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L’ONU i disastri naturali e l’orecchio da mercante

di Luigi Mariani e Gianluca Alimonti

Il 13 ottobre, in occasione della giornata internazionale per la riduzione del rischio di catastrofi, è uscito il report ONU (ONU2020) “Human cost of disasters – An overview of the last 20 years 2000-2019”, fondato su dati che provengono dal dataset EM-DAT del CRED (Center for Research on the Epidemiology of Disasters) dell’Università cattolica di Lovanio in Belgio.

La conclusione riportata nel report è che tali eventi sono quasi raddoppiati, passando da 4212 nel ventennio 1980-1999 a 7348 nel periodo 2000-2019, arrivando a parlare di “aumento impressionante dei disastri legati al clima negli ultimi vent’anni” sino al punto di sostenere che “stiamo trasformando la nostra unica casa in un inferno inabitabile per milioni di persone”.

Nel report si parla anche di decessi e perdite economiche, argomenti già analizzati in un precedente lavoro: in questo scritto si prenderanno in considerazione solo il numero dei disastri e si cercherà di analizzarne la consistenza.

Osservando il grafico dei disastri naturali a partire dal 1900 (CRED2004) si osserva una sostanziale apparente assenza degli stessi sin verso la metà del secolo scorso, periodo in cui inizia una repentina crescita sin verso la fine del XX secolo. Tale andamento è assai strano: possibile che i disastri naturali siano “iniziati” verso la metà del XX secolo con una apparente drammatica crescita sino alla fine del secolo? La qual cosa sarebbe tra l’altro “coerente” con la crescita della temperatura globale del nostro pianeta.

 

 

In precedenti report però il CRED ha sempre messo in guardia su un’interpretazione esclusivamente climatologica dell’aumento degli eventi osservato sino alla fine del XX secolo: nel 2004 ad esempio scriveva (CRED2004)

Figure 2 (sopra riportata) might lead one to believe that disasters occur more frequently today than in the beginning of the century. However, reaching such a conclusion based only on this graph would be incorrect. In fact, what the figure is really showing is the evolution of the registration of natural disaster events over time”.

Ed ancora nel 2007 (CRED2007)

“Indeed, justifying the upward trend in hydro-meteorological disaster occurrence and impacts essentially through climate change would be misleading. … one major contributor to the increase in disasters occurrence over the last decades is the constantly improving diffusion and accuracy of disaster related information“.

A supporto di questa lettura vi è anche la crescita dei terremoti, che certamente nulla possono avere in comune con le condizioni climatiche, assai simile all’aumento di tutti i disastri naturali: l’aumento dei terremoti registrati può ragionevolmente essere quasi unicamente frutto di un miglior reporting.

Anche nel report ONU in questione (ONU2020) l’avvertimento al lettore è presente, ma in versione molto addolcita e prevale decisamente l’interpretazione clima-catastrofista oggi dominante

“While better recording and reporting may partly explain some of the increase in events, much of it is due to a significant rise in the number of climate-related disasters “

A cosa sia dovuta questa nuova chiave di lettura assai più clima-centrica rispetto alla precedente? Forse ad una revisione dei dati precedenti il 2000?

Torniamo allora al report del CRED 2004 (CRED2004) e facciamo un confronto tra i dati alla base delle conclusioni allora riportate ed i dati relativi agli stessi anni ma estratti oggi dal database pubblico del CRED.

Dalla tabella non si evidenzia alcun significativo incremento, eventualmente una leggera diminuzione, ma i dati sono sostanzialmente in accordo. Volendo fare un confronto più dettagliato, anche l’analisi annuale dei disastri mostra un sostanziale accordo tra i dati a cui faceva riferimento il report del CRED del 2004 con quelli attualmente presenti nel database del CRED.

La figura mostra il grafico del CRED (CRED2004) a cui è stato sovrapposto in verde il numero dei disastri annuali come riportato ora nel database del CRED.

In conclusione i confronti, sia per il numero totale di disastri naturali nel periodo, sia anno per anno, mostrano che i dati non sono significativamente cambiati. Addirittura l’andamento dei disastri naturali, da quando il reporting degli stessi si può considerare affidabile a detta degli stessi ricercatori del CRED, mostra una diminuzione del 15% dal 2000 ad oggi.

Come mai allora il messaggio diramato dall’ONU (ONU2020) parla di un «aumento impressionante dei disastri legati al clima negli ultimi vent’anni» e del fatto che “stiamo trasformando la nostra unica casa in un inferno inabitabile per milioni di persone“, ignorando con ciò gli inviti alla cautela nell’interpretazione dei dati CRED espressa a più riprese dal CRED stesso?

