Salta al contenuto

Prima l’uovo o la gallina? 2.a parte: Una visione un po’ diversa.

Il titolo di questo post è il detto italiano che corrisponde al’inglese “Chicken-or-Egg“, di cui Demetris Koutsoyiannis fornisce la versione originale di Plutarco (dove si usa il femminile “gallina”) tradotta come “Hen-or-Egg” (gallina o uovo). Il concetto di causa-effetto sintetizzato da, appunto, “Prima l’uovo o la gallina?” e dalla sua direzione (la gallina nasce dall’uovo o l’uovo nasce dalla gallina?) costituisce il contenuto di un recente articolo di Koutsoyiannis e Kundzewicz (2020, d’ora in poi kk20) che affronta il tema della direzione della relazione T–>CO2 (i cambiamenti nella CO2 seguono quelli nella temperatura), confrontata con l’opposta relazione CO2–>T (la temperatura dipende dalla CO2).

Un post precedente dell’amico Donato Barone sullo stesso articolo pone, credo più profondamente di quanto appaia dallo scritto, forti dubbi sulla qualità del lavoro, in particolare riferendosi ai fatti che:

  1. La CO2 è un gas serra e quindi il suo contributo al riscaldamento è indiscutibile. Allora, con lo schema precedente, la direzione è CO2–>T.
  2. Le cause del riscaldamento globale sono molte: concentrarsi solo sulla CO2 significa darsi dei limiti che non rispecchiano la realtà.

Proverò a discutere questi aspetti nelle conclusioni di questo post, pur premettendo che anche io ho qualche perplessità dopo la lettura e qualche tentativo di applicazione di kk20.

L’argomento è stato affrontato molte volte in letteratura (ad esempio Suppes, 1970; Granger, 1980; Liang, 2016) e kk20 propongono, per la soluzione, un modo basato sulla irreversibilità del tempo e sulla causalità (rapporto causa-effetto) del sistema. Vengono discusse anche le complicazioni logiche e tecniche, nell’identificare la causalità, che portano alla loro scelta di selezionare le condizioni di causa-effetto necessarie piuttosto che anche quelle sufficienti. Il tutto si basa sulla successione temporale dei cambiamenti e non sulla loro grandezza (valore): è la successione temporale a determinare il verso della causalità.
Il risultato del loro lavoro permette di discriminare tra le due direzioni illustrate sopra e porta ad un verso dominante, quello T–>CO2

While logical, physically based arguments support the “hen-or-egg” hypothesis, indicating that both causality directions exist, interpretation of cross-correlations of time series of global temperature and atmospheric CO2 suggests that the dominant direction is T → CO2, i.e., change in temperature leads and change in CO2 concentration follows.

La ricerca nasce dalla considerazione che, durante la pandemia da Covid-19, e relativo lockdown, si è osservato un aumento nella concentrazione di CO2 che ha seguito l’andamento degli anni precedenti, malgrado una diminuzione senza precedenti delle sue emissioni.

… global CO2 emissions were over 5% lower in the first quarter of 2020 than in that of 2019, mainly due to an 8% decline in emissions from coal, 4.5% from oil and 2.3% from natural gas.

Questa discordanza tra emissione e concentrazione viene descritta dalle prime due figure dell’articolo che accorpo in figura 1.

Fig.1: Figure 1 e 2 di kk20. Le emissioni di CO2 (grafico superiore) sono diminuite in modo considerevolmente più elevato rispetto a quelle delle grandi crisi del passato, mentre la concentrazione è rimasta praticamente la stessa degli anni precedenti il Covid-19.

La relazione di Arrhenius (1896) che afferma: “se la quantità di acido carbonico [la CO2] aumenta in progressione geometrica, la crescita di temperatura aumenterà in progressione quasi aritmetica” viene espressa dalla relazione

T-To=α ln(CO2/CO2o)        (1)
con T e CO2 temperatura e concentrazione di anidride carbonica, calcolate rispetto ai due valori di riferimento To e CO2o e α è una costante, la pendenza della relazione lineare (1), che non viene discussa ulteriormente da kk20. In realtà è l’importante sensibilità climatica all’equilibrio o ECS.

