Salta al contenuto

Quando il silenzio può equivalere a una falsità: il caso dei tornado negli USA

Gran parte dell’enfasi sulla cosiddetta “crisi climatica” verte sulla questione degli eventi meteorologici estremi, che starebbero aumentando (per frequenza e intensità) in ragione del riscaldamento globale. È quindi del tutto evidente che sia di fondamentale interesse l’analisi delle relative serie storiche, dai cui risultati possono emergere conferme o smentite della teoria poco prima citata.

Detto così, sembrerebbe tutto semplice, ma in realtà le cose sono ben più complesse, perché nel dibattito sul cambiamento climatico riveste un’importanza enorme anche il modo col quale i risultati delle verifiche sono presentati e divulgati. Anche senza dire alcunché di scorretto, pure un silenzio può avere gli stessi effetti negativi di una falsità: è il caso – a mio giudizio – delle valutazioni sull’andamento dei tornado negli USA.

Sul sito ufficiale della NOAA c’è una pagina dedicata alla climatologia dei tornado, nella quale è riportato tra gli altri l’istogramma della frequenza annua, dal 1954 al 2014, degli eventi intensi (F3/+), cioè di quelli ricadenti nelle classi F3, F4 ed F5.

Il commento a tale figura si esaurisce con queste parole: «il grafico a barre indica che negli ultimi 55 anni c’è stato un debole trend nella frequenza dei tornado più forti»; si badi bene che i nostri amici americani si limitano proprio a dire soltanto “little trend” senza nemmeno specificare se esso sia positivo o negativo (Nota: perché poi si parli di 55 anni quando la serie ne conta 61 rimane un mistero).

La serie in oggetto ha un trend lineare decrescente con R2 pari a 0,1325; ne risulta quindi, secondo il test di Pearson, un livello di confidenza del 99%. Applicando il test di omogeneità non parametrico di Pettitt, si appura che la decrescita è dovuta ad un change-point negativo (confidenza del 99%), la cui collocazione temporale è nell’intervallo 1977-1985; pressoché identica indicazione è fornita anche dal test parametrico di Buishand, con confidenza attorno al 98%.

Dal punto di vista dell’interpretazione climatologica, l’evoluzione della frequenza annua dei tornado F3/+ negli USA vede pertanto uno sviluppo secondo due periodi ben distinti:

  1. 1954-1977, con media pari a 58,4
  2. 1986-2014, con media pari a 35,9

Tra di essi una fase di transizione, 1978-1985, con media pari a 43,3.

Si può in sostanza affermare che, verso la fine degli anni ’70 dello scorso secolo, la frequenza dei tornado di forte intensità ha subìto una marcata variazione, con decremento del valore medio annuo di quasi il 40%.

Nulla di tutto ciò emerge dal report della NOAA, cosicché un lettore non troppo attento e/o non sufficientemente esperto ne trae l’impressione che non siano avvenuti dei mutamenti rilevanti. Sarebbe bastato presentare il grafico nel modo sotto indicato, per rendere chiara a chiunque la situazione.

Non credo sia possibile suggerire delle interpretazioni attendibili in merito alle cause di quanto evidenziato dall’analisi della serie, tuttavia è indiscutibile che si tratti di un caso per il quale la correlazione fra temperature ed eventi estremi appare opposta rispetto a quanto sostenuto dalle teorie ufficiali.

Tacere su fatti di questo genere non è corretto e incide sui dibattiti alla pari di una diffusione di dati falsati.

Anche la passione per i record climatici pare essere “unidirezionale” – I lettori avranno certamente notato le ricorrenti notizie sui media di record che testimonierebbero la rilevanza dei cambiamenti in atto. Un esempio lo abbiamo avuto nello scorso giugno, quando un picco termico raggiunto a Verkhoiansk in Siberia è stato oggetto di ampia attenzione da parte di tutte le fonti informative più autorevoli a livello nazionale.

Ebbene, pure sui tornado intensi si sono registrati ultimamente dei record di rilievo, ma nessuno ne ha ricevuto informazione (chissà come mai …).

Andando sul sito web dello Storm Prediction Center della NOAA, visto che le statistiche sono aggiornate al 2018, possiamo infatti constatare che:

  • anno 2017 = eguagliato il numero il numero minimo annuo (15) di tornado F3/+; silenzio assoluto del mondo della divulgazione.
  • anno 2018 = Record Minimo Assoluto! Gli F3/+ sono stati soltanto 12. Ed erano tutti F3, in quanto, per la prima volta dall’inizio delle registrazioni nel 1950, non vi sono stati F5 e neppure F4. Qualcuno ve ne ha parlato? Penso proprio di no.

Anche se non è bello fare il processo alle intenzioni, non ho dubbi nel ritenere che, se per caso nelle due suddette annate consecutive i record fossero stati di massimo invece che di minimo, si sarebbe scatenato un putiferio, con i soliti allarmi per la catastrofe incombente e le immancabili affermazioni di qualche sedicente esperto in merito al continuo aumento dell’intensità del fenomeno.

