampiamente commentato questo diagramma, per cui non mi dilungo più di tanto: a partire da 66 milioni di anni fa ad oggi le temperature sono diminuite anche se la diminuzione non è stata costante ed interrotta da periodi relativamente caldi e periodi relativamente freddi. E’ su questi periodi che mi soffermerò in modo più marcato.

Westerhold et al., 2020 hanno individuato quattro periodi caratteristici che essi definiscono stati: Hothouse, Warmhouse, Coolhouse ed Icehouse.

Lo stato Warmhouse si instaurò una prima volta tra 66 milioni di anni fa e 56 milioni di anni fa ed una seconda volta tra 47 milioni di anni fa e 34 milioni di anni fa. In questo periodo le temperature medie terrestri erano di circa 8°C maggiori di quelle attuali (scala termica a destra del diagramma).

Nel periodo compreso tra 56 milioni di anni fa e 47 milioni di anni fa, si colloca lo stato Hothouse caratterizzato da temperature medie di ben 10°C maggiori di quelle attuali (in media, ma con punte di anomalie che superano i 12°C). In questo stato è compreso anche il famoso massimo termale Paleocene-Eocene (PETM) lungo circa 150000 anni e verificatosi poco meno di 56 milioni di anni fa, durante il quale le temperature terrestri furono enormemente più alte di quelle attuali (in studi precedenti si parlava di circa 8-9 °C, ma sulla base dello studio che stiamo esaminando, i valori sembrano addirittura doppi).

Lo stato Coolhouse contraddistingue il periodo compreso tra 34 milioni di anni e 3 milioni di anni fa e, infine, lo stato Icehouse si sviluppa negli ultimi tre milioni di anni.  Durante gli stati Hothouse e Warmhouse non esistevano ghiacci terrestri e marini. Essi iniziarono a formarsi nello stato Coolhouse, durante il quale i ghiacci si concentravano soprattutto al polo sud.

Questi i risultati della ricerca.  Westerhold e colleghi non si sono accontentati, ovviamente, solo di questo, ma hanno cercato di capire perché si sono verificati questi particolari stati climatici. Hanno cercato, cioè, di individuare le cause che hanno determinato gli effetti descritti. E qui entriamo in un campo estremamente scivoloso e complesso.

Il sistema climatico terrestre è, secondo la definizione universalmente accettata, un sistema dinamico non lineare caotico, ovvero un sistema dinamico influenzato in modo determinante dalle condizioni di partenza. Secondo il mio modesto parere, il sistema climatico è caratterizzato da stati di equilibrio all’interno dello spazio delle fasi. Si tratta di stati di equilibrio caratterizzati da vari gradi di stabilità e fortemente dipendenti dalle relazioni tra le variabili che li caratterizzano. Un sistema dinamico come quello climatico, sempre secondo la mia modesta opinione, anche se si trova in una condizione diversa da quella di equilibrio stabile, tende a riportarsi in uno stato di equilibrio che può essere uguale o diverso da quello di partenza. L’insieme di tutti gli stati di equilibrio che il sistema climatico può assumere, determina una forma geometrica detta attrattore che può avere dimensione intera o frazionaria (in quest’ultimo caso l’attrattore si dice strano). La giustificazione di quanto ho appena finito di scrivere, deve essere ricercata nella storia del nostro pianeta: quando il sistema si è spostato rispetto a precedenti condizioni di equilibrio, ne ha raggiunte altre, simili a quelle precedenti (periodi glaciali e periodi interglaciali ne sono un esempio). Westerhold et al., 2020, dimostra che nel corso delle ere geologiche il nostro pianeta ha conosciuto periodi caratterizzati da stati climatici molto diversi gli uni dagli altri. A periodi freddi sono succeduti periodi caldi e viceversa ed ognuno di questi periodi è stato caratterizzato da un grado più o meno elevato di stabilità. Questo non significa che il clima è stato costante all’interno di un certo periodo o stato. Il sistema ha conosciuto variazioni ad alta frequenza, caratterizzate da oscillazioni intorno al suo attrattore. A titolo puramente e grossolanamente esemplificativo, possiamo pensare al sistema climatico come ad un pendolo semplice che oscilla intorno al suo attrattore. Nel caso del pendolo tale attrattore è, ovviamente, il punto della traiettoria più vicino al piano orizzontale di riferimento.

