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Anidride Carbonica, Fotosintesi e Global Greening

Il global greening è il sensibile aumento della produttività degli ecosistemi agricoli e naturali indotto dagli accresciuti livelli di CO2 e che fra l’altro si traduce in un incremento della sicurezza alimentare globale. Con questo scritto ci si propone di richiamare alcuni concetti di base utili ad interpretare il fenomeno, descritto facendo ricorso a bibliografia recente.

Anidride carbonica e fotosintesi

L’anidride carbonica (CO2) è un componente essenziale della fotosintesi, processo biochimico che utilizza l’energia della luce per convertire CO2 e acqua in zuccheri nelle piante verdi[1]. Questi zuccheri vengono poi utilizzati dalle piante sia per produrre molecole strutturali (carboidrati, proteine, lignina, cellulosa, ecc.) sia per produrre l’energia necessaria per i diversi processi fisiologici, attraverso la respirazione. La differenza tra il tasso di fotosintesi e il tasso di respirazione è la base per l’accumulo di sostanza secca nella pianta.

Le piante acquisiscono la CO2 atmosferica tramite gli stomi e il primo accettore di questa molecola essenziale per la vita è il Rubisco (Ribulosio bifosfato carbossilasi-ossigenasi), il cui ruolo biologico è attestato dal fatto che è la proteina più diffusa in natura.

La grande maggioranza delle piante spontanee e coltivate (in gergo piante C3 – frumento, riso, soia, conifere, latifoglie arboree, ecc.) sfruttano tutt’oggi il meccanismo di assorbimento di CO2 che fu adottato circa 500 milioni di anni or sono dalle prime piante vascolari, in un’epoca in cui i livelli atmosferici di CO2 erano di gran lunga più elevati di quelli attuali (fino a 20-30 volte). Pertanto oggi che si trovano a operare con livelli di CO2 di gran lunga inferiori a quelli ottimali per la fotosintesi, le piante C3 manifestano problemi legati al fatto che Rubisco “sbaglia” acquisendo ossigeno molecolare in luogo di anidride carbonica (in realtà non si tratta di un errore ma di un meccanismo di protezione da dannose ossidazioni). Per superare l’inefficienza delle C3, nelle ultime decine di milioni di anni si sono evolute le piante C4 (come mais, sorgo e canna da zucchero) e le piante CAM (come l’ananas, la portulaca, il ficodindia e molte altre cactacee) che dispongono di meccanismi di concentrazione di CO2 in tessuti o ore particolari, in modo da “darla in pasto” a Rubisco a dosi tali da evitare che quest’ultimo “si sbagli”.

Non approfondisco ulteriormente tale argomento per non appesantire inutilmente il discorso; tuttavia evidenzio al lettore che i meccanismi biochimici che sono alla base della fotosintesi, e dunque della vita sul pianeta Terra, sono essenziali per comprendere il comportamento degli ecosistemi vegetali ed in tal senso mi limito a rilevare che aumentando i livelli di CO2 atmosferici le C3 diventano più competitive rispetto alle C4 e alle CAM. Sottolineo inoltre che dalla subottimalità dei livelli atmosferici di CO2 deriva il fatto che in serra si effettua da oltre un secolo la concimazione carbonica (Menozzi e Pratologo, 1945; Tonzig e Marré, 1968), portando CO2 fino a 1000 ppmv con lo scopo di aumentare le rese di colture come ad esempio il pomodoro, secondo la tecnica descritta ad esempio da Blom et al. (2002).

Il global greening

Mi pare utile partire dalla sintesi fatta da Piao et al (2020) che vi propongo nella mia traduzione:

Il global greening è in atto per lo meno dal 1981, anno dal quale i satelliti per risorse territoriali hanno permesso il monitoraggio della vegetazione su larga scala. In questa review esaminiamo il segnale di global greening, le sue cause e le sue conseguenze. Il global greening è più pronunciato su aree ad agricoltura intensiva come in Cina e in India ove è il riflesso delle attività antropiche. Tuttavia, un forte segnale di global greening  si registra anche in biomi a bassa impronta umana, come l’Artico, ove i fattori di cambiamento globale giocano un ruolo dominante. I modelli di vegetazione suggeriscono che la fertilizzazione da CO2 è il principale motore del global greening, cui concorrono altri fattori notevoli a scala regionale. La modellazione indica che il global greening può mitigare l’AGW aumentando il sink terrestre del carbonio e stimolando il raffreddamento traspirativo.