_____________________________________

NB: il post è uscito in origine sul blog dell’autore

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
Published inAttualitàClimatologiaMeteorologia

15 Comments

  1. Giorgio Germano

    Ammetto che trovo ammirevole la fede incrollabile che avete nelle vostre idee – anche davanti a un numero di prove oggettivamente valide che le screditano. Ma, ovviamente, “il mondo è bello perché è vario”: bisogna dare ad ognuno gli strumenti affinché possa formare la propria opinione, e poi rispettarla (come Voltaire in verità non ha mai detto: “non condivido ciò che dici ma morirò perché tu possa dirlo). Detto questo, spero almeno di avervi reso consapevoli che siete contro la maggior parte del mondo scientifico – ma di nuovo, senza chi pensa controcorrente molte grandi scoperte non sarebbero arrivate, giusto?
    Credo però capiate la mia riluttanza a condividere il mio punto di vista, dato che a) non ho visto alcuna evidenza di dati convincente (e sì, li ho letti quasi tutti gli articoli di CM, ormai) e b) ritengo il parere di migliaia di grandi scienziati più autorevole, non me ne vogliate. Saranno tutti pagati dall’establishment? Potremmo discutere anche su questo punto a lungo, senza cavarne il ragno dal buco. La ragione verrà di nuovo “portata al centro”? Quando vedrò delle prove oggettive, dei dati inconfutabili, sarò il primo a cambiare idea.
    Franco, evidentemente abbiamo definizioni diverse del principio di convenienza: se il suo è diverso dal mio, direi che la discussione può fermarsi anche qua. Se però non fosse questo il caso, la prego di leggere e documentarsi seriamente su una qualsiasi rivista di economia/sul web, perché le assicuro che applicando una mentalità completamente capitalistica e volta a ottenere il massimo profitto, senza nulla di ideologico, arriviamo comunque alla conclusione che è conveniente – da un punto di vista meramente economico – premunirsi.
    Per chiarirle il mio commento, ritengo che cosa considerare informazione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica e cosa invece terrorismo mediatico sia una questione di opinioni e largamente dibattibile, così come quali problemi considerare le maggiori sfide di questa generazione.

    Trovo veramente ironico che lei porti sempre l’argomento del “i modelli sono troppo approssimativi, ne sappiamo troppo poco dell’evolversi del clima” e poi mi cita la pandemia di covid, di cui non sappiamo ancora assolutamente niente di certo riguardo trasmissibilità, effettiva influenza del clima, fattori che influiscono sulla mortalità, eccetera. Peraltro, a dimostrazione di quanto poco sappiamo di questo virus, ci sono esempi di paesi che hanno applicato misure altamente restrittive e, in quei periodi, i contagi sono subito scesi (Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud per alcuni periodi…): se per altri paesi questo non è vero, come ha giustamente fatto notare, è evidente che ci sono molti altri fattori che non conosciamo.
    Mi permetta di commentare la sua frase “credo di poter dedurre che l’applicazione del “principio” non ha portato alcun beneficio e ha prodotto e produrrà, come contraltare, una batosta pesante all’economia, all’occupazione eccetera”. Il “principio” non si applica così, usandolo come una formuletta già pronta. Il principio di precauzione è, appunto, un principio, qualcosa che deve guidare le nostre azioni, non un piano concreto che dica esattamente cosa fare. Per applicare il principio vanno eseguite tutte una serie di analisi e stime (che variano di caso in caso!) e poi prese delle misure (che variano di caso in caso!). Ovviamente in entrambi i casi possono essere commessi degli errori (come forse è accaduto in Italia? è probabile, ma magari aspettiamo la fine di questa pandemia per fare commenti), ma questo, ovviamente, non invalida il principio in sé. Ma, di nuovo, ho sempre più l’impressione che abbiamo una definizione diversa del principio di precauzione.

    Allego, sempre riguardo il principio di precauzione.
    – Il rapporto oecd 2009 http://www.oecd.org/officialdocuments/publicdisplaydocumentpdf/?doclanguage=en&cote=eco/wkp(2009)32
    – Il rapporto onu 2019 https://unfccc.int/sites/default/files/resource/unfccc_annual_report_2019.pdf

  2. Giorgio Germano

    Mi scuso se il precedente messaggio non era arrivato, lo allego in fondo a questo commento.

    Grazie anche, signor Guidi, per i link veramente interessanti.
    Interessanti soprattutto perché tutti, con nessuna eccezione, supportano la mia tesi e screditano completamente la sua.

    Il primo studio che lei cita, di Bray e von Storch, nella figura indicata (B30), dà un 53% pro (se considero 1-2-3 come livello di convinzione) vs un 29% contro (5-6-7), e la domanda, ricordiamolo, è “Climate change is mostly the result of anthropogenic causes”. Si evince poi che il trend è in crescita: dati più aggiornati (qui si parla del 2003) mostrano come il parere sia molto più spostato a favore.

    Il secondo link, purtroppo, non funziona più e non sono riuscito a reperire il lavoro. Come leggerà più avanti, sono comunque riuscito a trovare i dati. Anche questi, mi duole dirlo, vanno completamente contro la sua tesi.

