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E se non partissi anch’io…

Su RAI3 è andata in onda la chiamata alle armi di Roberto Buizza per la lotta al cambiamento climatico.

Di Luigi Mariani e Sergio Pinna

Roberto Buizza, docente della scuola Sant’Anna e coordinatore del Centro Federato sul Clima con Scuola Normale e Scuola IUSS di Pavia, ha lanciato non molto tempo fa su RAI3 un appello a lottare contro i cambiamenti  climatici, appello che invitiamo i lettori ad ascoltare (il servizio dura un paio di minuti in tutto – qui la fonte).

Non abbiamo nulla in contrario rispetto a iniziative che perseguano il nobile scopo di salvare l’ambiente globale. Quello che però, a nostro avviso, non è giustificabile nell’intervento di Buizza è il fatto che, per sostenere certe tesi di fondo, egli faccia ricorso ad affermazioni (quantitative) che nulla hanno a che vedere con la scienza; ci riferiamo nello specifico alla frase «invece di piovere come un tempo 100-200 millimetri al giorno, ne fa un 500».

Tali numeri indicherebbero, per l’entità degli eventi pluviometrici estremi, un incremento di 3~4 volte; saremmo così davanti non a un cambiamento del clima ma a un suo vero e proprio sconvolgimento, a seguito del quale dovrebbero esserci state delle conseguenze catastrofiche, che invece nessuno ha visto.

La prima pagina de “La Domenica del Corriere” del Settembre 1930 che raffigura l’esondazione del Fiume Cecina.

In effetti, la letteratura scientifica ed i dati osservativi in nostro possesso non confortano nel benché minimo modo le affermazioni di Buizza, come i lettori potranno constatare dalla rassegna bibliografica che riportiamo in calce alla presente.  D’altra parte, per rendersi conto dell’assurdità di quanto dichiarato nell’intervista, potrebbe essere sufficiente considerare che Buizza fa specifico riferimento alla Toscana, citando la tragica alluvione di Livorno del 2017. In questa regione però quei 500 mm in un giorno – indicati come ormai “normali” – non si sono MAI registrati in nessuna stazione, da almeno un secolo a questa parte. Ciò nonostante vi siano aree geografiche (Alpi Apuane, Appennino tosco-emiliano) a elevatissima piovosità e dove gli eventi estremi sono molto frequenti ed importanti. Il record assoluto infatti è di 478 mm registrati a Pomezzana nel famoso episodio del giugno 1996, un caso assolutamente eccezionale cui possono essere associati dei tempi di ritorno plurisecolari, di gran lunga superiori a quelli di qualsiasi altro evento registrato negli ultimi decenni. Al riguardo si legga la nota “Un secolo di precipitazioni estreme in Toscana”, disponibile sul sito ufficiale del Servizio Idrologico Regionale (SIR Toscana, 2021).

Sarebbe certo interessantissimo se Buizza fornisse delle statistiche atte a confermare la sua ardita tesi dei “500 millimetri dove ne piovevano 100-200”, ma riteniamo che ciò sia piuttosto improbabile e che pertanto tali numeri siano stati dati a caso, col solo scopo di fare leva sul luogo comune che i media dispensano ormai da decenni a grandi e piccini e che potrebbe così essere sintetizzato “il regime delle precipitazioni è irrimediabilmente sconvolto dalla perfida azione dell’uomo per cui il numero di eventi piovosi diminuisce e l’intensità dei singoli eventi aumenta in modo parossistico”.

TREND DEGLI EVENTI PRECIPITATI ESTREMI IN ITALIA – ALCUNI RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI RECENTI

Occorre anzitutto segnalare il lavoro sistematico di analisi dei  trend  di intensità pluviometrica  in Italia condotto da  un  gruppo  di  ricerca  dell’Università  di  Torino  (Libertino  et  al.,  2019)  riferito  a  oltre  5000 stazioni per il periodo 1915-2015 e a trend per intervalli da 1 a 24 ore. Dai risultati emerge che la grande maggioranza delle stazioni presenta trend non significativi. Più nello specifico, a seconda degli intervalli (1, 3, 6, 12 e 24 ore), l’86-91% delle stazioni non ha trend, il 4-7% ha trend significativo crescente e il 5-7% ha trend significativo  decrescente.  Il titolo del lavoro  rende  di  per  se  stesso  ragione  dei  risultati  ottenuti: “Evidence for increasing rainfall extremes remains elusive at large spatial scales: the case of Italy”.