A questo punto appare chiaro il significato degli stati individuati da Westerhold et al., 2020: si tratta di stati di equilibrio del sistema climatico terrestre particolarmente stabili. I ricercatori sono giunti a questa conclusione sottoponendo i dati ad una serie di analisi statistiche (in particolare l’analisi delle ricorrenze) che hanno consentito di individuare i quattro “blocchi” climatici precedentemente elencati e che costituiscono altrettanti stati di equilibrio del sistema climatico. Questo tipo di analisi consente, inoltre, di stabilire se un sistema si comporta in modo stocastico (dominato dal caso), caotico o periodico (regular, secondo la dizione dell’articolo). L’analisi consente, in altre parole, di stabilire la prevedibilità o meno del comportamento del sistema climatico in risposta a opportune forzature.

Westerhold et al., 2020 analizza la risposta del sistema climatico a due tipi di forzature: quella astronomica e quella relativa alla concentrazione di diossido di carbonio nell’atmosfera. L’analisi dei sedimenti bentonici consente, infatti, di ricostruire la concentrazione di diossido di carbonio nell’atmosfera attraverso il dosaggio dell’isotopo 13 del carbonio (δ13C).

A questo punto della discussione abbiamo gettato le basi per poter giungere alle conclusioni.

L’analisi delle ricorrenze applicata alla concentrazione dell’isotopo 18 dell’ossigeno (proxi della temperatura) consente di individuare i quattro stati climatici essenziali che ho già elencato. L’analisi delle ricorrenze applicata alla concentrazione dell’isotopo 13 del carbonio consente di individuare alcuni sottoperiodi dei quattro stati climatici principali. Personalmente condivido le conclusioni di Westerhold e colleghi in quanto i diagrammi in cui sono rappresentati i risultati delle analisi delle ricorrenze (fig. 2 dell’articolo), lasciano poco spazio alle interpretazioni. Condivido, infine, un’altra delle conclusioni di Westerhold e colleghi: il periodo climatico che copre gli ultimi 3 milioni di anni è del tutto diverso da quelli precedenti. L’analisi delle ricorrenze mette in evidenza, infatti, la mancanza di una trama ben definita che possa essere assimilata a quanto accadeva nelle epoche precedenti: stiamo vivendo un momento unico nel corso degli ultimi 66 milioni di anni. E’ solo per eccesso di pignoleria che voglio precisare che tale periodo eccezionale non è iniziato nel secolo scorso o due secoli fa, ma dura da oltre tre milioni di anni: l’uomo non c’entra nulla con la sua eccezionalità, anzi è proprio questa diversità dello stato del sistema climatico rispetto a quelli del passato che, forse, ha reso possibile la nascita e lo sviluppo della specie umana.

L’analisi condotta, ha consentito di accertare che nel corso del tempo il sistema climatico ha assunto caratteristiche diverse:

  • durante lo stato Warmhouse il sistema climatico era relativamente prevedibile tanto da poter essere considerato, quasi un sistema deterministico;
  • lo stato Hothouse fu caratterizzato, invece, da una minore prevedibilità ed in qualche caso il sistema tendeva ad assumere un comportamento stocastico;
  • il periodo caratterizzato dallo stato Coolhouse fu contraddistinto da una prevedibilità molto bassa e la casualità divenne il tratto qualificante del sistema climatico.

Durante l’ultimo periodo (lo stato Icehouse) il sistema climatico ha raggiunto il minimo livello di prevedibilità. Gli autori avanzano l’ipotesi che la comparsa delle calotte glaciali terrestri ha reso il sistema climatico terrestre meno prevedibile e, infatti, il crollo del grado di prevedibilità del sistema, coincide con la comparsa delle calotte glaciali terrestri. Qualche dubbio e perplessità riguarda l’ultima parte del periodo analizzato. Mentre nel periodo compreso tra 66 milioni di anni fa e 15 milioni di anni fa il grado di prevedibilità del sistema desunto dall’analisi della concentrazione del (δ18O) e quello desunto dalla concentrazione del (δ13C) risultano concordi, nel periodo successivo entrano in opposizione di fase, per cui, oggi, il sistema tende ad assumere un comportamento stocastico se consideriamo l’analisi riferita al (δ13C), meno casuale se consideriamo l’analisi relativa al (δ18O). Quando succede una cosa del genere, c’è sempre qualcosa che non va: gli autori passano questo fatto sotto silenzio, ma esso è nei fatti, chiaramente visibile nei diagrammi.