Il global greening è effetto degli accresciuti livelli atmosferici di CO2, in virtù dei quali non solo le piante crescono di più ma sono anche meno esposte al rischio di siccità in quanto, trovando più facilmente la CO2 nell’atmosfera, possono permettersi di sviluppare un minor numero di stomi per unità di superficie fogliare (indice stomatico), limitando così le perdite traspirative. Il global greening sta oggi facendo arretrare i deserti in tutto il mondo (sia i deserti caldi delle latitudini tropicali sia quelli freddi delle latitudini più settentrionali) come per l’appunto dimostrano le immagini satellitari (Hermann et al., 2005; Helldén e Tottrup, 2008; Sitch et al. 2015). Tali evidenze sono confermate da Campbell et al. (2017) i quali, utilizzando un proxy biogeochimico (il solfuro di carbonile presente in carote glaciali), hanno evidenziato che nel corso del XX secolo si è registrato un aumento di circa il 31% della produzione primaria lorda (CO2 fissata nella sostanza organica dalle piante terrestri attraverso la fotosintesi).

Da rilevare poi che Zeng et al., (2014) mostrano che responsabile dell’aumentato assorbimento di CO2 è per il 50% circa l’agricoltura, il che ne mostra l’essenziale ruolo ecosistemico: l’agricoltura infatti emette solo una piccola parte di quanto ha prima assorbito con la fotosintesi. Nello specifico, l’agricoltura ogni anno con la fotosintesi assorbe 7,5 GT di carbonio che salgono a 12 GT se si considerano anche i pascoli (Krausmann etal 2013), mentre le emissioni complessive del settore agricolo-zootecnico ammontano a 1,4 GT (Tubiello, 2015), per cui in sostanza l’agricoltura emette l’11,6%  di quanto ha in precedenza assorbito.

Figura 1 – Rilevanza globale del global greening espressa da questo diagramma frutto di una simulazione condotta da un gruppo di ricerca australiano (Haverd et al. 2020). I dati sono frutto di una simulazione eseguita con il modello CABLE e i dati qui riportati descrivono il fenomeno come frutto di (a) effetti a livello fogliare dei cambiamenti a livello fisiologico stimolati direttamente dall’anidride carbonica (verde scuro), (b) effetti legati all’aumento complessivo di massa fogliare (verde chiaro) e (c) effetti del cambiamento climatico (arancio). In complesso l’aumento in GPP dal 1900 al 2020 è stimato pari al 30% mentre al raddoppio di CO2 (560 ppmv) raggiungerà il 47%. Si noti che anche il cambiamento climatico si rivela in complesso favorevole a una più elevata produttività degli ecosistemi.

Per completezza d’informazione è doveroso segnalare il lavoro di Lian et al. (2020), che operando sul periodo 1982-2011 hanno posto in evidenza che l’aumento di biomassa vegetale globale indotto dal global greening aumenta l’evapotraspirazione e quindi svuota più rapidamente del loro contenuto idrico i suoli, intensificando così la siccità estiva. Secondo gli autori tale fenomeno (che a mio parere non confligge affatto con la riduzione dell’indice stomatico dianzi segnalata) avrebbe come conseguenza l’aumento della frequenza e dell’intensità delle ondate di caldo estivo su varie aree del globo[2]. Tali conclusioni sono in sostanziale sintonia con quelle raggiunte da Priestley (1966), il quale esaminando la temperatura massima giornaliera riportata da stazioni di osservazione poste su isole e da stazioni terrestri, concluse che se la superficie del nostro pianeta fosse tutta coperta da vegetazione ben irrigata la sua temperatura massima non potrebbe in alcun caso superare i 32 – 34 °C.

Discussione

Credo che il global greening sia un fenomeno nel suo complesso positivo e che dimostri la grande resilienza degli ecosistemi rispetto alla variazione dei forcing naturali e antropici. Il global greening peraltro ci induce a riflettere sul fatto che l’aumento dei livello atmosferici di CO2 non ha solo risvolti apocalittici in quanto, stando ai dati di Campbell et al. (2017), in sua assenza avremmo il 31% in meno di produzione agricola, con riflessi sui livelli globali di food security che lascio ai lettori immaginare.

Concludo con una riflessione sul fatto che oggi il termine “global greening” sia poco divulgato dai media e peraltro mi fa specie che se si cerca con google il termine “global greening” si trova un’iniziativa lodevole fin che volete (si parla di Irlanda, un paese che ho nel cuore anche perché ha dato in natali a San Colombano) ma che con il fenomeno del global greening da CO2 non ha nulla a che vedere. Siamo forse giunti alle armi di distrazione di massa?

Bibliografia

  • Blom T.J. et al., 2002. Carbon Dioxide In Greenhouses, Omafra, Canada, http://www.omafra.gov.on.ca/english/crops/facts/00-077.htm
  • Campbell et al., 2017 Large historical growth in global terrestrial gross primary production, Nature, volume 544, issue 7,648, pages 84-87.
  • Helldén U. and Tottrup C., 2008. Regional desertification: A global synthesis. Global and Planetary Change 64 (2008) 169–176
  • Herrmann S.M., Anyambab A., Tucker C.J., 2005. Recent trends in vegetation dynamics in the African Sahel and their relationship to climate, Global Environmental Change, Volume 15, Issue 4, December 2005, Pages 394-404
  • Krausmann etal 2013 Global human appropriation of net primary production doubled in the 20th century, June 18, 2013 vol. 110 no. 25
  • Lian etal 2020 Summer soil drying exacerbated by earlier spring greening of northern vegetation, Sci.Adv.2020; 6: eaax0255, 3 January 2020
  • Menozzi A. e Pratologo U., 1945. Il terreno e i fertilizzanti, volume 2 dell’opera Chimica vegetale e agraria, Hoepli, Milano.
  • Piao et al., 2020. Characteristics, drivers and feedbacks of global greening – Nature Reviews Earth & Environment · December 2019 DOI: 10.1038/s43017-019-0001-x
  • Priestley, C. H. B., 1966. The limitation of temperature by evaporation in hot climates, Agric. Meteorol., 3(314), 241 – 246.
  • Tonzig S., Marré E., 1968. Elementi di botanica, volume primo, parte seconda, 1581 pp.
  • Tubiello et al., 2015. Global greenhouse gas emissions from agriculture, forestry and other land use activities: recent trends and updates  Agriregionieuropa anno 11 n°41, Giu 2015
  • Zeng et al 2014. Agricultural Green Revolution as a driver of increasing atmospheric CO 2 seasonal amplitude, Nature, vol 5015, 20 nov. 2014,

[1] La scoperta del ruolo biologico della CO2 atmosferica è il lascito del grande scienziato svizzero Nicolas Theodore De Saussure, che la divulgò nel suo testo Réchérches chimiques sur la vegetation (Parigi, 1804) che gli interessati possono consultare in google books.

[2] Ma non sulla Siberia, che godrebbe dell’apporto dell’eccesso di umidità da traspirazione prodotta in Europa.

