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Pestilenze nell’Europa preindustriale e ciclicità climatiche pluridecennali

Le epidemie di peste fanno in genere seguito a periodi freddi e siccitosi, il che potrebbe giustificare un’influenza della variabilità climatica multi-decennale caratteristica del clima europeo (Mariani, 2020) nel guidare le epidemie di peste che hanno ciclicamente imperversato in Europa nell’era pre-industriale. Tale peso è stato indagato da Yue e Lee (2018), i quali hanno evidenziato un nesso causale esistente fra la variabilità climatica multidecennale in Europa e le epidemie di peste in Europa nell’era preindustriale (1347-1760).

Gli autori applicano l’analisi causale di Granger per identificare la relazione causale tra variabili climatiche e focolai di peste e a seguito di ciò applicano l’analisi Wavelet per esplorare l’associazione non lineare e non stazionaria tra variabilità climatica e epidemie di peste. I risultati ottenuti mostrano che la temperatura ritardata di 5 anni e l’indice di aridità sono determinanti significativi delle epidemie di peste nell’Europa preindustriale. Su scala temporale multi-decennale si evidenzia una maggiore frequenza dei focolai in coincidenza con fasi climatiche freddo – aride e si evidenzia altresì che l’elemento chiave nel guidare i focolai di peste sia a livello continentale che a livello nazionale è l’interazione fra temperatura e indice di aridità piuttosto che il loro effetto individuale.

Circa il ritardo fra l’insorgere di una fase fredda e l’insorgere dell’epidemia di peste, gli autori ipotizzano che esso sia da attribuire alla complessità dei sistemi ecologici e sociali attraverso i quali il clima esercita la propria influenza sulle dinamiche della peste.

I risultati ottenuti possono contribuire a migliorare la nostra comprensione dell’epidemiologia della peste e di altre malattie infettive trasmesse da roditori e pulci e di conseguenza a migliorare il livello di comprensione di fenomeni storici di grandissima rilevanza.

Su quest’ultimo aspetto si pensi alle pestilenze che colpirono Milano nel XVII secolo ed in particolare alla peste di Carlo V (1524-29), quella di San Carlo (1576) e quella Manzoniana (1630), la cui insorgenza è separata rispettivamente da 52 e 54 anni, intervalli compatibili con le ciclicità quasi-sessantennali caratteristiche degli indici AMO, NAO e PDO.

Bibliografia

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Published inAmbienteAttualitàClimatologia

10 Comments

  1. rocco

    è interessante l’immagine di Gianni che farebbe intuire anche il perchè l’attuale pandemia ha i massimi contagi nei periodi freddi: quando fa freddo si sta più tempo al chiuso aumentando la probabilità di contagio.

    Forse non ha attinenza (ma anche no), ho letto che la CIA aveva un programma segreto per indagare i cambiamenti climatici ( https://www.nytimes.com/2021/01/05/science/linda-zall-cia.html ).
    Non è che tra 100 anni si scoprirà che l’attuale pandemia non sia stata di origine naturale, ma antropica?
    Sto notando che le proposte per risollevare l’economia sono per la stragrande maggioranza di marca “green” e per l’economia digitale (che significa sopratutto sorveglianza di massa, una manna per agenzie di sicurezza e governi; internet era ciò che mancava a Stasi e KGB per la dittatura perfetta).
    Non possiamo entrare nelle blindate menti di servizi segreti ed agenzie per la sicurezza nazionale, nè in quelle dei decisori politici, ma chissà quale scenario avranno previsto a seguito degli studi segreti e quali piani strategici per garantire la sicurezza nazionale.
    Tra l’altro, vi è una stretta relazione tra ambientalismo e nuove tecnologie: queste ultime sono anche state spacciate come soluzioni all’AGW e le stesse aziende digitali si ereggono a paladini dell’ambiente.
    Alcuni hanno anche fatto intendere che questa pandemia si sarebbe potuta combattere con il tracciamento.
    Bah, pensieri, per alcuni complottisti, che escono fuori quando i mass media in continuazione ci parlano di climate change.
    Noi sappiamo che i cambiamenti climatici ci sono e ci saranno sempre, che diminuendo la CO2 non si avrà un clima stabile, nè diminuiranno i fenomeni estremi, ma l’establishment ci vuol far credere il contrario: chissà perchè.

  2. ivan

    Gentile dottor mariani
    non posso che darle ragione
    ho usato un termine un pò ambiguo nell’esemplificare una tendenza nel ” sostituiti quasi appieno”
    certo che la tendenza appare oggi chiara e la fase atlantica la fa da padrona
    in quanto a tendenze abbiano una variabilità che conta
    – westerlies tendenzialmente in rotta verso la scandinavia
    – westerlies tendenzialmente in rotta sull’europa centrale
    – westerlies tendenzialmente in rotta sul mediterraneo
    – westerlies tendenzialmente in rotta sul nord africa

    il quadretto westerlies dirette sull’europa centrale dopo l’87 appare a me come l’attore principale