Applicando la trasformata veloce di Fourier al set di dati a disposizione, Westerhold et al., 2020, individua lo spettro dei periodi che caratterizzano le oscillazioni climatiche registrate. La conclusione è che nelle epoche più lontane da noi, il clima era guidato dalle oscillazioni astronomiche di lungo e lunghissimo periodo: da 100000 a 400000 anni. A partire da circa 40 milioni di anni fa, è aumentato il numero di cicli con periodo più breve: la frequenza con cui si presentano i periodi compresi tra 21000 e 100000 anni, è diventata confrontabile con quella dei periodi maggiori di 100.000 anni. Ciò significa che il clima terrestre risponde in modo differente ai cicli astronomici, a seconda dello stato fondamentale in cui si trova.

Questa conclusione di Westerhold e colleghi mi lascia piuttosto perplesso. L’esame dei periodogrammi relativi ai due isotopi presi in considerazione, dimostra che essi non sono completamente sovrapponibili, per cui le conclusioni a cui giungiamo, sono viziate dal tipo di isotopo preso in considerazione. Quale consideriamo più attendibile, il periodogramma dell’ossigeno o quello del carbonio? Francamente non lo so, ma credo che non lo sappiano neanche gli autori dell’articolo. Diciamo che, in via di larga massima, possiamo accettare l’idea che è cambiata nel corso del tempo la sensibilità del sistema climatico alle forzature astronomiche, ma poco o nulla possiamo dire circa la causa di ciò.

Ad onor del vero Westerhold et al., 2020 sembra piuttosto sicuro circa le cause del cambiamento della sensibilità del sistema alle forzature astronomiche. Gli autori della ricerca individuano nel diossido di carbonio e nel volume dei ghiacci terrestri la causa che ha determinato il cambiamento della sensibilità climatica alle forzature astronomiche. Per quel che riguarda il volume del ghiaccio, non ho difficoltà a dargli ragione relativamente alla prevedibilità del comportamento del sistema: i diagrammi sono piuttosto espliciti. Non sono d’accordo, invece, per quel che riguarda il diossido di carbonio. Le mie perplessità nascono da alcune considerazioni relative ai diagrammi presenti nell’articolo.

La figura 2 di Westerhold et al., 2020 (pannelli A e B) riporta i risultati dell’analisi delle ricorrenze condotta per i due isotopi presi in considerazione (ossigeno e carbonio). Mentre quella relativa all’ossigeno mostra chiaramente i quattro stati climatici descritti dai ricercatori, quella relativa al carbonio non è altrettanto esplicita: la trama che l’analisi genera è piuttosto costante e le discontinuità sono molto meno marcate e di ampiezza piuttosto ridotta. Nulla a che vedere con la trama generata dall’analisi delle ricorrenze applicata all’isotopo dell’ossigeno: sembrano due sistemi del tutto diversi.

Neanche su questa diversità emergente dalle analisi, gli autori si pronunciano.

E veniamo ora agli ultimi due pannelli della figura 2 (C e D). Essi rappresentano le relazioni tra l’isotopo dell’ossigeno e quello del carbonio bentonici nel corso del tempo, come desunte dai due pannelli precedenti (C) e tra l’isotopo dell’ossigeno e le concentrazioni atmosferiche di CO2 (D). Partendo dal pannello C possiamo dire che, al netto delle perplessità che ho illustrato in precedenza, si può certamente ipotizzare un legame diretto: entrambi gli isotopi sono reperiti nello stesso foraminifero e nello stesso ambiente. La figura che si ottiene è piuttosto complessa, ma riesce a darci un’idea di come le concentrazioni dei due isotopi si correlassero nel corso del tempo.