Tra le ipotesi messe in campo da Arrhenius c’è la sovrastima dell’assorbimento della radiazione da parte dell’anidride carbonica, rispetto alla capacità del vapore acqueo, e in questo ha trascurato un precedente suggerimento di Tydall, nel 1856, che attribuisce al vapore acqueo il maggiore assorbimento. In pratica Arrhenius fissa un rapporto tra CO2 e H2O di 1:0.6 mentre per le stime moderne è 1:4.

KK20 considerano che le due grandezze T e CO2 siano fortemente connesse (… the fact that the two variables are tightly connected is beyond doubt, …), mentre deve essere analizzata la direzione della loro relazione. Questo aspetto è meglio evidenziato nella loro figura 4, che riporto in figura 2, relativa alla funzione di cross-correlazione (CCF) tra T e CO2 nella carota antartica di Vostok.

Fig.2: Figura 4 di kk20. T e CO2 nella carota Vostok (Antartide) e, in basso, le rispettive auto-correlazioni (ACF) e la cross-correlazione da cui si vede un ritardo della CO2 rispetto a T di circa 1000 anni, evidenziato dal fatto che il massimo della CCF si ha a lag +1.

Senza entrare in troppi dettagli, si può associare la direzione della causalità (T–>CO2 [+] oppure CO2–>T [-]) al segno del lag corrispondente al massimo della CCF, ovvero

 

Se lag>0
max{CCF(T,CO2)} porta a T–>CO2 (T precede CO2)
Se lag<0
max{CCF(T,CO2)} porta a CO2–>T (CO2 precede T)             (2)
Se lag=0
max{CCF(T,CO2)} non definisce alcuna posizione dominante

Il risultato è legato alla reversibilità o irreversibilità del tempo, nel senso che nessun processo causale (tale che, in due fasi consecutive, una è sempre la causa dell’altra) è reversibile; da questo kk20 derivano la definizione di processo di causa-effetto data da

  • Suppe (1970): Un evento Bt’ che avviene al tempo t’ è la causa [lui usa il termine prima facie] dell’evento At se e solo se t’>t (tempo non reversibile); P( Bt’)>0; P(At|P(Bt’)>P(At), cioè la probabilità di At, osservata in seguito al verificarsi dell’evento Bt’ è maggiore della probabilità originale di At.
  • Granger (1980): il passato e il presente possono causare il futuro, ma il futuro non può causare il presente e il passato.

Gli autori poi criticano il concetto di causalità alla Granger e in particolare il test di causalità alla Granger che, grazie a questa denominazione, fa pensare di essere in grado di definire il rapporto di causa-effetto tra due grandezze e anche la direzione di questo rapporto: nel test l’ipotesi nulla è data come “il processo X non causa il processo Y” e il rigetto di questa ipotesi viene normalmente interpretato come X causa-ai-sensi-di-Granger Y, interpretazione sbagliata in quanto tutto il test di Granger è basato su matrici di correlazione, cioè sulla correlazione, e, come tale, non può definire il processo causa-effetto e la sua direzione (ricordo che correlazione non significa dipendenza funzionale).

KK20 osservano anche che la causalità alla Liang (Liang, 2016), in cui la correlazione viene sostituita dall’entropia (o informazione), non è un modo nuovo di procedere perché si può dimostrare che usare l’entropia è equivalente ad usare la correlazione.

Quindi Koutsoyiannis e Kundzewicz ritornano alla loro idea di usare la funzione di cross-correlazione, e il segno del lag al suo massimo, per definire la direzione della causalità tra temperatura e CO2, e la applicano a due serie di temperatura (UAH terra e oceano e CRUTEM4, solo terra) e a quattro serie di CO2 (Mauna Loa, Barrow, South Pole, Globale) a passo sia mensile che annuale.
Nel fare questa operazione, si rendono conto che il sistema è poco sensibile ai cambiamenti e decidono di usare le differenze prime (cioè usano, invece dei valori di T e CO2, la serie valore2-valore1; valore3-valore2 ecc) anche perché in questo modo eliminano la memoria a lungo termine delle serie, con associato esponente di Hurst (v. ad es. http://www.climatemonitor.it/?p=47359 oppure http://www.zafzaf.it/clima/cm92/cm92home.html ) e trattano quantità in cui l’auto-correlazione è bassa o inesistente.
Il risultato finale è esemplificato nelle auto- e cross-correlazioni della loro figura 14 che riporto, con la sua didascalia, in figura 3:

Fig.3: Figura 14 di kk20. Auto e cross-correlazione tra UAH e Mauna Loa. Da notare che tutte le differenze (indicate con Δ) mostrano lag positivi, con questo indicando che la direzione prevalente è T–>CO2: la variazione di temperatura precede la variazione di CO2.