I dati di Libertino et al.  sono peraltro confermati da una serie di lavori qui di seguito elencati:

  1. Fatichi e Caporali (2009): lavorando sulle serie storiche di precipitazione di 785 stazioni della Toscana per il  periodo  1916-2003,  hanno  posto  in  evidenza  l’assenza  di  trend  nel  regime  precipitativo  medio  e nell’intensità degli eventi estremi di 3,6 e 12 h in pressoché tutte le stazioni analizzate. Più nello specifico dall’analisi condotta emerge che il 92,6% delle serie storiche analizzate è stazionario, il 5,2% è decrescente e solo il 2,2% presenta trend positivi.
  1. Pinna (2014) per piogge estreme per area mediterranea e Toscana evidenzia l’assenza di trend rilevanti.
  2. Bassi et al. (2011), analizzano le piogge intense per il Piemonte sul periodo 1930-2004 e per durate di 1, 3,  6,  12  e 24 ore (stazioni  ex  SIMN  e  ARPA).  Dal  lavoro si  evidenzia che  la  distribuzione spaziale non mostra significative variazioni, con massimi principali nel settore alpino e prealpino settentrionale e massimi secondari nei rilievi montuosi meridionali. Circa i trend nelle intensità, le 47 stazioni ex SIMN presentano una netta prevalenza di trend negativi per durate di 1 ora e una lieve prevalenza di trend positivi per durate di 24 ore mentre per durate di 3, 6 e 12 ore i trend sono per il 50% circa negativi e per il resto positivi. Per le 45 stazioni ARPA trend negativi si evidenziano per oltre il 50% delle stazioni e prevalgono in misura più netta per le durate di 12 e 24 ore. Non si evidenziano zone preferenziali in cui dominino trend positivi o negativi.
  1. Brunetti et al. (2010), lavorando sulle serie storiche di 129 stazioni della Calabria per il periodo 1920-2005, evidenziano  una  tendenza  alla  riduzione  delle  intensità  delle  precipitazioni,  con  diminuzione  delle precipitazioni ricadenti nelle categorie di intensità più elevate e aumento di quelle ricadenti nelle categorie più basse, specie  nel  periodo  invernale.  Inoltre i trend evidenziati dipendono fortemente dal sotto-periodo considerato, con trend negativi che prevalgono dopo il 1950.
  1. Coscarelli e Caloiero  (2012),  analizzando  le  serie  storiche  pluviometriche  giornaliere  della  Calabria evidenziano la significativa tendenza alla riduzione della stagionalità nelle precipitazioni e cioè la tendenza ad una  distribuzione  più  omogenea  nel  corso  dell’anno,  frutto  dell’aumento  delle  precipitazioni  in  estate (specie in luglio e agosto) e della diminuzione in autunno e inverno (specie da novembre a gennaio).
  1. Con riferimento alla Sicilia, Bonaccorso et al. (2005), analizzano i trend dei massimi annuali di 1, 3, 6, 12 e 24 ore per il periodo dal 1920 al 2000 per 16 stazioni con almeno 50 anni di dati. Secondo i dati riportati in tabella 1, tutte le stazioni analizzate mostrano trend negativi o nulli per 3, 6, 12 e 24 ore mentre per quanto riguarda il trend a un’ora, una sola stazione (Ragusa) manifesta trend positivi significativi mentre le altre 15 non presentano trend.
  1. Con riferimento alle Marche, Soldini e Darvini (2017) concludono che l’analisi statistica delle precipitazioni annue di 30 minuti e di 1, 3, 6, 12 e 24 ore mostra l’assenza di chiare evidenze in merito a trend positivi per tali eventi. Nello specifico, applicando il test di Mann Kendall gli autori evidenziano che il 91% delle serie storiche di precipitazioni orarie non manifesta alcun trend. Gli stessi autori evidenziano il netto prevalere di trend negativi o nulli negli indicatori di cambiamento climatico definiti dall’ Expert Team on Climate Change Detection and Indices (ETCCDI).