  3. ivan

    grazie dottor mariani
    lei si riferisce ai venti polari continentali che una volta dominavano la scena euro mediterranea nella stagione invernale
    sostituiti poco alla volta durante il 900 e adesso sostituiti quasi appieno da moti subsidenti di origine sub tropicale a volte marittima a volte continentale alternate da depressioni polari con aria meridionale in entrata

    • Luigi Mariani

      Gentile Ivan,
      per passare al clima occorre partire dalla circolazione del singolo giorno. Da questo punto di vista credo che occorra sostituire il suo “sostituita quasi del tutto…” con “quanti casi l’anno nel semestre invernale (novembre-aprile) si verificano tipi di tempo favorevoli all’afflusso di masse aria polare continentale sul Mediterraneo”. Da questo punto di vista la frequenza è oggi più bassa in quanto le westerlies sono più robuste che in passato (siamo cioè n una fase “atlantica” e non “boreale”. Bassa non significa però nulla, come attestano ad esempio le gelate di fine aprile 2016 e 2017 e fine marzo 2019. In ogni caso è evidente che i grandi inverni sono un’esperienza assai meno probabile con le frequenze odierne dei diversi tipi circolatori, anche se posso dirle che se un anticiclone di blocco su Polonia – Baltico (tipo di tempo 13 della classificazione di Borghi-Giuliacci) per un periodo prolungato “scaricando” aria fredda da est ci farebbe riprovare una tale ebrezza….
      Ma qual’era la frequenza del tipo di tempo 13 (o di altri tipi) in passato? Per dare una riposta stringente l’unico modo è quello di analizzare le carte circolatorie giornaliere, che per l’Europa sono disponibili grossomodo dagli ultimi decenni dell’800…

  4. Luigi Mariani

    Gentile Gianni,
    per una mia presentazione dedicata alle epidemie del passato raccolsi informazioni tratte soprattutto da Andam etal 2016 Microbial Genomics of Ancient plagues and Outbreaks, Trends in Microbiology, December 2016, Vol. 24, No. 12 http://dx.doi.org/10.1016/j.tim.2016.08.004 . Lì fra l’altro si ipotizza che l’agente causale sia stato il vaiolo per la peste antonina (165-180) e il vaiolo o il morbillo per quella antonina (250-275). A Yersinia pestis è invece attribuita con una buona dose di certezza la peste giustinianea (541-543), successiva alla fine dell’optimum romano.

  5. Caro Luigi,
    il lavoro che mostri è molto interessante e le correlazioni che mostra vanno considerate. Per la causalità “alla Granger” non posso dimenticare il commento di Koutsoyiannis (http://www.climatemonitor.it/?p=53619)
    per il quale Granger in realtà usa la correlazione.
    Le varie analisi wavelet di correlazione indicano (e gli autori rimarcano) un periodo di 32 anni, ad esempio tra peste e temperatura, che nello spettro che accludo non si vede.
    Sono invece, a mio parere, da considerare i massimi spettrali a 10-13 e 20-21 anni, i più potenti dello spettro e non trascurerei (anche se più debole) quello a 58 anni che sembra confermare l’influenza delle grandi oscillazioni (AMO, NAO,). Qualche massimo, tra 2.7 e 8.3 anni farebbe supporre l’influenza di El Nino.
    Gli autori usano la serie temporale dei casi di peste, in Europa e Nord Africa, prodotta da Buengten et al., 2012 (referenza 28 nella bibliografia) che mi sembra davvero notevole e sicuramente il loro database (credo molto ampio) merita una visita approfondita. Grazie per averci reso disponibile un lavoro che normalmente (almeno io) non avrei conosciuto. Franco
    PS: non ho capito perché gli autori considerano il 1760 come inizio della rivoluzione industriale invece del 1850 che noi usiamo. In questo modo trascurano la parte finale (piccola ma ben visibile e che io ho usato) del dataset di Buengten

    Immagine allegata

    • Luigi Mariani

      Caro Franco,
      grazie per la tua analisi che arricchisce moltissimo la mia presentazione.
      Non ho molto da aggiungere salvo che l’inizio dell’era industriale veniva di solito fissato al 1750. Tuttavia cercando con google “beginning of the industrial era” vedo che inizia ad emergere il 1760….
      Ricordo infine il nome corretto del ricercatore che tu citi che è Büntgen).

  6. ivan

    Buonasera dottor mariani
    Per clima fresco/freddo e secco lei intende stagioni invernali dominate da alte pressioni polari continentali di natura russa o artico continentali di natura russa siberiana ?

    • Luigi Mariani

      Gentile Ivan,
      per semestri invernali freddi e e secchi intendo quelli frutto di regimi circolatori in cui dominano masse d’aria polare continentale, fredda ed asciutta.
      Tali masse d’aria in presenza di un regime antizonale “straripano” sull”Europa dando luogo a quello che in passato veniva anche chiamato “monsone invernale europeo”.

  7. Gianni

    Nella collezione delle pesti (“plagues”) europee che sono riuscito a riunire nella figura allegata si nota la loro concentrazione nei periodi freddi (soprattutto durante la piccola età glaciale) con due eccezioni – le pesti antonine e quella di Cipriano – che appartengono al periodo caldo romano.

    Immagine allegata

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