Nel pannello D la correlazione che si esamina è quella tra la concentrazione dell’isotopo dell’ossigeno e quella della concentrazione atmosferica di diossido di carbonio che, come detto all’inizio, dovrebbe essere correlata con quella dell’isotopo 13 del carbonio. Questo pannello ha, secondo me, un unico scopo: tirare in ballo (forse per i capelli) il diossido di carbonio e fargli “guidare” il clima. Non si spiegherebbe, infatti, perché diavolo gli autori hanno introdotto in tale diagramma non solo le effettive concentrazioni dell’anidride carbonica atmosferica, desunte dalle concentrazioni dell’isotopo 13 del carbonio, ma anche la concentrazione di CO2 al 2100 desunta dallo scenario di emissione RCP 8.5! Il tutto per affermare che, se tutto va bene, torneremo a condizioni climatiche del tipo Warmhouse o, addirittura, Hothouse.

Un mio compianto cliente avrebbe detto: per un cucchiaio d’olio, abbiamo rovinato la pietanza. Uno studio ben fatto, ben argomentato, ben articolato, ma rovinato da una palese contraddizione in termini. Stupisce, infatti, che gli autori temano che il sistema climatico possa tornare nello stato Warmhouse o Hothouse, se le concentrazioni di diossido di carbonio atmosferico saranno quelle del fantasioso ed irrealistico scenario di emissioni RCP 8.5, ma non si preoccupino minimamente del fatto che, con le attuali concentrazioni di CO2, dovremmo essere nel pieno dello stato Warmhouse. Questo è quello che dice il loro diagramma (fig. 2 pannello D).  Fortunatamente ne siamo ancora abbastanza lontani.

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Published inAttualitàClimatologia

15 Comments

  1. Giorgio

    Riprendo il commento di Luigi Mariani per ricordare quello che è già stato detto in diverse occasioni: è ipotesi non irragionevole che l’esistenza delle calotte glaciali polari sia dovuta alla particolare configurazione delle terre emerse, e che quindi la formazione delle calotte stesse sia la causa (o una delle cause) e non la conseguenza dell’insorgere dell’era glaciale.

  2. Giorgio

    Bisogna capirli, anche loro “tengono famiglia”

  3. Luigi Mariani

    Caro Donato,
    Da anni faccio il revisore anonimo per riviste scientifiche, lavoro faticoso, oscuro e totalmente gratuito.
    Facendo ciò non intervengo mai per verificare quale sia l’ideologia dell’autore ma per evitare ad esempio che l’autore ignori il processo standard (dati -> modelli -> deduzioni -> conclusioni) e lo trasformi in (conclusioni -> dati -> modelli -> cherry picking) al fine di ricavare quanto è coerente con le “conclusioni” che stanno all’inizio dell’articolo.
    Oggi la “conclusione” che va per la maggiore nei lavori di climatologia è “il clima è impazzito e lo è per colpa dell’uomo (Ipcc…)” ed è frequente trovare autori che mettono la frase fatidica all’inizio dei loro lavori, quasi fosse un mantra, e qui concordo con l’idea che si tratti ormai di qualcosa di religioso….
    Preciso infine che tutto ciò prescinde dal fatto che CO2 sia o meno al centro delle macchina del clima: per orientare le nostre scelte abbiamo bisogno di scienziati che lavorino in modo onesto sui dati, non di bigotti, e questo vale tanto per chi crede in modo fideistico nella teoria AGW quanto per chi la avversa in modo preconcetto.

    • donato b.

      Caro Luigi.
      concordo con te parola per parola.
      Ciao, Donato.

  4. Massimo Lupicino

    Caro Donato grazie per il contributo, ottimamente argomentato come al solito. Al netto di un’analisi cosi’ dettagliata parmettimi di fare una osservazione molto piu’ generale (e banale): ho il difetto di ultrasemplificare, lo so 🙂

    Nel momento in cui si parla di CO2 come agente del cambiamento climatico e protagonista nel cambiamento della sensibilita’ del sistema, mi pare che non venga posta mai abbastanza attenzione alla CO2 in quanto “RISULTATO” dal cambiamento climatico stesso. Un pianeta che si riscalda, rilascia in misura crescente CO2 in atmosfera da parte degli oceani, che della CO2 costituiscono il serbatoio principale. Applicazione banale della legge di Raoult.

    Come si conciliano studi fatti su una scala temporale cosi’ estesa con la capacita’ di discriminare esattamente la causa dalla conseguenza? Chi assicura in che proporzioni l’aumento della CO2 non sia semplicemente il risultato di un riscaldamento del sistema per un’altra causa, piuttosto che ha sua volta la forzante che genera il cambiamento stesso?