E’ altresì importante elencare alcuni lavori riferiti ad aerali più ampi ed in particolare:

  1. Westra et al. (2013), analizzano le tendenze delle  precipitazioni  massime  annue  di  un  giorno  a  livello globale per il periodo 1900- 2009. Il lavoro, riferito ad un totale di 8326 stazioni terrestri che i ricercatori hanno ritenuto di “alta qualità”, evidenzia che il 2% delle stazioni mostra un decremento significativo nelle piogge estreme, l’8% un incremento e il 90% non presenta alcun trend significativo.
  2. Screen & Simmonds (2014), operando su un dataset di rianalisi relativo alle medie latitudini dell’emisfero Nord, evidenziano la sostanziale stazionarietà degli eventi pluviometrici e termici estremi nel periodo 1979-2012.
  1. Mariani e Parisi (2013), analizzano un vasto dataset pluviometrico giornaliero per stazioni dell’area euro-mediterranea per il periodo 1973-2010. Gli autori utilizzando lo schema di analisi proposto da Alpert et al. (2002), evidenziano l’infondatezza  dell’aumento  parossistico  delle  piogge  estreme  giornaliere  affermato dagli stessi Alpert et al. in un lavoro del 2002.

I risultati sopra riportati sono peraltro corroborati da uno sguardo  storicamente  più  ampio  come  quello offerto da Diodato et al. (2019) analizzando gli eventi idrologici dannosi in Italia e risalendo sino ad oltre mille anni or sono: lo studio mostra come che tali  eventi  presentano frequenza  minima  durante  il periodo caldo Medioevale e massima in coincidenza con il periodo freddo della piccola era glaciale, per poi entrare in una decrescita che dura tutt’oggi. Lo studio arriva a concludere che “dalla metà del XIX secolo è evidente una diminuzione negli eventi idrologici eccezionali, soprattutto durante i decenni più recenti”.

Bibliografia

  • Alpert et al., 2002. The paradoxical increase of Mediterranean extreme daily rainfall in spite of decrease in total values, Geophysical Research Letters, vol. 29, n.11, pp 301-314 Bassi M., Colombino G., Cremonini R., Masciocco L., 2011. Analisi delle piogge estreme in Piemonte, in Atti del convegno Le modificazioni climatiche ed i rischi naturali, 53-58.
  • Bonaccorso  B.,  Cancelliere  A.,  Rossi  G.,  2005.  Detecting  trends  of  extreme  rainfall  series  in  Sicily, Advances in Geosciences (2005) 2: 7–11
  • Brunetti M., Caloiero T., Coscarelli R., Gullà G., Nanni T., Simolo C., 2010.  Precipitation variability and change in the Calabria region (Italy) from a high resolution daily dataset, Volume32, Issue 1, January 2012, Pages 57-73
  • Coscarelli R. and Caloiero T., 2012. Analysis of daily and monthly rainfall concentration in Southern Italy (Calabria region), Journal of Hydrology 416–417 (2012) 145–156
  • Diodato et al., 2019. A millennium-long reconstruction of damaging hydrological events across Italy. Nature, Scientific reports 2019
  • Fatichi  S.,  Caporali  E.,  2009.  A  comprehensive  analysis  of  changes  in  precipitation  regime  in  Tuscany, International Journal of Climatology, Volume 29, Issue 13, 1883–1893.
  • Libertino A., Ganora D., Claps P., 2019. Evidence for increasing rainfall extremes remains elusive at large spatial scales: the case of Italy, Geophysical Research Letters, 10.1029/2019GL083371
  • Mariani  L,  Parisi  S,  2013.  Extreme  rainfalls  in  the  Mediterranean  area,  in  Storminess  and  enironmental changes: climate forcing and responses in mediterranean region. Diodato and Bellocchi (Eds.), Springer.
  • Screen J.A.Simmonds I., 2014. Amplified mid-latitude planetary waves favour particular regional weather extremes, Nature Climate Change, 4, 704–709.
  • SIR Toscana, 2021. Un secolo di precipitazioni estreme in Toscana, 8 pp  – https://www.sir.toscana.it/supports/pdf/precipitazioni/un_secolo_di_precipitazioni_estreme.pdf
  • Westra  S.,  Alexander  L.V.,  Zwiers  F.W.,  2013.  Global  Increasing  Trends  in  Annual  Maximum  Daily Precipitation. J. Climate, 26, 3904–3918.