    Il terzo studio (Anderegg et al. 2010) afferma “Here, we
    use an extensive dataset of 1,372 climate researchers and their publication and citation data to show that (i) 97–98% of the climate researchers most actively publishing in the field surveyed here support the tenets of ACC outlined by the Intergovernmental Panel on
    Climate Change, and (ii) the relative climate expertise and scientific prominence of the researchers unconvinced of ACC are substantially below that of the convinced researchers”. Letteralmente, afferma che il 97-98% degli scienziati è d’accordo con i principi dell’AGW definiti dall’IPCC e che l’autorità scientifica di chi invece non è d’accordo è, in media, inferiore di chi appoggia la teoria.
    La ringrazio per questo ulteriore spunto, che userò in futuro per supportare le mie opinioni. La prego, mi dica da dove ha tirato fuori il 66%, sono curioso. (Come vede, i dati in questo caso sono del 2009: il trend è in crescita?)

    Il quarto studio (Bray 2010) afferma che 39% (IPCC) o 33% (non IPCC) degli scienziati dà il MASSIMO POSSIBILE CONSENSO all’AGW (ben diverso dal 9.15% che lei indica), dunque il consenso massimo è ancora maggiore rispetto allo studio Bray-Von Storch (dove la colonna 1 era del 9%), confermando il trend.

    Non sono riuscito a reperire neanche il quinto studio (Rosenberg et al. 2010).

    Cito testualmente dal sesto (Farnsworth e Lichter 2012):
    “Only 5% disagreed with the idea that human activity is a significant cause of global warming”. Lei ha riportato che il 38,84% degli scienziati è pro AGW.
    Inoltre, la sua fonte cita un altro documento:
    “In related research, a 2010 paper in the Proceedings of the National Academy of Sciences also found that among a pool of roughly 1,000 researchers who work directly on climate issues and publish the most frequently on the subject, 97% agree that anthropogenic climate change is happening”.

    Il settimo articolo è il tanto vituperato articolo di Cook.

    Nell’ottavo (Stenhouse et al. 2014) ho trovato un riferimento al lavoro di Doran e Zimmermann (il secondo, che non riuscivo a trovare): la sua fonte, signor Guidi, afferma che “For example, in Doran and Zimmerman’s survey study, while only 82% of the total sample indicated they are convinced that humans have contributed to global warming, 89% of active publishers in the peer-reviewed scientific literature and 97% of climate experts who publish primarily on climate change in the peer-reviewed scientific literature indicated they were convinced (Doran and Zimmerman 2009; Kendall Zimmerman 2008)”. Dunque, 82% pro-AGW nel campione generale, che poi passa a 89% e 92% per gli scienziati che gli autori ritengono più autorevoli. Lei quanto aveva segnato? Giusto, 25%.
    Ma torniamo allo studio, che voleva stabilire quali categorie di scienziati sono più convinte dell’AGW. I risultati sono che climatologi più esperti e che pubblicano su riviste scientifiche sono i più convinti dell’AGW (93%), poi i meteorologi che pubblicano (78%), infine i climatologi e meteorologi meno esperti (rispettivamente 65% e 59%). La ricerca conclude che i risultati di Doran e Zimmermann sono confermati: consenso alto, quasi unanime tra gli scienziati più “autorevoli” (definizione data dalle fonti citate da lei). I risultati sono a pagina 1033, paragrafo “results”. Lei aveva segnato 25%.

    Nel nono, Verheggen et al. 2014, “90% of respondents with more than 10 climate-related peer-reviewed publications (about half of all respondents), explicitly agreed with anthropogenic greenhouse gases (GHGs) being the dominant driver of recent global warming” (abstract, pag. 8963). Dunque, 90% degli scienziati con almeno dieci pubblicazioni (poco più di metà campione) è d’accordo con la teoria AGW. Lei aveva segnato 15%.

    Non sono riuscito a trovare il decimo (Pew Research Center 2015), a cui ha attribuito un consenso del 87%.

    Nell’ultimo, infine (Carlton et al. 2015), a pagina 3 si legge “91.9% of scientists surveyed believed in anthropogenic climate change”. Lei aveva segnato 33,38%.

    Invito chiunque a leggere i documenti, vedrete che i risultati che riporto sono esattamente quelli presenti sugli studi.

    Guidi, in ogni singolo caso (dei documenti che sono riuscito a reperire, 9 su 11) lei ha inventato di sana pianta i dati delle ricerche, riportando in ogni singolo caso percentuali molto più basse.
    E non stiamo parlando di qualche punto percentuale: su ricerche che davano il 90% di consenso, lei ha riportato il 15%.

    Riassumiamo:
    1. (Carlton et al 2015): 91.9% pro-AGW. Lei ha segnato 33.89%
    2. (Verheggen et al 2014): >90% degli scienziati con 10 o più pubblicazioni (più di metà campione) pro-AGW. Lei ha segnato 15%.
    3. (Stenhouse et al. 2014): 93%, 78%, 65% e 59%, a seconda della categoria. Lei ha segnato 25%.
    4. (Farnsworth e Lichter 2012): 5% contro AGW (90% pro-AGW? Sto inventando un irrealisticamente enorme 5% di indecisi). Lei ha segnato 38,84 pro-AGW. La ricerca cita anche un altro studio, che dà un 97% pro-AGW.
    5. (Bray 2010): 33% (non IPCC) e 39% (IPCC) degli scienziati danno il massimo consenso possibile all’AGW. Non contiamo neanche chi dà un valore di convinzione minore. Lei ha segnato 9,15%.
    6. (Anderegg et al. 2010): 97-98% pro-AGW. Lei aveva segnato 66%.
    7. (Doran e Zimmermann 2009): 82% pro-AGW, e la percentuale sale al 89% e 97% con l’aumentare dell’”autorevolezza” degli intervistati.
    8. (Bray e von Storch): 53% pro-AGW (contando 1-2-3). Lei ha indicato 46,49%.