Commenti conclusivi
E’ arrivato il momento di discutere i dubbi di Donato Barone su kk20:

  1. E’ vero che la CO2 è un gas serra, ma non è questo il punto. L’aspetto che conta è la sua capacità di far alzare la temperatura globale di gradi, anche molti. Se il suo contributo si perdesse, ad esempio, nel rumore di fondo delle misure di temperatura, la CO2 sarebbe ancora un gas serra ma nessuno ne discuterebbe.
  2. Io non so se i fattori che contribuiscono al riscaldamento globale siano davvero molti e ben individuati e, soprattutto, se siano così determinanti come la forza della CO2, alla quale viene attribuito (nelle ormai consolidate credenze comuni, nelle politiche attuate e in fase di attuazione e nei modelli) il massimo impatto rispetto al riscaldamento globale causato dalla produzione umana di CO2.
  3. Ho pubblicato (fig.2) il confronto tra temperatura e anidride carbonica e ho sottolineato (come hanno già fatto altri prima di me) che la CO2 segue la temperatura e, a volte, la precede: di conseguenza mi sono posto il problema di una causa terza alla quale sia temperatura che CO2 possano rispondere, ognuno con i suoi tempi e modi. Ma, ancora, non è questo il punto: noi abbiamo a che fare con la relazione di Arrhenius e la consideriamo una specie di legge universale. Quindi è giusto cercare di capire se questa funziona in un verso oppure nell’altro, senza nulla togliere ad altre possibilità di “relazione”.
  4. In https://wattsupwiththat.com/2020/09/15/cooling-the-hothouse/ Willis Eschenbach usa i dati su 67 milioni di anni di Westerhold et al., 2020 per costruire sperimentalmente la relazione di Arrhenius e mostra che non funziona, forse, e sottolineo forse, va bene solo per qualche brevissimo e (dico io) casuale intervallo di tempo, tipo i 160 anni di temperature globali, su cui abbiamo costruito tutto.

E ora i miei dubbi:
Il lavoro mi sembra molto interessante, ma non si possono nascondere alcune perplessità:

  1. Un primo invio ad altra rivista ha ricevuto commenti negativi da entrambi i referee e l’articolo è stato respinto.
  2. La rivista a cui l’articolo è stato inviato la seconda volta, dopo revisione, lo ha accettato in 4-5 giorni. E’ difficile pensare ad un dibattito con i referee.
  3. Personalmente ho molta stima di Koutsoyiannis, che qui ha permesso una giustificazione teorica al mio modo empirico di procedere per eliminare l’autocorrelazione dagli spettri delle serie climatiche (http://www.zafzaf.it/clima/cm92/cm92home.html), ma ho provato a ricostruire il suo sistema usando i dati NOAA di temperatura globale (terra+oceano) e la CO2 di Mauna Loa, entrambi a passo annuale, e non sono riuscito a confermare il lag positivo che dovrebbe esserci tra T e CO2, come si vede nella figura 4.
Fig.4: quadro in alto: CCF tra T e ln(CO2) senza modifiche (linea nera) e tra ΔT e Δln(CO2). Entrambe le cross-correlazioni mostrano il massimo a lag 0(zero). Quadro in basso: serie temporale delle differenze prime di T (linea nera) e ln(CO2), linea rosa.

La stessa lunga disamina delle difficoltà teoriche insite nella comprensione e nella soluzione del problema prima l’uovo o la gallina? sviluppata da kk20 dovrebbe rendere attento il lettore verso la via, davvero semplice, proposta dagli autori (si dice che non esistano soluzioni semplici a problemi complessi) che sicuramente va controllata con attenzione, sia sul piano teorico che su quello pratico.