 

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Published inAttualità

10 Comments

  1. rocco

    Grazie per le risposte,
    non è che sia un problema la mancanza di neve, anzi.
    Le temperature più calde in inverno non fanno altro che far risparmiare combustibile (idrocarburi o carboidrati che siano) per il riscaldamento.
    E non è neanche un problema per quanto riguarda l’approviggionamento idrico: la pioggia provvede a far crescere la flora.
    Non è neanche un problema il clima che cambia: è il palcoscenico sul quale si svolgono le vicende umane e naturali.
    Mi sono fatto l’opinione che la lotta ai cambiamenti climatici sia solo un pretesto per cercare (direi inutilmente) di mantenere in vita una economia in crisi da quando, con la globalizzazione, abbiamo fatto in modo di delocalizzare le imprese sempre più ad est, per inseguire un improbabile ambientalismo e nascondendo così la polvere sotto il tappeto; sta di fatto che l’Europa si sta impoverendo, mentre i cinesi escono dalla povertà assoluta.
    Mi dispiace per i glaciologi, che non potranno più nutrirsi di carote ghiacciate, ma non penso che eliminando la CO2 esse ritornino a crescere.

  2. Gianni

    @rocco

    Gentile Rocco,

    Un lavoro pubblicato recentemente (https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/feart.2020.561148/full) ricostruisce su più secoli la copertura nevosa (DSG: days with snow on the ground) a Parma. Non siamo al sud ma la discussione dei risultati in rapporto ad altri lavori pubblicati fa emergere un quadro abbastanza generale, riassunto nella seguenti frasi:

    “The DSG at Parma OBS appear to have followed over the last century trends similar to those observed throughout Eurasia and across the Northern Hemisphere, where a marked decline of snow-cover duration has been reported in the transition seasons (spring and autumn)”

    “Although the extent of the autumn snowpack has been limited in recent decades, and the winter trend has remained unchanged in Europe and Asia, a decrease in the snowpack extent and a greater variability in the transition seasons (spring and autumn) have been documented at the hemispheric scale since the 1920s”.

    Sempre in riferimento all’osservatoiro di Parma, un altro articolo (https://rmets.onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1002/joc.6766?af=R) segnala in effetti “a postponement ending date in spring”.

    In sintesi, e in attesa di ulteriori conferme, gli ultimi decenni hanno visto meno neve in autunno e in primavera, ma poiché la variabilità è aumentata, non è sorprendente che alcuni anni vedano una significativa persistenza della neve in primavera.

    Altri studi recenti offrono uno sguardo più ampio sull’Italia (https://rmets.onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1002/joc.5814), tentando di comprendere i meccanismi che governano la frequenza nevosa (https://link.springer.com/article/10.1007/s00704-020-03136-0).

    La neve resta una meteora difficile da studiare e anche se le nuove missioni satellitari promettono di migliorare la capacità di rilevare le fluttuazioni della copertura nevosa, la generazione di nuovi dati da sola non fornirà soluzioni a molte sfide di natura concettuale. La ricerca dovrebbe tentare di: (1) migliorare la conoscenza dei principali fattori che guidano le dinamiche della copertura nevosa; (2) sviluppare approcci modellistici per interpretare climaticamente tali dinamiche; e (3) trattare diverse scale di osservazione e di incertezza nelle analisi.

    Cari saluti

  3. Uberto Crescenti

    Articolo molto corretto e scientificamente valido, come sia Luigi Mariani e Sergio Pinna ci hanno abituato. In relazione a Roberto Buizza, ricordo che criticò la nostra Petizione sul clima affermando , sempre su RAI 3, che i dati da noi riferiti erano superficiali e privi di validità scienrifica. Lo cercai al telefono e dopo vari tentativi riuscii a parlarci. Gli chiesi di indicarmi quali erano i nostri dati superdiciali e non validi. Non seppe rispondermo. Sucessivamente lo invitai ad organizzzare una riunione scientifica in ambiente accademico per confrontarci nel rispetto delle più elementari regole scientifico. Non ebbi mai risposta. Credo che uno sc ienziato di questo si possa definire o ignorante rispetto all’argomento trattato o in malafede.

  4. Carlo Riparbelli

    Aggiungo ancora un elemento a proposito della tragedia di Livorno. Spessissimo purtroppo i danni e le vittime in quel caso in specifico sono causate come tutti sappiamo dal dissesto idrogeologico, l’incuria nella gestione dei corsi d’acqua e la costruzione di case dove non dovrebbero stare.
    Carlo

    • Luigi mariani

      Caro Carlo,
      grazie per le tue riflessioni che condivido. In Italia dovrebbe essere elemento di vanto e di emulazione la grande tradizione di Galileo Galilei e della sua scuola, cui va il merito di aver creato la prima rete meteorologica e uno dei cui motti era quello per cui la natura è un libro aperto per chi abbia occhi sulla fronte (per osservare la realtà) e nel cervello (per intepretarla). Purtroppo tale lezione è stata del tutto accantonata e si ragiona dempre più sulla base dell’ìdeologia.
      Un cordiale saluto.
      Luigi

  5. Carlo Riparbelli

    Ciao Luigi, anch’io sperimento durante la mia attività professionale a contatto con la gestione di agricoltura e zootecnia in Lombardia affermazioni a dir poco spericolate circa addirittura l’aumento delle precipitazioni o gli eventi estremi in pianura padana. Tutte affermazioni a mio parere prive di evidenze scientifiche e con le quali vengono prese decisioni anche normative.
    Spesso chi fa queste affermazioni sono uomini di scienza per così dire ma in altri temi e mostrano una cultura che definirei fanciullesca sul tema meteo e clima e si innervosisco o se provi a contraddirli con dati di fatto.
    Senza nulla dire contro il cambiamento climatico in atto in termini di aumento della temperatura, è chiaro che c’è ancora molto da studiare e la comunicazione è spesso deficitaria purtroppo. Certe volte penso che l’incremento degli eventi estremi sia, almeno per il 50%, dovuto alla grandissima disponibilità di documentazioni fotografiche e video in tutto il mondo rispetto ad appena 20 anni fa…
    Un caro saluto e grazie per questi spunti sui quali è giusto riflettere.
    Carlo

  6. David

    …telekabul era e telekabul resta!

  7. rocco

    Spade al silicio drogato ed alla perovskite
    lance al litio
    alabarde elettriche
    scudi eolici
    elmi biodegradabili
    soldati riciclabili

    e l’armata partì alla guerra pianificando scenari al 2100 per combattere un gassoso nemico.

    A parte l’ironia, una cosa che ho notato “ad occhio”, ma senza dati di riferimento è lo spostamento del periodo delle nevicate almeno qui nell’appennino meridionale.
    Da bambino nevicava già a novembre, mentre ultimamente le prime nevicate arrivano a gennaio ed a marzo è frequente la neve, con rottura di rami già germogliati.
    E’ una mia impressione o vi sono dati a conferma?

    • Luigi Mariani

      Gentile Rocco,
      Non so dare di dare una risposta in merito al ritardo nelle nevicate. Ciò anche perchè non dispongo di serie storiche di nevicate sul meridione. In ogni caso sull’ipotetico ritardo nelle prima nevicata potrebbero aver agito sia le temperature più elevate sia la latitanza di tipi di tempo favorevoli al fenomeno.
      Un cordiale saluto.
      Luigi Mariani

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