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Published inAmbienteAttualità

6 Comments

  1. Luigi Mariani

    Ringrazio anzitutto gli autori dei comnenti pervenuti.
    Circa il problema della produttività degli ecosistemi oceanici (Stefano Aliboni e Alessandro) , debbo sottolineare anzitutto che questo tema esula dalla mia esperienza, per cui il contributo di un vero esperto sarebbe molto utile.
    Ad ogni buon conto dato l’interesse che la produttività marina suscita anche in me, ho fatto un briciolo di ricerca bibliografica da cui ho ricavato che:
    1. i livelli di incertezza circa l’NPP marina sono molto più elevati che per la NPP degli ecosistemi terrestri,
    2. le stime globali sono prodotte da remote sensing (satelliti) oppure con modelli di produttività ecosistemica
    3. il lavoro di Gregg et al., 2017 analizza dati da satellite ricavando un trend 2008-2015 positivo, e dunque “global greening in atto”. Non escludo però che altri lavori possano dire cose diverse e qui penso che bisognerebbe approfondire la ricerca
    4. la maggioranza dei modelli di produttività ecosistemica usati per stimare i trend futuri indica trend per il XXI secolo improntati al calo della NPP, il che è frutto dell’aumento della stratificazione nelle acque oceaniche con conseguenti minori scambi di nutrienti fra profondità e superficie.
    5. infine il lavoro di Laufkötter et al., 2015 evidenzia le rilevanti incertezze presenti fra diversi modelli.

    Bibliografia
    Gregg etal 2017. Global trends in ocean phytoplankton: a new assessment using revised ocean colour data segnal, Remote Sens Lett. 2017; 8(12): 1102–1111.
    Laufkötter et al., , 2015. Drivers and uncertainties of future global marine primary production in marine ecosystem models, Biogeosciences, 12, 6955–6984, 2015, doi:10.5194/bg-12-6955-2015

  2. Brigante

    Ottimo contributo, su un argomento che ha un risvolto completamente e indiscutibilmente positivo per tutta la biosfera, anche quella antropizzata. Ovviamente si tratta di un fenomeno legato a doppio filo con la disponibilità di acqua, che non è la stessa per tutte le aree geografiche del pianeta. Una leva fondamentale però per fare breccia nell’assolutismo negativo del global warming, che già da solo non è affatto così negativo come lo vogliono dipingere, soprattutto per certi territori che soffrono freddo, gelo e siccità per gran parte dell’anno.

  3. Stefano Aliboni

    Si potrebbe parlare di “greening” anche per il fitoplancton? La mia domanda è del tutto ingenua (non è del tipo chiedoperunamico, per intendersi)
    Le mie inette ricerche su google hanno dato risultati tendenti allo zero.

    • Alessandro

      Certamente! sono molti gli articoli peer-reviewed che ne parlano. Trovi per esempio qui un articolo sulla situazione nell’Artico https://on.nrdc.org/3yFAdCZ .
      Parte bene:

      By calculating decades of data taken from satellite imagery and collected from ice-breaking ships, the Stanford researchers have found that productivity at the base level of this ocean ecosystem has increased by more than half over 20 years. This is an incredible surge in phytoplankton—one that provides more food and increases the ocean’s uptake of carbon dioxide, a greenhouse gas.

      …ma inevitabilmente s’inchina poi alla vulgata:

      But everything isn’t so rosy. The initial expansion of phytoplankton in the Arctic was a symptom of climate change, not a potential cure.
      […]
      Zooplankton populations peak shortly after the phytoplankton bloom, taking advantage of the bounty, and small fish don’t come in to feast until after that. Disruptions in this chronology can throw the relationships between some species completely out of whack, potentially affecting their ability to eat, breed, and survive, and influencing what fish stocks might be available at what times.

      Insomma, BOO! ABBASSO LA CO2!!!

  4. Massimo Lupicino

    Grazie Luigi, contributo interessantissimo.

    Segnalo che tra i primi risultati di google c’e’ un articolo del NWT (ineffabili) dal titolo “il global greening suona bene. Ma nel lungo termine e’ terribile”. E ti pareva? Mai una gioia.

    Del resto sono gli stessi che un anno fa latravano ai quattro venti che il covid era “naturale” e chiunque sostenesse il contrario era un falsario, Mentre adesso ammettono che e’ molto probabilmente “scappato” dal laboratorio di Wuhan… Grande giornalismo, Complimenti a chi paga per leggerlo.

  5. Virgilio Bardini

    Il termine global greening lo leggo solo qua, probabilmente si tace nei mass-media perché contraddice l’allarmismo del Riscaldamento Globale Antropico.

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