Questa domanda l’abbiamo posta al Direttore del CRED che l’ha diplomaticamente girata a D.McClean, funzionario ONU e coautore del report (ONU2020): siamo ancora in attesa di risposta.

Riferimenti

  • (ONU2020) Human cost of disasters – An overview of the last 20 years 2000-2019
  • (CRED2004) Thirty Years Of Natural Disasters 1974-2003: The Numbers, CRED 2004
  • (GRED2007) Annual Disaster Statistical Review, CRED 2007
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Published inAmbienteAttualitàClimatologia

6 Comments

  1. AleD

    “siamo ancora in attesa di risposta”
    Ottimo, mi raccomando teneteci aggiornati!

  2. rocco

    per me che vivo in una zona altamente sismica, la paura maggiore è e rimarrà un terribile sisma come quello del 1980, ma sopratutto il fatto di rimanere per lunghi periodi di tempo senza casa, alloggiato in tenda in un fangoso campo di calcio o peggio avere una casetta in legno ecocompatibile che deperisce nel giro di un anno o che si ammuffisca nel secondo, come accaduto per i poveri malcapitati de L’Aquila.
    ma neanche mi vorrei ritrovare nelle condizioni di un amatriciano, con il paese ricostruito per il 6% ma con ingenti finanziamenti a bici e monopattini elettrici per un problema che, se ci sarà, sarà nel 2100.

  3. donato b.

    Nel 2004 e nel 2007, forse, il tema climatico era meno sentito. Il dibattito era ancora in atto e non era stato politicizzato ai livelli attuali. L’economia verde era ancora in divenire e la pressione dell’opinione pubblica, alias mezzi di comunione di massa, certamente a livelli inferiori a quelli attuali. Ricordo, per esempio, che su “Le Scienze” il numero di articoli sull’argomento era molto ridotto ed io cominciai ad interessarmi della questione partendo dal minimo solare del 2008/2009.
    Nel 2010 era ancora possibile per il compianto E. Bellone scrivere un editoriale in cui le preoccupazioni circa il riscaldamento climatico di origine antropica, venivano paragonate a quelle alla base della caccia alle streghe ed alla caccia agli untori.
    I tempi erano diversi e la razionalità ancora baluginava tra le nebbie dell’ideologismo rampante. A mia memoria quello del prof. Bellone, fu uno degli ultimi autorevoli interventi su “Le Scienze” in cui si cercava di richiamare il mondo scientifico italiano ad un atteggiamento più scettico. Sappiamo tutti come andò a finire e ricordo ancora i commenti che ne seguirono, anche da parte di attivisti, sedicenti climatologi, che al prof. Bellone non erano degni neanche di legare i lacci delle scarpe.
    Credo che, purtroppo, questa potrebbe essere una possibile risposta alla domanda con cui gli autori chiudono il loro articolo.
    Ciao, Donato.

    • Luigi Mariani

      Caro Donato,
      concordo con la tua analisi. Il messaggio che oggi sarebbe necessario lanciare a chiunque si occupi di cambiamento climatico è che nelle sue attività si basi sempre e solo su dati di buona qualità e prodotti con regolarità, con quello che si chiama un approccio galileiano.
      Cosa accade invece rispetto ai fenomeni legati al clima? I disastri naturali e gli incendi diminuiscono? Che ci importa dei dati e della loro corretta interpretazione? Diciamo comunque all’opinione pubblica che gli eventi aumentano in modo parossistico, e che questa è verità scientifica. Amen!
      Per inciso un problema che emerge in modo lampante in relazione alla vicenda Covid19 e che a mio modestissimo avviso intorbida non poco le acque è quello per cui l’opinione pubblica e la politica guardano alla scienza come ad una portatrice di verità assolute, come se fosse una religione, e se la aspettano con tutto l’armamentario di una religione, ivi comprese le scomuniche.
      Come spiegare al politico che, smarrito di fonte all’epidemia, cerca legittimazione nella scienza, che la scienza è solo un metodo per confrontare teorie distinguendo verità da errore e che in questa chiave è in perenne divenire? Come spiegare che la scienza è (o ci si augura sia) molte leghe più avanti rispetto alla gestione day by day di un’epidemia, che invece compete ad entità operative (ad iniziare dai servizi statistici e dalla logistica) e comporta decisioni di tipo politico?
      Il capitano di una nave non fa scienza, ma viceversa applica delle tecnologie, ed io non affiderei mai il comando di una nave ad uno scienziato, fosse anche un premio Nobel. Viceversa dallo scienziato mi aspetto metodi nuovi (per Covid19 metodi di indagine epidemiologica, di diagnosi, terapia, ecc.) da trasferire con rapidità all’ambito operativo.