    Lascio a voi il compito di fare una media con i veri dati.

    Conclusioni:
    – Il mondo scientifico è quasi all’unanimità convinto dell’AGW
    – Il trend di scienziati convinti è in crescita
    – Gli scienziati definiti più “autorevoli” da alcune ricerche sono in media più pro-AGW rispetto a quelli “meno autorevoli”.

    Tra l’altro, il lavoro di Bray e von Storch offre altri interessanti spunti:
    – L’80% (contando 5-6-7) non è d’accordo con la frase “There is enough uncertainty about the phenomenon of global warming that there is no need for immediate policy decisions” (per rispondere anche a lei, Franco). Tabella B34
    – 72% (contando 1-2-3) è d’accordo nel ritenere i rapporti dell’IPCC di grande aiuto per il progresso della climatologia. Tabella B36
    E ce ne sono moltissimi altri, vi prego di guardarli.

    Ripeto che sono tutte fonti citate proprio da lei.

    Allego il precedente messaggio:

    La ringrazio per la pronta risposta.
    In primo luogo, il mio riferimento al prof. Pinna non è da intendere in senso offensivo né funesto (come invece lei, evidentemente, ha fatto). Se sono stato ambiguo, mi scuso.
    Vorrei, poi, chiederle una spiegazione un po’ meno fumosa sull’”incommentabilità” della ricerca che le ho allegato: non ho capito le ragioni che lei porta.
    Le assicuro che le mie opinioni si fondano sui dati (e non il contrario) e sono tutt’altro che granitiche, anzi pronte a cambiare non appena avrò delle evidenze che le invalideranno, (questo, per ora, non è ancora successo). Le assicuro, anzi, che sarei solo felice di condividere il suo ottimismo riguardo al futuro, ma purtroppo non credo sia questo il caso. Badi bene, non sto dicendo che non c’è speranza: le soluzioni esistono e sono possibili, sta a noi attuarle.
    A costo di essere ripetitivo, ribadisco che, secondo me, di un problema globale come la crisi ambientale bisogna parlare il più possibile, così come bisogna parlare di Auschwitz, di fame nel mondo, di razzismo, di omofobia, (e l’elenco, purtroppo, sarebbe molto lungo). Ma qui siamo nel campo delle opinioni, dunque ovviamente accetto, pur senza condividere, l’opinione del prof. Pinna, senza presunzioni di superiorità.

    p.s. le allego comunque ulteriori prove del consenso del mondo scientifico relativamente alla causa umana del riscaldamento globale:
    – Un articolo di Science https://science.sciencemag.org/content/306/5702/1686/
    – Uno che parla della nostra ricerca di Cook https://iopscience.iop.org/article/10.1088/1748-9326/8/3/031003/meta
    – Un estratto da Eos https://agupubs.onlinelibrary.wiley.com/doi/pdfdirect/10.1029/2009EO030002

    Ho anche trovato una risposta ad una critica fatta allo studio di Cook. Le allego sia la critica ( https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0301421514002821 ) che la risposta ( https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0301421514003747 )

    • Giorgio,
      due cose:
      – qui non esiste fede, esistono solo fatti. E credo di poter dire che tutti quelli che abitano il Villaggio di Asterix sanno che una parte delle dinamiche del clima è ascrivibile alle attività umane. Il tema infatti non è se, ma quanto, quando, dove, come. Tutte domande che non trovano risposta nella realtà osservata ma ne trovano quante ne vuoi in quella prevista, che fino a prova contraria, non è realtà. Ho scritto e ripeto che penso di essere quindi in quel 97%, che dunque non vale niente.
      – se proprio devi fare delle requisitorie, cerca di riportare bene quel che leggi. “Guidi, in ogni singolo caso (dei documenti che sono riuscito a reperire, 9 su 11) lei ha inventato di sana pianta i dati delle ricerche, riportando in ogni singolo caso percentuali molto più basse.” Io non ho inventato proprio niente, perché quel pezzo come avrai visto non è mio (non per questo lo rinnego, anzi) e perché come sono stati fatti i conti dall’autore è scritto chiaro e tondo.
      Ora, torniamo al punto. Se pensi, a valle di tutta questa utilissima letteratura, che questo approccio sociologico risolva il tema tecnico buon per te. Del resto, ripeto, questo è sempre accaduto, non saremo né i primi né gli ultimi ad essere stati “convinti” di qualcosa che poi si è rivelato non vero.
      Infine, ti prego di fare uno sforzo e limitare la lunghezza dei commenti.
      Buona giornata,
      gg

  3. “… che in questi due casi siamo in entrati nel mondo delle opinioni”
    Non ho capito di quali due casi stiamo parlando …

    Di sicuro però entriamo nel mondo delle opinioni quando parliamo del principio di precauzione. Infatti quello adottato nel lavoro citato (Researchgate) non è il principio di precauzione (che, ricordiamolo, non è il principio di conservazione dell’energia in Fisica, ma una regoletta pratica, detta anche “del buon padre di famiglia” e quindi di valore discutibile e discusso) ma la definizione del principio di precauzione secondo quanto
    elencato nel volume di cui l’articolo fa parte.