    Mi pare che la debolezza principale di tanti studi sia nell’assunzione che una variabile sia correlata con un’altra, e nell’attribuire la variazione esclusivamente alla variabile considerata. Ma su scale temporali cosi’ lunghe si potrebbero chiamare in causa correlazioni di qualsiasi tipo e scoprire che quelle correlazioni superano la prova di un grafico e di un fit piu’ o meno spericolato.

    In altri termini, mi pare che il vero arbitrio sia nella scelta della variabile da correlare. E a maggior ragione, se si sceglie di correlare una variabile (il tenore di CO2) che a sua volta e’ il risultato del cambiamento climatico stesso, l’esercizio diventa ancora piu’ discutibile.

    Tanto piu’ che analisi come questa dovrebbero dimostrare l’esistenza di quei feedback positivi legati all’incremento della CO2 che hanno fatto la fortuna delle “hockey stick” al giorno d’oggi: se la CO2 e’ il pilota di tutto, come mai non si e’ innescato in passato un runaway in grado di regalarci il clima di Venere? Si suppone per il semplice fatto che ci sono altre forzanti piu’ efficaci, e quindi prevalenti. E questo dovrebbe destinare automaticamente alla discarica le considerazioni finali dell’articolo, in cui a seguito di una analisi pur cosi’ minuziosa, si sceglie di eleggere la CO2 a motore di tutto (per giunta facendo riferimento ad uno scenario di incremento delle emissioni completamente irrealistico e sgangherato come giustamente fai notare e come si e’ sottolineato piu’ volte su questo blog in tempi recenti)…

    • donato b.

      Caro Massimo,
      il tuo è un commento piuttosto articolato che tocca molti punti scottanti della questione climatica.
      .
      Relativamente alla questione della relazione tra la concentrazione atmosferica di CO2 e la temperatura globale, rinvio la discussione ad un post che ho appena finito di scrivere e che ho già inviato a G. Guidi per la pubblicazione: è dedicato esclusivamente a questo argomento.
      .
      Riguardo alla scelta delle variabili da correlare concordo pienamente con te: sceglierne una e trascurare tutte le altre è un arbitrio che può falsare del tutto i risultati dell’indagine. Purtroppo questa è una delle principali pecche di quasi tutti gli studi che vengono pubblicati, soprattutto quelli degli ultimi tempi. E’ diventato sempre più raro, infatti, che i ricercatori dedichino spazio a cose diverse dal diossido di carbonio. Qualche anno fa invece le cose andavano diversamente, in quanto i ricercatori davano spazio a diverse variabili e non solo alla CO2 ed alla temperatura.
      .
      Molto interessante mi sembra la tua osservazione relativa al mancato innesco della catena di eventi che dovrebbe portarci ad un mondo simil-Venere. Lo studio che ho commentato dovrebbe dimostrare che questa ipotesi sciagurata sulla Terra non potrà mai verificarsi, in quanto esistono dei meccanismi regolatori (attrattori del sistema) che sono riusciti a scongiurare la deriva climatica sia in presenza di condizioni estremamente rigide (glaciazioni), sia in presenza di condizioni estremamente calde con elevatissime concentrazioni di diossido di carbonio (PETM). Nella fattispecie lo stato Hothouse di cui parlano Westerhold e colleghi, caratterizzato da concentrazioni di CO2 di 1000 e più ppm e temperature di oltre dieci gradi più elevate di oggi, è risultato reversibile, visto che oggi ci troviamo in uno stato climatico molto diverso.
      Ciao, Donato.

  5. Caro Donato,
    avevo scritto il mio commento questa mattina ma non lo vedo pubblicato: devo aver commesso qualche errore …
    La tua è una descrizione accurata e approfondita dell’articolo di Westerhold et al., necessaria dopo il mio “instant” post sullo stesso articolo in cui raccontavo poco dei contenuti; ancora di più lo è in vista (lontana) di un altro post sui picchi spettrali delle serie dell’ossigeno e del carbonio tra 0 e 67 Ma al quale sto lavorando.
    Per la cronaca, i cicli di Milankovic ci sono tutti, anche quello a 405 Kyr (eccentricità) di cui si parla meno.
    Condivido in toto i tuoi commenti, anche quello sul rovinare un buon lavoro con considerazioni gratuite sui modelli e la scelta innaturale di RCP8.5.
    Devo dire che hai fatto un ottimo lavoro! Ciao. Franco

    • donato b.