Bibliografia

 

  • Granger, C.W. Testing for causality: A personal viewpoint.J. Econ. Dyn. Control, 2, 329–352, 1980. https://doi.org/10.1016/0165-1889(80)90069-X
  • Koutsoyiannis D.: The Hurst phenomenon and fractional Gaussian noise made easy Hydrological Sciences-Journal-des Sciences Hydrologiques47:4, 573-595, 2002. https://doi.org/10.1080/02626660209492961
  • Koutsoyiannis D.: Climate change, the Hurst phenomenon, and hydrological statistics Hydrological Sciences-Journal-des Sciences Hydrologiques48:1, 3-24, 2003. S.I. https://doi.org/10.1623/hysj.481.3.43481
  • Koutsoyiannis D.: Nonstationarity versus scaling in hydrology Journal of Hydrology324, 239-254, 2006. https://doi.org/10.1016/j.jhydrol.2005.09.022
  • Koutsoyiannis D.: Time’s arrow in stochastic characterization and simulation of atmospheric and hydrological processes Hydrological Sciences Journal 64, 1013-1037, 2019. https://doi.org/10.1080/02626667.2019.1600700
  • Koutsoyiannis D., Kundzewicz Z.W.: Atmospheric Temperature and CO2: Hen-Or-Egg Causality? (Version 1) Sci2-72, 1-27, 2020. https://doi.org/10.3390/sci2030072
  • Liang, X.S. Information flow and causality as rigorous notions ab initio.Phys. Rev.94, 052201, 2016 https://doi.org/10.1103/PhysRevE.94.052201
  • Suppes, P. A Probabilistic Theory of Causality, North-Holland Publishing: Amsterdam, The Netherlands, 1970
  • Tyndall, J. Heat a Mode of Motion, 2nd ed.; Longmans: London, UK, 1865. Available online: https://archive.org/details/heatamodemotion05tyndgoog/ (accessed on 1 September 2020).
  • Tutti i dati e i grafici sono disponibi nel sito di supporto

 

 

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
Published inAttualitàClimatologia

11 Comments

  1. Gianni

    Caro Franco e cari tutti,

    La relazione detta di Arrhenius è stata in realtà derivata a posteriori dalla sua narrativa, e figura oggi cosi’;
    ΔF (W m-2) = 5.35 · ln⁡ (Cx / C0)
    dove il valore α = 5.35 è un valore mediano con limitata variabilità. L’output diretto non è il ΔT ma la forzante radiativa. L’ECS è lo spericolato esercizio di conversione di questa forzante in ΔT con ln(2), ex.: ΔF = 5.35 · ln⁡ (760 / 380) = 3.71 W m-2.
    All’epoca, Arrhenius stimo’ (in un complicato calcolo che poi si è rivelato errato) che un raddoppio della CO2 avrebbe causato un riscaldamento di 5-6 °C, che è superiore al valore estremo di 4,5 °C fatto proprio dall’IPCC più di cento anni dopo sulla base della stessa teoria.
    Quando Arrhenius teorizzò l’effetto serra atmosferico (1896) la comunità scientifica era ancora su una posizione che vedeva le onde elettromagnetiche propagarsi in un etere solido (fu ipotizzato che la Terra si muovesse attraverso un mezzo di trasporto della luce).
    Paradossalmente, a più di un secolo di distanza, la comunità scientifica non fa più affidamento sull’etere solido ma i fondamenti di quella teoria dell’effetto serra atmosferico non sono messi in discussione, essendo alla base dell’attuale spiegazione del riscaldamento globale causato dall’uomo.
    Rifacendo i calcoli di Arrhenius usando le leggi (che Arrhenius non conosceva) di Planck (potenza emissiva di un corpo nero per una data frequenza ad una data temperatura), Wien (massima intensità radiante), Stefan-Boltzmann (quantità di energia radiante da un corpo nero) et Kirchhoff (relazione tra energia irradiata e energia assorbita), l’incremento di T al raddoppio della [CO2] scende sotto 0.5 °C.
    Tuttavia anche questo modesto incremento resta puramente teorico perché lo spettro di assorbanza della CO2 nella finestra non coperta dal vapore acqueo è spesso chiusa dalle nubi.
    Ma cio’ che fa crollare completamente la teoria dell’effetto serra è la scoperta (inattesa) che mentre la temperatura aumenta in quota, la concentrazione di vapore acqueo diminuisce (http://climate4you.com/images/NOAA%20ESRL%20AtmospericRelativeHumidity%20GlobalMonthlyTempSince1948%20With37monthRunningAverage.gif), ex. “The increased CO2 is compensated by reduced H2O” (Miskolczi, 2007, Quarterly Journal of the Hungarian Meteorological Service).