    Che gli autori siano entrambi di un “istituto per l’innovazione e lo sviluppo sostenibile” fa sì che entrambi ritengano questa definizione accettabile: ma
    basta leggere la prima parte della stessa per rendersi conto di quale sia la priorità “fissata per legge” (priority will be given to human health and the environment), priorità che rende questa definizione un giochino socio-politico.
    Comunque, questa è la prima parte della definizione adottata:
    “Where, following an assessment of available scientific information, there is reasonable concern for the possibility of adverse effects but scientific uncertainty persists, provisional risk management measures based on a broad cost/benefit analysis whereby priority will be given to human health and the
    environment, necessary to ensure the chosen high level of protection in the Community …” (da:Jeroen P. van der Sluijs and Wim C. Turkenburg,
    Climate
    change and the Precautionary Principle
    , disponibile a https://www.researchgate.net/publication/27704319_Climate_Change_and_the_Precautionary_Principle)

    In pratica, si fissa arbitrariamente un livello di pericolo basato sulla suddetta priorità e si agisce di conseguenza: il problema sta nel livello di pericolo fissato e direi che siamo di fronte ad un bel ragionamento circolare.

    Un principio è una cosa seria, non qualcosa che può essere tirato per la giacchetta a seconda delle convenienze del momento (dubito che nel medioevo
    l’ambiente e la salute pubblica avessero un ruolo qualsiasi e che durante la peste manzoniana qualcuno si preoccupasse dell’ambiente, mentre la regola del buon padre di famiglia funzionava anche allora). Quindi, ribadisco, l’articolo parla di un giochino che di scientifico ha molto poco e le sue conclusioni lasciano il tempo che trovano.
    Tra l’altro parla di incertezza nella sensibilità climatica riferendosi a 8 misure (l’articolo è del 2014) quando le misure attuali sono almeno una ventina (e quindi il suo valore è oggi meno valido) e fa riferimento esclusivo ai modelli climatici e alle loro conclusioni molto improbabili dato che usano gli RCP meno aderenti alla realtà e più catastrofisti.

    Non ho letto l’altro articolo e non ne ho cercati altri ma, vista la falsariga, credo di aver solo evitato di sprecare tempo.

    In questi giorni ho controllato l’applicazione del principio di precauzione nel caso del covid in Italia: i nostri governanti (giustamente, non discuto la loro presa di posizione) hanno invocato più volte il principio di (massima) precauzione (ad esempio il ministro Speranza) alla base delle scelte del governo. Ho confrontato il risultato (decessi per milione di abitanti) in 6 nazioni (tra cui i cattivissimi USA e Brasile, ma anche UK, Svezia e Iran) e il numero di decessi/milione in Italia è il peggiore di tutti.
    Allora, credo di poter dedurre che l’applicazione del “principio” non ha portato alcun beneficio e ha prodotto e produrrà, come contraltare, una batosta pesante all’economia, all’occupazione, alla speranza per il futuro
    della quale risentiremo per diversi anni.
    Cosa devo pensare del principio di precauzione? Che nel caso del clima è giusto mentre nel caso del covid (questo sì, mortale per davvero) è sbagliato?

    Tra l’altro lei parla di clima (per esempio riferendosi al post del prof. Pinna) ma poi, come quasi tutti i “guerrieri climatici” si riferisce solo all’ambiente: lei si rende certamente conto del fatto che i due concetti sono diversi per cui mi piacerebbe sapere cosa li lega abbastanza da farli stare nella stessa frase (o commento). E non mi dica i gas serra che nessuno
    ha mai dimostrato essere la causa dell’inquinamento ambientale (la fesseria del “cos’altro potrebbe essere”, per favore la lasci nella penna o nella tastiera).
    Nessuno di noi di CM crede di essere nel vero assoluto, ma quello che vorremmo è spingere chi ci legge a pensare con la propria testa, ad esempio
    sull’incongruenza di una sola manopola di controllo per un sistema climatico che è quanto di più complesso possiamo immaginare e che è stato ridotto al livello di una radio su cui cambiare la sintonia a piacere (da cui deriva il concetto di “lotta al cambiamento climatico”).
    Franco

  4. Giorgio Germano

    Franco, Donato, Massimo, ringrazio anche voi per la risposta pronta e dai toni pacati (se il mio commento di ieri era invece troppo acceso, perdonatemi l’ardore giovanile. Ma non mi sembra di essere risultato eccessivo.). Tra l’altro, ci tengo a sottolineare (come ho già fatto nel commento che sto aspettando che venga pubblicato) come l'”inelegante uscita” sul prof. Pinna non fosse assolutamente da intendere in senso offensivo o di malaugurio: volevo semplicemente sottolineare il contrasto generazionale che, a volte, emerge parlando di queste questioni. Ma mi sembra che voi non l’abbiate interpretata erroneamente.