      Caro Franco,
      innanzitutto grazie per le tue parole di apprezzamento.
      .
      Mi fa molto piacere che tu abbia iniziato lo studio particolareggiato dei dati su cui è basato questo lavoro e che i risultati preliminari confermino l’esistenza dei cicli astronomici. Sarebbe interessante, se possibile, vedere come tali cicli siano distribuiti sull’intera serie di dati.
      Westerhold e colleghi sostengono che nel corso degli anni è cambiata la risposta del clima alle forzanti astronomiche.
      Ciao, Donato

    • Sarebbe interessante, se possibile, vedere come tali cicli siano distribuiti sull’intera serie di dati.

      I dati di Westerhold & C hanno due passi distinti: 2Kyr tra 0 e 34 Myr e 5 Kyr tra 34 e 67 Myr per cui nelle wavelets avrei dovuto scegliere se calcolare lo spettro sui due pezzi distinti o se avere due scale diverse sullo stesso asse x (epoca in Myr). Ho scelto la prima soluzione e accludo in fondo lo spettro dei due pezzi.
      Non ho ancora corretto i grafici con scale più leggibili, scale che quindi elenco di seguito (uguali per entrambi).
      asse x:
      1 divisione=4 Myr (nel secondo grafico aggiungere 34 Myr)
      asse y:
      14.9=30 Myr (fuori dalla scala)
      Milankovic
      8.7=405 Kyr; 6.6=100 Kyr; 5.3=40 Kyr; 4.3=20 Kyr

      Come si può vedere, i cicli di Milankovic sono molto più deboli (il massimo a 405 Kyr, il più potente, è circa 110 volte inferiore) della massima potenza che è quella del massimo a 31 Myr (fuori scala qui) ma assolutamente dominante nei spettri LOMB.
      Effettivamente sono anche intermittenti e mostrano che l’influenza dei cicli orbitali ha avuto ed ha alti e bassi
      forse per l’attraversamento di varie parti della galassia da parte del Sole(?), ma è pura illazione con questi dati e con potenze che sono fuori da un livello di confidenza del 95% e quindi con i picchi eliminati da ogni analisi. Non da me, però, e sembra neanche da Westerhold. Franco

      Immagine allegata

    • donato b.

      Sembrerebbe, quindi, assodato che i cicli astronomici sono diffusi su tutto il periodo temporale indagato e che la loro potenza è variabile. Gli effetti analizzati nell’articolo di Westerhold e colleghi, sono, pertanto, confermati.
      A questo punto resta da individuare la causa che determina reazioni differenti del sistema climatico alla forzatura astronomica.
      Detto in altre parole, possiamo delineare diversi scenari:
      – la forzatura cambia nel corso del tempo a causa di interferenze astronomiche, legate alla posizione del sistema solare nella galassia;
      – lo sfasamento dell’azione delle forzanti astronomiche, determina una forzatura differente nel corso del tempo e, quindi, effetti diversi;
      – il sistema reagisce in modo differente alla forzatura astronomica a causa di meccanismi interni (concentrazione di CO2, circolazione termoalina, volume dei ghiacci, posizione e consistenza della massa continentale, ecc.).
      .
      Come è evidente il comportamento del sistema climatico dipende da una molteplicità di situazioni che è difficile individuare e prevedere, per cui appare sempre più convincente il meccanismo illustrato in Tzedakis et alii, 2012.
      Ed appare sempre più illusorio il volere far dipendere tutto da un’unica e sola variabile, ovvero la concentrazione atmosferica di CO2.
      Ciao, Donato.

  6. Luigi Mariani

    Caro Donato,
    grazie per l’approfondita analisi che fai del lavoro .
    In proposito ti chiedo se gli autori hanno considerato la deriva dei continenti come fattore in grado di giustificare lae diversa sensibilità del clima ai forcing astronomici.
    Come vedi nella figura qui sotto che ho trovato in rete, nel PETM i continenti erano disposti in modo totalmente diverso rispetto ad oggi e ad esempio a Bolca (universamente nota per i suoi fossili) c’era la laguna di un caldo mare tropicale.
    Ciao.
    luigi

    Immagine allegata

    • donato b.

      Caro Luigi,
      nell’articolo non si fa cenno alla posizione dei continenti. L’unico riferimento alla dinamica terrestre riguarda le oscillazioni magnetiche, ma sembra legato più alla datazione dei sedimenti che agli aspetti climatici.
      Da quello che ho potuto appurare, sono la concentrazione di anidride carbonica, in via principale, ed il volume dei ghiacci polari le uniche cause prese in considerazione dagli autori per giustificare la diversa reazione del sistema alle forzanti astronomiche.
      Ciao, Donato.

  7. rocco

    circa 66 milioni di anni fa, atterrò un meteorite che spazzò via i dinosauri.
    Vuoi vedere che stato di Warmhouse è dipeso da quell’evento e non da altro?
    Così come lo Younger Dryas è stato provocato da un meteorite atterratò in Groenlandia circa 12 mila anni fa.
    Questi eventi sono tra le variabili imprevedibili che non possono assolutamente dare certezze sulle previsioni e sugli scenari climatici.
    Una domanda, in questo studio, sono stati valutati anche i clicli di Milankovic?

  8. rocco

    quasi tutti gli articoli sul clima terminano con considerazioni di merito o con raccomandazioni, ma ciò non è compito della scienza, semmai della filosofia o della religione.
    Qual’è la differenza tra uno scienziato ed un religioso?
    Di fronte all’osservazione al tempo T(1) della condizione XYZ(1) e dell’osservazione al tempo T(2) della condizione XYZ(2), lo scienziato si limita a descrivere il perchè ed il percome la condizione è passata da XYZ(1) a XYZ(2), proponendo una teoria che consenta di prevedere una condizione XYZ(3) al tempo T(3) e se la previsione non si avvera riprende carta, penna e calamaio e ritenta una teoria ed una previsione che sarà convalidata da osservazioni e/o sperimentazioni.
    Il religioso, difronte alla stessa situazione esprime giudizi di merito dicendo che la condizione XYZ(1) è migliore della condizione XYZ(2) e che bisogna fare di tutto per ritornare alla condizione
    XYZ(1) e teorizzando, anzi pontificando, che la causa della variazione dipende da azioni umane e che evitare una situazione XYZ(3) in cui vi sarà la fine del mondo, basandosi su dogmi e speculazioni psicologiche (senza porre in verifica né osservativa né sperimentale le sue teorie), cerca di imporre stili di vita, prodotti da comprare e modi di pensare.
    Quindi, la maggiorparte degli studi climatici sono studi religiosi.

    • donato b.

      Rocco,
      in certi momenti non mi sento di darti torto. I revisori degli articoli scientifici, molto spesso chiedono l’integrazione degli articoli con riferimenti a studi ben precisi sulla base delle citazioni e che essi hanno collezionato. Detto in altre parole, molti ricercatori, se vogliono che i loro lavori superino la soglia dell’accettabilità, devono far proprie le conclusioni di particolari ricerche che seguono la linea di pensiero principale. Certi articoli, in altre parole, rappresentano una specie di piano di paragone con cui ci si deve confrontare per forza, volente o nolente. In effetti ci troviamo di fronte ad una specie di ortodossia da cui è difficile derogare.
      .
      In merito ai cicli di Milanković la risposta è affermativa, ma la reazione del sistema a tali cicli è reputata diversa a seconda del livello della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera. Questa posizione non è nuova nel campo della fisica atmosferica. Secondo alcune ipotesi sembrerebbe, infatti, che il prolungarsi del presente ciclo interglaciale, sia da imputare all’elevata concentrazione atmosferica di anidride carbonica
      (Ruddiman, 2005, 2008 e via cantando).
      .
      Tzedakis et alii, 2012 suggerisce un meccanismo di innesco delle glaciazioni e delle deglaciazioni che ingloba cause esogene (astronomiche) ed endogene (circolazione termoalina, inclinazione dell’asse terrestre e concentrazione della CO2 atmosferica). Solo quando tali variabili sono opportunamente sintonizzate tra loro, si verifica il passaggio da uno stato climatico all’altro. Personalmente considero il meccanismo individuato da Tzedakis et alii, 2012 molto convincente.
      Ciao, Donato.

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