    Mi sembra evidente che ci puo’ essere una sola direzione della relazione tra T e CO2. Quando questa relazione salta dev’esserci l’intervento di un fattore esterno (dallo spazio o dal sottosuolo).

    Saluti e grazie di tutto

    • Caro Gianni,
      grazie davvero per la spiegazione approfondita di come funziona l’ECS e sulla relazione tra forzante e CO2.
      Sul lavoro di Miskolczi ho trovato in rete un lavoro di Luigi del 2009: http://www.climatemonitor.it/wp-content/uploads/2010/02/ML-2009-commento-articolo che penso possa interessare.

      L’intervento di un fattore esterno che modifica la direzione della relazione tra T e CO2 mi consola: visto che quella relazione mostra sperimentalmente entrambe le direzioni che si alternano nel tempo, la mia idea di una causa esterna non è così campata in aria, anche se io faccio riferimento a una situazione diversa.
      Grazie ancora e ciao. Franco

  2. Simone

    Non entro nel merito dell’articolo di Koutsoyiannis et al., ma vorrei fornire la mia opinione riguardo alla rivista, visto che il punto è stato sollevato da Franco Zavatti… ho avuto a che fare nel mio settore con l’editore in questione (MDPI) e, quantomeno nell’ambito di riviste di mio interesse, non rappresenta una grande scelta qualitativa ma sta divenendo sempre più importante grazie alla rapidità con la quale i lavori vengono accettati… in genere tali riviste hanno comunque impact factor, in certi casi anche discreti, ma è la metodologia alle spalle dell’impact factor a renderlo un attestato poco affidabile della serietà della rivista, e con oramai la presenza dell’open access su tutte le riviste, editori come MDPI hanno saputo ritagliarsi degli spazi ed un’autorevolezza che spesso non meritano sul piano qualitativo… Aggiungo anche che il tempo lasciato ai reviewer è in genere di circa due settimane, molto poco se paragonato ad editor più importanti (ad esempio Elsevier) e spesso inferiore anche a quello di molte conferenze

    • Non ho espresso dubbi sulla qualità della rivista (non direttamente) ma solo sulla velocità di accettazione: 4 giorni non permettono quasi neanche uno scambio di mail, figurarsi la lettura del testo e una discussione ancorché minima.
      Non sono un climatologo all’origine e non giudico la qualità di questa o quella rivista -forse in qualche chiacchiera da salotto, non di più- ma sicuramente la velocità di “produzione”, nel caso di autori che considero
      affidabili (come Koutsoyiannis), ha un suo valore che non può essere trascurato.
      L’articolo, in fin dei conti, ci ha permesso di discutere, di giudicare, di apprezzare o meno la ricerca, di tentare di riprodurla; cioè di fare da referee, nel nostro piccolo.
      Come scrive lei, queste riviste “ad alta velocità” hanno il loro ruolo e anche impact factors a volte notevoli e la teoria di Darwin permette loro di vivere finché saranno utili. Utilizziamole, magari guardando con una maggiore attenzione al loro contenuto. Franco

  3. rocco

    nel passare dall’epoca glaciale a quella interglaciale, mentre la CO2 salì di circa 150ppm, la temperatura di circa 8°.
    Dal 1850 la CO2 è salita di circa 150ppm, ma la temperatura solo di 1,2°…
    Mentre durante lo Younger Dryas la temperatura calava di circa 6°, la CO2 aumentava di circa 20 ppm…
    E’ evidente che da sola la CO2 non è il motore del riscaldamento globale.
    Con questi livelli di CO2 dovremmo essere agli stessi livelli di temperatura del Pliocene, ossia erano in media 2-3 °C più alte di quelle attuali.
    Rimane il fatto che nel Pliocene gli alberi erano giganti (vedasi foresta fossile di Dunarobba – Terni) e prosperava l’Homo abilis ed altri nostri lontani parenti.
    Ad esclusione del livello del mare più alto, si viveva comunque bene anche in quelle terre che oggi sono sotto immense coltri di ghiaccio.
    Il problema sta nella testa di chi se lo pone!