    Massimo, sono pienamente d’accordo con lei riguardo i vari problemi che la nostra generazione deve e dovrà affrontare. Semplicemente, io aggiungo alla lista la questione ambientale, ma le assicuro che sui restanti problemi da risolvere siamo d’accordo (anzi, purtroppo ce ne sono altri!). Detto questo, ogni generazione ha avuto le sue sfide da combattere, e sono convinto che anche la mia farà la sua parte.
    Direi che la pensiamo diversamente (e qua credo di potermi allacciare anche al commento di Franco) sulla differenza tra informazione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica e terrorismo psicologico. La linea è sottile ma estremamente importante (e questa pandemia, credo, ce lo ha ricordato ancora una volta).
    Ci tengo a sottolineare, però, che in questi due casi siamo in entrati nel mondo delle opinioni: la mia vale esattamente quanto la vostra, non voglio assolutamente avere la presunzione di essere sempre nel vero.
    Ringrazio anche Franco per aver citato il principio di precauzione. In verità, ho trovato interessanti documenti che spiegano come prendere precauzioni riguardo il GW sia invece una perfetta applicazione di questo principio. Lascio solo un paio degli articoli in allegato per non risultare pesante, in caso foste interessati a vederne altri non esitate a comunicarmelo (da una anche rapida ricerca sul web ne troverete di sicuro molti).

    p.s. Ho scritto una risposta al commento fattomi da Guidi, ed è più di un giorno che aspetto che sia pubblicato.
    Non credo vada contro a nessuna linea guida: gli ho chiesto una spiegazione un po’ più chiara sul perché definisca “incommentabile” la ricerca di Cook (sul consenso del mondo scientifico riguardo al AGW) che ho allegato.
    Ho anche aggiunto altre due fonti che provano la stessa tesi, e una critica (e la risposta alla critica) fatta allo studio di Cook: tutti documenti che credo siano interessanti.
    Se invece il mio messaggio non fosse arrivato, avvisatemi: ho salvato il testo, in un attimo lo incollo.

    sul principio di precauzione:
    https://www.researchgate.net/publication/27704319_Climate_Change_and_the_Precautionary_Principle
    https://www.eea.europa.eu/ds_resolveuid/OH1UYK9GT4

    • Giorgio,
      il tuo secondo commento, in risposta al mio, in effetti non è arrivato. Se possibile, ripetilo. Circa il paper incommentabile, la selezione delle “opinioni” è stata disegnata per dare quel risultato e, ammesso che abbia valore, se avessero chiesto a me sarei nel 97%. Il solo fatto di aver sentito la necessità di generare un consenso su temi che conservano ancora enormi incertezze, invalida l’obbiettivo. Quel numero alla fine avrà fatto un danno enorme alla conoscenza, impedendo che si possa guardare altrove. Ma, in fondo, è sempre stato così, niente di nuovo. Speriamo che come per tutti i grandi progressi (mai a colpi di consenso) che la scienza ha fatto, arrivi qualcosa a rimettere la ragione al centro.
      gg

    • maurizio rovati

      Gentile Giorgio Germano, questo è quanto mi risulta riguardo la survey di J Coock

      Il Consenso del 97 percento, nasce da una ricerca del 2013 di John Coock et al, su 11944 Sommari (abstract) di pubblicazioni scientifiche climatologiche.

      La ricerca poneva le seguenti attribuzioni, di cui la prima è la definizione Standard dell’IPCC e del resto del circo AGW:

      1- AGW Reale e quantificabile, l’uomo è causa della maggior parte (>50%) del GW osservato.
      2- AGW Reale, l’uomo è causa di una parte non determinata del GW osservato.
      3- AGW Reale, perchè la ricerca implicitamente assume che l’uomo sia parzialmente responsabile.
      4-a) Non esprime nessuna posizione su AGW.
      4-b) Ritiene che manchino prove conclusive su AGW.
      5- Respinge implicitamente l’AGW proponendo alternative.
      6- Respinge esplicitamente l’AGW senza quantificare.
      7- Respinge esplicitamente l’AGW quantificando.

      Cook raggruppa poi i dati osservati come segue:

      A- Il 66,4% (7930 dei 11944 articoli) non si esprimono su AGW. (4a).
      B- Il 32,6% è assegnato da Coock in accordo con l’AGW. ed è formato da (1+2+3)
      C- Lo 0,7% sostiene che l’uomo non c’entra col GW.(5+6+7)
      F- Lo 0,3% resta incerto sulle cause del GW. (4b)

      Coock sostiene (arbitrariamente) che il 66,4% degli inespressi (4a), non conta.
      Ne restano in gioco quindi solo (11944-7930)=4014.

      Qui viene il bello. Infatti, il punto (1), la definizione standard AGW, conta solo 41 pubblicazioni.
      Significa che in realtà solo l’1% di 4014 supporta davvero la definizione standard AGW!
      I punti (2+3) sono ben 3896 articoli che NON supportano la definizione standard AGW dell’IPCC, ma Coock li assimila arbitrariamente alla (1) che così passa da un misero 1% al famoso 97%.

      Ecco il numero magico per i media mainstream! 97%, settled science!!!! E chi non è d’accordo? Negazionista & terrapiattista.

      [successivamente, nel 2016, Coock ha ottenuto il PhD in *Scienze Cognitive* cioè in Psicologia, che col clima forse c’entra poco, come i vari Lewandowsky, Oreskes, etc].

  5. Ho visto solo adesso il commento di Giorgio e devo dire che è un buon esempio dello stato angoscioso nel quale una propaganda martellante, da decenni, è finalmente riuscita a gettare molti giovani, fornendo loro solo sensazioni e mai dati reali, senza elaborazioni successive.
    Io sono più vecchi (di una decina d’anni) di Donato e di certo non vedrò le nefaste conseguenze del cambiamento climatico antropogenico. E quanto ho scritto finora su CM dimostra che, per motivi di età, a me non interessa quanto potrà succedere ai giovani di oggi: infatti ogni volta mi sforzo di osservare (come da sempre fa il prof. Pinna) che le catastrofi previste (dai modelli climatici) e annunciate a gran voce dai media, in realtà possono essere inserite nella variabilità climatica naturale; sono cioè fenomeni che, più o meno intensi, più o meno dannosi, più o meno tragici, l’uomo ha sempre sperimentato, dai quali si è sempre difeso, ovvero rispetto ai quali si è adattato.

    Non posso dimostrarlo concretamente, ma assicuro Giorgio che non brindo giornalmente alla magnifica vita che ho trascorso, rivolgendo epiteti offensivi e sferzanti alla vita grama e triste (per l’AGW) che i giovani dovranno vivere, anche perché in quest’ultima frase ho scritto tante e tali fesserie da renderla del tutto improponibile.

    Dal commento di Giorgio sembra trasparire la necessità che, di fronte a un pericolo mortale come quello dovuto all’AGW dobbiamo agire in maniera preventiva, costi quel che costi : questa è l’enunciazione del principio di precauzione che però deve sottostare a un principio di economicità (i vantaggi della sua applicazione devono essere superiori agli svantaggi della sua non-applicazione).
    Oggi non è così: ci si propone di stravolgere la società attuale in cambio di cose (vita bucolica, contatto con la natura, rispetto per gli animali) da cui l’uomo si è allontanato per tutta la sua storia (ha sempre teso alla sicurezza, alla salute, alla semplificazione del lavoro manuale e in generale della vita). In questa proposta si trascura (o si nasconde) il fatto che le scelte dell’uomo hanno in realtà migliorato, e di molto, anche gli aspetti del primo elenco.

    Giorgio, se proprio vuole usare il principio di precauzione, lo usi nel modo giusto e vedrà la possibilità di azione da un’altra -a mio parere, migliore- prospettiva.
    Mi associo a Donato nell’augurarle un futuro radioso. Franco

  6. donato b.

    Sono un autore di questo sito e dovrei avere, grosso modo, la stessa età del prof. Pinna, per cui mi sento doppiamente chiamato in causa dal commento di Giorgio.
    Ieri sera, parlando con un’amica, le ho detto che io e lei avevamo avuto la fortuna di aver vissuto in un mondo in cui avevamo potuto migliorare la nostra posizione sociale ed economica: abbiamo goduto di condizioni di benessere generalizzato senza pari nella storia dell’Occidente.
    Le dissi, infine, che non ero assolutamente sicuro che i miei ed i suoi figli avrebbero potuto dire la stessa cosa al raggiungimento della nostra età, ovvero tra una quarantina d’anni.
    .
    Lei replicò dicendo che non lo reputava possibile, che io ero pessimista e che le cose sarebbero andate diversamente. A mo’ di chiosa io le risposi dicendo che noi non lo avremmo visto e che il mio non era pessimismo, ma realismo.
    .
    Auguro ai giovani che la pensano come Giorgio di sbagliarmi completamente e che, contrariamente a quanto io pensi, il loro futuro sia radioso e sereno. Spero, infine, che tutte le scelte che i governanti italiani ed europei stanno facendo, sulla scorta di quello che pensa il 97% degli scienziati sia corretto e che quello che dice il restante 3% sia completamente falso.
    Se però quello che sostiene il 3% degli scienziati e, più modestamente anch’ io, dovesse essere vero, sarò felicissimo di non essere lì ad assistere a quello che accadrà.
    Ciao, Donato.

  7. Giorgio Germano

    Non mi sento di condividere l’insofferenza dell’autore per la presunta eccessiva attenzione dei media agli eventi più catastrofici, ignorando i dati confortanti.
    I dati confortanti sono pochissimi. Il riscaldamento globale è innegabile e la causa antropica è quella principale (e checché ne pensino gli autori di questo sito, il 97% della comunità scientifica la pensa come me. Allego lo studio che lo prova. https://iopscience.iop.org/article/10.1088/1748-9326/8/2/024024/pdf ).
    Ma anche nel caso che l’uomo abbia poca o alcuna responsabilità, bisogna comunque prendere delle contromisure per permettere alle persone a rischio (milioni!) di sopravvivere. E l’unico modo per fare ciò è INFORMARE e SENSIBILIZZARE l’opinione pubblica: altro che media catastrofisti, si parla troppo poco del cambiamento climatico. Capisco che per Pinna sia facile essere ottimista, dato che non vivrà mai le peggiori conseguenze del global warming, ma le assicuro che un giovane come me non riesce a pensare al futuro senza angoscia.