    • donato b.

      Caro Luigi,
      il tuo commento è fonte di molteplici riflessioni che non possono essere svolte nello spazio di un commento, per cui mi limiterò a poche considerazioni.
      .
      Tu scrivi: “…. non affiderei mai il comando di una nave ad uno scienziato, fosse anche un premio Nobel”.
      Come darti torto? Si tratta di competenze del tutto diverse, ma io vado oltre. Da questo concetto si può facilmente passare al dibattito relativo alle differenze tra la tecnologia e la scienza.
      Secondo alcuni la scienza è sempre positiva e progressiva. E’ la tecnologia che rende negative le conquiste scientifiche. E’, secondo il mio modesto avviso, una grande inesattezza, in quanto l’una non potrebbe esistere senza l’altra: esse sono complementari e si completano a vicenda.
      Ciò significa che uno scienziato avrà sempre bisogno di un tecnologo per poter materializzare la sua idea, anzi la più grande idea non ha alcun significato, se non c’è qualcuno che possa metterla in pratica.
      Pensiamo al CERN di Ginevra. Esso pullula di scienziati, ma gli acceleratori e gli esperimenti, non potrebbero esistere, se non ci fossero stati una miriade di ingegneri che li hanno progettati e che ne controllano la funzionalità. Senza la tecnologia, il bosone di Higgs sarebbe restato una bella teoria e nulla più.
      .
      Circa la percezione della scienza da parte della pubblica opinione, ci sarebbero da scrivere interi libri. Per esperienza diretta posso assicurare che la cosa più difficile per un docente di materie scientifiche, è far capire ai propri alunni che la scienza non è portatrice di verità assolute, ma ogni legge scientifica è vera fino a prova contraria. Ancora più difficile è far capire che le conclusioni cui pervengono gli scienziati sono caratterizzate da ben precisi gradi di incertezza: essi non sono esseri supremi depositari della verità, non sono dei, in altre parole.
      .
      Purtroppo l’opinione pubblica crede che lo scienziato sia in grado di risolvere ogni problema e che la scienza abbia capito tutto, per cui ogni qualvolta qualcosa va storto, sorge spontanea la domanda: possibile che nel 2020 la scienza ancora non ha capito come guarire i nostri malanni?
      Lo scienziato come demiurgo infallibile è ancora lo stereotipo più diffuso e quando egli non è in grado di risolvere un problema, allora è la credibilità della scienza intera a venire meno.
      .
      La cosa grave in tutto questo è che sono gli stessi scienziati ad alimentare il mito della loro infallibilità e, quindi, a minare la fiducia nella scienza. Si è diffusa l’idea che non si può comunicare in modo corretto la scienza (con le incertezze che la contraddistinguono) altrimenti la gente perde la fiducia negli scienziati.
      Secondo alcuni, inoltre, la scienza è diventata così complessa e controintuitiva, che solo alcuni eletti possono comprenderla e solo loro possono dire ciò che si deve fare: IPSE DIXIT.
      Non è vero. E’ vero l’esatto contrario.
      Chi ha trasformato la scienza in religione, ha arrecato ad essa un danno irreparabile. Non è raro sentir dire che bisogna credere agli scienziati perché in caso contrario diventiamo tutti terrapiattisti.
      Chi dice questo non si rende conto che la parola “credere” è antitetica rispetto al sapere scientifico. Io posso credere allo Spirito Santo, ma non alla teoria membranale per spiegare l’origine e l’evoluzione del cosmo. Sono due ambiti del tutto diversi. Eppure….
      .
      Sul tema del rapporto tra la politica e la scienza preferisco soprassedere, così come su quello del COVID. Non perché non abbia nulla da dire, ma perché un commento non può essere un articolo o un testo monografico. 🙂
      Ciao, Donato.

  4. L’entità dei disastri e la corrispondente significatività dipende quasi sempre dalle caratteristiche dell’ambiente antropizzato. Fare analisi statistiche contando solo sulla numerosità dei disastri è riduttivo e fuorviante. Non so chi siano questi ricercatori, certamente sono studiosi che hanno “cercato” la notizia, certamente non hanno fatto scienza.

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