  4. Luigi Mariani

    Cari Donato e Franco,
    dopo aver letto l’articolo (mi ero riproposto di scrivere un commento in caso non l’aveste fatto voi… assai meglio di quanto avrei potuto dare io), credo di poter dire che il più grosso limite al lavoro di di Koutsoyiannis e Kundzewicz risieda nel fatto che CO2 (alla pari dell’acqua) è davvero al cuore del sistema climatico terrestre. Al cuore significa che vi è una quantità elevatissima di feedback positivi e negativi in azione e che “sporcano” la relazione causale rendendo oltremodo ardua la sua interpretazione.
    Peraltro un ragionamento analogo si potrebbe applicare all’acqua: il contenuto in acqua del’atmosfera è causa o effetto dell’aumento delle temperature globali? La risposta è che è sia causa sia effetto, e la stessa cosa possiamo dire per CO2 atmosferica e temperature globali.
    Al fine di tagliare un simile nodo gordiano a mio avviso ragionare di causalità rischia di rivelarsi troppo parziale, per cui sarebbe a mio avviso meglio approcciare il sistema con modelli che tengano nel giusto conto i suoi elementi i complessità e casomai ricavare da detti modelli degli indici che ci dicano quanto CO2 (o H2O o …) è causa e quanto è effetto…..
    Peraltro il discorso dei tanti feedback lo introducono anche Koutsoyiannis e Kundzewicz nel finale del loro articolo, il che potrebe voler dire che anche loro sono stati sfiorati dal mio stesso dubbio.
    A ciò aggiungo che l’articolo è complesso ma molto interessante, non ultimo per il riferimento storico al geofisico Luigi De Marchi (1857-1936 – https://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_De_Marchi_(geofisico)) che varrebbe la pena approfondire.

  5. Sempre a proposito della relazione TCO2 vorrei aggiungere un riferimento bibliografico che conoscevo ma avevo dimenticato:
    W.J. Davis: The Relationship between Atmospheric Carbon Dioxide Concentration and Global Temperature for the Last 425 Million Years ,Climate, u>5(4), 76, 1-36, 2017.
    https://doi.org/10.3390/cli5040076

    In particolare, a pag 16, 1.o paragrafo, si legge:
    “The absence of a discernible correlation between atmospheric CO2 concentration and T over most of the Phanerozoic, as demonstrated above, appears to contravene the widely-accepted view about the relationship between atmospheric CO2 and temperature, by which increases in atmospheric CO2 concentration cause corresponding increases in T owing to increased radiative forcing.
    Moreover, this finding from the ancient climate appears to be inconsistent with the well-established positive correlation between atmospheric CO2 concentration and T across glacial cycles of the last 400–800 Ky”
    . Franco

  6. Cristiano Griggio

    Salve a tutti,
    Io sono solo un frequentatore del sito, non uno studioso come i fantastici autori di questi post.
    Ciò premesso, da “scettico climatico” (si dice così?) vorrei fare un’osservazione: considerando che la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera si è quasi raddoppiata dal fatidico 1850, mentre l’aumento della temperatura globale sembra essere circa 1.5 °C nello stesso periodo, non é possibile trarre delle conclusioni un po’ attendibili?
    Grazie per l’attenzione e complimenti a tutti per la qualità degli interventi.

    • Provo a rispondere ma devo premettere che per me parlare di sensibilità climatica all’equilibrio (ECS) è difficile: non ho mai voluto capire cosa sia (lo so che è l’aumento della temperatura al raddoppio della CO2) e l’ho sempre considerata un sistema per aumentare in modo fittizio il ruolo della CO2 nell’aumento della temperatura (sbaglio e so di sbagliare).
      Altra cosa da dire, come sottolinea Koutsoyiannis nell’articolo, è che parlare di CO2 come “forzante” equivale a definire a priori il verso della relazione T CO2, argomento principale dell’articolo in discussione.

      Detto questo, le conclusioni “un po’ attendibili” che lei vorrebbe non sono così facili da ottenere: l’ECS è uno degli argomenti principali del dibattito climatico e ha tenuto e tiene impegnati decine (centinaia?) di ricercatori che negli ultimi 40-50 anni non sono riusciti non solo a trovare un valore attendibile e condiviso per la sensibilità ma neanche a diminuire l’incertezza dell’insieme dei valori con cui abbiamo a che fare. Oggi il valore di ECS va da circa 0.5 a circa 3.5 °C/2*CO2 (vado a memoria), cioè dall’inesistenza dell’AGW alla catastrofe climatica (o giù di lì).

      Usiamo la relazione di Arrhenius: T-To=k*ln(CO2/CO2o) dove T e CO2 sono temperatura e concentrazione di CO2 e l’indice “o” identifica i valori di riferimento (lei ha usato 280 ppmv al 1850 e ha considerato circa un raddoppio oggi). Se usiamo il suo valore per T-To=1.5 °C, la relazione sopra ci dice che k (qualcuno mi ha detto che è l’ECS) vale ln(2)/1.5=0.69/1.5=0.46 il che significa che l’AGW non deve essere considerato un problema.
      D’altra parte se prendo l’anomalia di temperatura dell’emisfero nord e la metto in relazione con ln(CO2/CO2o) ottengo sperimentalmente (vedere la
      figura in fondo) che -dal 1860 al 2014- k, la pendenza della relazione lineare, vale un 3.1 che merita attenzione.

      Come ho scritto nel post, qualcuno ha provato a fare lo stesso “gioco” di cui sopra su 65 milioni di anni e non è riuscito a trovare una relazione lineare complessiva neanche per sbaglio, tanto per ribadire che il concetto
      di forzante deve essere dimostrato prima di essere applicato e che trovarlo su un minuscolo intervallo di tempo, come i 160-170 anni che noi prendiamo in
      considerazione, significa poco o nulla. Franco

      Immagine allegata

  7. donato b.