    • Gentilissimo,
      mi rendo conto che mettere i dati davanti alle opinioni è un esercizio che si sposa male con le sue granitiche certezze, che sinceramente vorrei davvero condividere. Purtroppo così non è. Il paper che ha linkato è, in termini scientifici, incommentabile, se non come pericolosa incursione delle scienze sociali in quelle numeriche, ovvero della percezione nel campo dei dati. nel suo caso però, bisogna riconoscere che è stato un grande successo. Il suo inelegante riferimento al Prof. Pinna avrebbe meritato la moderazione, ma sento la necessità di darle un consiglio circa la sua angoscia, ovvero, stia sereno :-).
      Cordiali saluti,
      gg

    • Massimo Lupicino

      Quando ero giovane io, prevedevano che il sud italia sarebbe diventato un deserto e non si sarebbe più praticato lo sci in Italia, nemmeno sulle Alpi. Ho avuto la fortuna di vivere abbastanza per verificare che di dune a casa dei miei genitori non se ne vedono ancora, e anzi i vecchi mi dicono che piove piu spesso e in misura maggiore che alla fine degli anni ’80 allorché da bambino ricordo siccità assolute lunghe anche 4 o 5 mesi, e punte di temperatura superiori ai 40 gradi come un fatto normale. E sulle alpi si scia esattamente come prima, anzi meglio, grazie ai progressi nell’innevamento programmato.

      Quindi non sprecare il tuo tempo di giovane ragazzo a preoccuparti per previsioni climatiche catastrofiste che non si realizzeranno neanche nel tuo caso, come per le tante generazioni di giovani venuti prima di te.

      Fossi in te mi preoccuperei di altro. Della scomparsa dei posti di lavoro, della scomparsa di quell’ascensore sociale che per me e per tanti altri blogger di questo sito ha funzionato benissimo. Della distruzione della classe media, della delocalizzazione dei posti di lavoro, della perdita delle protezioni sociali conquistate nell’ultimo secolo dai tuoi genitori, nonni, bisnonni e trisavoli.

      Finché continuerai a preoccupati di problemi inesistenti, i padroni nel vapore continueranno a dormire tranquilli. Ma crescerai anche tu, e ti accorgerai anche tu che il clima era un falso problema, e mentre ti riempivano la testa di climaterrorismo, i “salvatori” preparavano un futuro di miseria e precarietà, per te, per la tua generazione e per quelle a venire.

      Sono stato fortunato a nascere prima di te. E il clima è l’ultimo dei motivi di questa fortuna. Ti auguro altrettanta fortuna, a te, alla tua generazione e a quelle future, cui appartengono i miei figli. Il futuro è vostro, prendetelo in pugno.

      Ma per poterlo fare, dovrete prima svegliarvi.

  8. Non è semplice sostenere che questi signori a NOAA (e tutti i loro fan sparsi per il mondo) mentono sapendo di mentire. Però i loro dati (i loro dati!) dicono che stanno mentendo (o, ad essere molto buoni, che stanno minimizzando).
    E’ interessante l’istogramma a tre colori. Ho come la sensazione che la parte verde mostri una debole risalita: una cosa simile l’ho trovata nell’indice CEI (eventi estremi in USA; in http://www.climatemonitor.it/?p=51305 ) che mostra, per le varie aree geografiche USA, un minimo attorno al 1960 e poi una salita che quindi non può essere attribuita all’AGW.
    Nel 2019, su CM avevo scaricato i dati dei tornado fino ad agosto 2018 e calcolato il fit lineare per tutte le categorie, da F3 in poi, e per il file completo (F1-F5). Tutte le pendenze erano negative, come si vede nell’immagine allegata.

    Penso sia giusto continuare a sottolineare le incongruenze tra chiacchiere e dati, e Sergio Pinna fa benissimo a portare avanti questo lavoro. Franco

    Immagine allegata

  9. rocco

    Il dogma religioso, più che scientifico, afferma che ci saranno più fenomeni estremi in quanto aumenta l’energia complessiva, aumentando la temperatura globale dell’atmosfera.
    ma ciò è falso, in quanto i fenomeni atmosferici (come nubifragi, alluvioni, tornado medicane ecc.) dipendono dalla differenza di energia tra masse di aria calda e masse di aria fredda; più è alta questa differenza è più violento sarà il fenomeno.
    E’ evidente che se il pianeta si riscalda, anche i minimi termici saranno più alti, per cui la differenza di energia rimane la stessa.
    Infatti non si registrano aumenti di fenomeni estremi se non nella narrazione catastrofista che ad ogni fenomeno (neanche estremo) grida all’allarme sull’aumento dei fenomeni estremi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »