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Mille anni di uragani alle Bahamas

Nell’ambito della mia, ormai tradizionale, ricerca di eventi estremi che possano essere generati o condizionati dalla produzione antropica di CO2, ho aggiunto alla lista anche gli uragani. Come è noto, l’osservazione e la registrazione di questi fenomeni estremi è relativamente recente e circa 170 anni di misure non sono in grado di separare nettamente le cause antropiche da quelle naturali. Recentemente si è osservato che vari ambienti costieri (paludi, laghetti) sono in grado di accumulare sedimenti la cui abbondanza dipende dalla potenza degli uragani e dai quali, quindi, è possibile derivare la frequenza e la forza di questi eventi, anche in periodi che precedono, di molto, le osservazioni.
In particolare, a questa operazione si prestano bene i cosiddetti buchi blu (blue holes), piccoli (~150 m) “pozzi” immersi, la cui profondità è superiore alla profondità circostante. Sul loro fondo si accumulano, nei sedimenti, grani di materiale in percentuale tanto maggiore quanto maggiore è la forza dell’uragano. È stato mostrato che si accumulano grani dovuti a uragani presenti entro un raggio di circa 100 km dal pozzo.

Qui mostro un esempio recente di ricostruzione della serie di frequenza e potenza di uragani che interessano le Bahamas, “osservati” tramite il blue hole di Long Island (Bahamas) che raggiunge una profondità massima di circa 12 m con una profondità circostante di circa 2 m (da non confondere con il Dean’s Blue Hole, sempre a Long Island, ma molto più profondo anche se con un’apertura di solo 25-35 metri).
La derivazione della serie di uragani, dal 900 al 2016 CE, è stata presentata in un lavoro di Wallace et al., 2021 (lo chiamerò W21) in cui sono disponibili i valori di percentuale di grani (materiale o coarse) di diametro superiore a 63 μm. Ho rappresentato la serie di W21 in figura 1.

Fig.1: Serie di coarse>63 μm e suo spettro Lomb. In questa figura sono da sottolineare che la riga rossa è un filtro di finestra 10 punti che serve a mediare i picchi molto alti, e i cui valori numerici sono stati usati per calcolare i fit lineari identificati dalle linee continue celeste per l’intero dataset e viola per le due sezioni in cui il dataset è stato diviso (dal 900 al 1700 e dal 1700 al 2016) per calcolare i fit individuali.

Nella serie si evidenziano molte situazioni in cui gli uragani si raggruppano e diventano di maggiore intensità, intervallate da periodi di attività ridotta o nulla. Il fit lineare (linea celeste) mostra un aumento continuo della frazione di grani, ma a partire da almeno il 900 CE e quindi al di fuori di ogni possibile attività industriale. L’apparente maggiore pendenza che si osserva tra il 1700 e il 2016 (periodo industriale) in realtà dipende dalla scelta dell’anno iniziale della serie e dovrebbe essere presa con cautela, anche considerando che il fit della serie completa produce il piccolo aumento, su 1050 anni, dal 2% al 4% della frazione di grani nei sedimenti.
Lo spettro è dominato dai massimi di periodo 100 e 190 anni. Con potenze che sono circa la metà del massimo a 100 anni, sono presenti molti massimi tra 40 e 2.5 anni. Si fa notare un picco a 18.5 anni (periodo della linea dei nodi lunari?) ma poco significativi sembrano due periodi a 16 e 17 anni che potrebbero rappresentare il periodo di ritorno degli uragani (16.4 anni/evento in W21, 16.5 anni/evento per me) che in W21 viene calcolato come l’intero intervallo temporale (2016-930 CE) diviso per i 66 eventi misurati nell’intervallo.
Forse in questo caso la media non rappresenta la corretta periodicità che, dallo spettro, sembra più vicina ai 18 anni che ai 16, senza trascurare un più forte massimo a 13.2 anni
Nella parte di alta frequenza dello spettro sono presenti numerosi massimi El Nino-like che, data la vicinanza delle regioni, non si fa fatica ad attribuire alle stesse cause che generano l’oscillazione del Pacifico.

Frequenza degli uragani
W21 rende disponibile la frequenza degli uragani su una finestra mobile di 100 anni, nell’intervallo 920-1925 CE. In figura 2 mostro questa serie.

Fig.2: Frequenza degli uragani su una finestra mobile di larghezza 100 anni. La linea rossa è il fit lineare che mostra una debolissima diminuzione.

Il grafico testimonia una costanza della frequenza negli ultimi 1000 anni, confermando ulteriormente l’indipendenza dalla concentrazione di CO2.

In conclusione, sia la potenza che la frequenza degli uragani, entrambe misurate tramite il dato di prossimità ricavato dai carotaggi in uno dei buchi blu delle Bahamas mostrano un andamento che, per tutti gli effetti pratici, è rimasto inalterato da almeno il 900 CE, cioè per quasi 1100 anni. Se si pensa che un aumento sarebbe in realtà dovuto alla rivoluzione industriale e quindi visibile dopo il 1760, si può verificare da questo grafico (parte finale di figura 2) che un aumento non si è verificato.

I raggruppamenti di eventi possono far pensare anche ad un effetto di memoria a lungo termine o a un esponente di Hurst vicino a 1 (forte autocorrelazione), ma qui la funzione di autocorrelazione mostra deboli legami tra i dati (H=0.690) che appaiono quasi indipendenti.

Bibliografia

  • E.J. Wallace, J.P. Donnelly, P.J. van Hengstum, T.S. Winkler, K. McKeon, D. MacDonald, N.E. d’Entremont, R.M. Sullivan, J.D. Woodruff, A.D. Hawkes, C. Maio: 1,050 years of Hurricane Strikes on Long Island in The BahamasPaleoceanography and Paleoclimatology36,3, e2020PA004156, 2021. https://doi.org/10.1029/2020PA004156
    Tutti i dati e i grafici sono disponibi nel sito di supporto
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Published inAmbienteAttualitàClimatologia

Un commento

  1. UbertoCrescenti

    Ottimo articolo in controtendenza rispetto alle affermazioni dell’IPCC. Ricordo che anni fa Christopher Landsea, studioso di uuragani, si dimise dall’IPCC proprio perchè non ne condivideva le affermazioni e non aveva ottenuto il rispetto dei suoi studi.

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