    Caro Franco,
    complimenti per la disamina analitica di Koutsoyiannis et al., 2020 che integra e completa il mio commento, invero molto descrittivo e poco attento alla matematica che sottende il lavoro di Koutsoyiannis e colleghi.
    .
    Il tuo commento al mio post mi aveva fatto temere di aver preso lucciole per lanterne, ma leggendo quanto hai scritto, noto che le differenze tra il mio modo di interpretare Koutsoyiannis et al., 2020 ed il tuo, non sono eclatanti.
    .
    Procedendo nel dettaglio, noto che, in merito al punto 1) dei miei dubbi, entrambi concordiamo sul fatto che il diossido di carbonio è un gas serra. Detto questo, il problema è capire quanto incida la sua concentrazione atmosferica nel riscaldamento globale in atto e, a questo punto, sulle variazioni di temperatura verificatesi in passato. Una stima del suo peso climatico, la possiamo dedurre dai valori della sensibilità climatica all’equilibrio, determinata dai vari studi e, quindi, ci inoltriamo in una giungla. A seconda degli autori andiamo da zero a 6/7°C di aumento della temperatura al raddoppio della concentrazione, di CO2. L’intervallo è molto ampio, per cui dobbiamo andarci con i piedi di piombo. Io propendo per un modesto 2°C, ma solo perché mi sembra un valore che riesce a mediare quelli più probabili. Diciamo che la CO2 influenza la temperatura globale, ma non come ci vogliono far credere.
    .
    In merito al punto 2) sono dell’avviso che i fattori che determinano il riscaldamento (ma anche il raffreddamento, quando c’è stato) sono molti e non tutti conosciuti. Il sistema climatico, come tu mi insegni, è estremamente complesso e le incertezze circa il modo in cui le grandezze fisiche che lo caratterizzano interagiscono tra loro, sono ancora molto alte. Non per niente le modalità di analisi del sistema sono essenzialmente statistiche. Circa il grado di incertezza che caratterizza il livello di conoscenza delle leggi che mettono in relazione queste grandezze, basta dare un’occhiata alla selva di curve generate dai modelli, per rendersi conto della nostra profonda ignoranza in proposito. Al netto di tutte queste incertezze ed alla luce di quanto ho scritto a proposito del punto 1), io propendo per attribuire alla CO2 un peso del 40/50 per cento nell’entità del riscaldamento climatico in corso e nei cambiamenti climatici del passato.
    .
    Per quel che riguarda i punti 3 e 4, posso dire che la possibilità che tra CO2 e temperatura non vi sia relazione è probabile, ma la probabilità è piuttosto bassa. Devo ammettere, però, che dopo aver letto il tuo articolo e in particolare dopo aver riflettuto sui due ultimi diagrammi che hai elaborato, non sono più tanto sicuro che la probabilità di una non dipendenza diretta tra CO2 e temperatura (in un verso e nell’altro) sia così bassa come pensavo. Ciò comporta, però, che esista un altro fattore che le determini entrambe. Tale fattore potrebbe essere il Sole, ma qui entriamo in un altro campo minato
    .
    La tua analisi riguardante il rapporto tra concentrazione atmosferica di CO2 e temperature globali NOAA, dimostra, infatti, che non esiste un verso preferenziale tra temperature globali e concentrazione atmosferica di CO2 .
    In una risposta ad un commento di Roberto k06 al mio post, avevo auspicato che qualcuno ripetesse l’analisi di Koutsoyiannis et al., 2020, ma riferendola alle temperature globali (terre+oceani) e ad un intervallo temporale più ampio.
    L’auspicio ha trovato pronto ed inaspettato riscontro nella tua analisi ed il risultato, come ho già scritto più sopra, evidenzia il fatto che nessun verso della relazione tra temperatura e concentrazione atmosferica di CO2 è privilegiato. Fatto per me curioso e fonte di ulteriori dubbi circa i risultati di Koutsoyiannis et al., 2020. Non solo. Questo grafico fa nascere un’ulteriore serie di dubbi circa l’altro verso della relazione: se non è confermata la tesi di Koutsoyiannis, ne esce con le ossa rotte anche l’altra, ovvero la dipendenza della temperatura dalla CO2.
    Giusto per aumentare ancora di più il senso di frustrazione che mi sta assalendo, andò a leggermi l’articolo di Willis Eschenbach, sperando di poter chiarire (?) almeno qualche altro dubbio in merito al verso della relazione tra temperatura e concentrazione atmosferica di diossido di carbonio.
    Caro Franco, più studio e più mi accorgo di non sapere!
    Ciao, Donato.

    • Caro Donato,
      hai ragione, alla fin fine i nostri dubbi non sono poi tanto diversi. Le differenze sono più frutto di sensazioni che di conti precisi: tu propendi verso un 40-50% di incidenza della CO2 (non riesco a chiamarla diossido di Carbonio, al massimo biossido di Carbonio come si usava ai miei tempi; sono vecchio) sul riscaldamento globale, mentre io sarei più verso il 3-4%, ma ovviamente non c’è una bella equazione che permetta il calcolo senza ipotesi
      supplementari per cui …

      Concordo con te sul fatto che se un’ipotesi non va, anche l’altra è messa male. Non ci avevo pensato in questi termini, ma in definitiva la mia ipotesi di un fattore esterno ad entrambe le grandezze (e non specificato) significa proprio questo, a ripensarci.

      L’articolo di Willis Eschenbach secondo me è importante perché ha verificato sperimentalmente (con la digitalizzazione della CO2, ma io lo faccio spesso e con buoni risultati) su 26 mila dati e 65 milioni di anni che la relazione di Arrhenius non funziona in generale (oppure ha verificato che le due serie di dati sono i numeri del lotto). Io ho ottenuto fit lineari perfetti (http://www.climatemonitor.it/?p=40965 ) per la relazione tra temperatura e ln(CO2), ma l’ho fatto sui 160 anni circa delle serie, mentre lui lo ha fatto su una grande e significativa estensione temporale.
      Caro Franco, più studio e più mi accorgo di non sapere!
      qui, fra noi due, siamo almeno in tre a registrare la stessa cosa!
      Ciao. Franco

Rispondi a Franco Zavatti Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »