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I cirri e gli aloni

Fenomenologia e meccanismo di genesi degli aloni

Gli aloni sono anelli luminosi che circondano il Sole o la Luna e che si formano quando la luce dei due astri viene rifratta da cristalli di ghiaccio colonnari associati a nubi alte e sottili composte da cristalli di ghiaccio (cirri o cirrostrati).

La maggior parte degli aloni:

  • è di color bianco brillante; tuttavia in alcuni casi la rifrazione  della luce che attraversa i cristalli di ghiaccio può far sì che l’alone assuma una tonalità iridescente;
  • presenta una distanza apparente dal Sole o dalla Luna di 22°, pari cioè alla larghezza di una mano alla lunghezza di un braccio.
Figura 1 – passaggio di una chiusa nel canale di Panama in data 24 gennaio 2020. In lontananza sulla destra si notano dei cumuli congesti con virga (pioggia in caduta al di sotto degli stessi).
Figura 2 – Foto dell’alone ottenuta con il cellulare (29 gennaio 2020, Oceano Pacifico davanti alle coste del Perù).
Figura 3 – Foto dell’alone ottenuta con apparecchio fotografico Polaroid. Rispetto alla figura 2 si notano meglio la grana dei cirri che producono l’effetto ottico e la tonalità iridescente. (29 gennaio 2020, Oceano Pacifico davanti alle coste del Perù).
Figura 4 – Geometria del raggio solare per l’alone 22. La linea orizzontale mostrata può, in realtà, essere in qualsiasi direzione (Linacre e Geer, 1997).
Figura 5 – I cristalli di ghiaccio colonnari con diametro inferiore a 20 micron rifrangono la luce a 22° (Linacre e Geer, 1997).

Lo schema in figura 4, tratto da Lineacre e Geers (1997) illustra il meccanismo di genesi di un alone da 22°. L’alone si sviluppa quando la luce entra da un lato di un cristallo di ghiaccio colonnare ed esce da un altro lato venendo rifratta quando entra nel cristallo di ghiaccio e ancora una volta quando lascia il cristallo (figura 5).

Se le due rifrazioni si hanno a carico di cristalli di ghiaccio colonnari con diametro inferiore a 20 micron la luce viene piegata di 22° dalla sua direzione originale. Quello a 22° non è l’unico tipo di alone ma è certamente il più frequente.

L’alone del 29 gennaio 2020

Le due foto presentate nelle figure 2 e 3 ritraggono un alone da 22° con tonalità iridescente fotografato il 29 gennaio 2020 e mi sono state cortesemente donate da un’amica che le aveva riprese a bordo di una nave da crociera che, superato il canale di Panama (figura 1), navigava nell’Oceano Pacifico discendendo lungo le coste del Sud America. Nello specifico le foto sono state scattate davanti alle coste del Perù, a 150 miglia circa da Lima.

A titolo di confronto in figura 6 si riporta uno degli aloni presentati nell’International cloud atlas del WMO (1987), oggi disponibile in rete e di cui consiglio la lettura trattandosi di una pubblicazione di grandissimo interesse.

Figura 6 – In un velo di cirrostrati (Cirrostratus nebulosus) con struttura debolmente striata, visibile in 1, si possono osservare vari fenomeni di alone. L’alone di 22° è chiaramente definito e il cielo all’interno dell’alone è un po’ più scuro di quello all’esterno. L’arco tangente superiore è indicato in 2 e una colonna luminosa si osserva in 3. Il fenomeno si è prodotto in una massa d’aria continentale fredda.

Cenni sulla rilevanza meteo-climatica dei cirri

In ambito meteorologico i cirri possono avere una rilevanza in termini diagnostici e prognostici, essendo spesso associati a scorrimento di aria caldo-umida su aria più fredda ed asciutta pre-esistente, il che si verifica all’approssimarsi di un fronte caldo.

In ambito climatologico i cirri incidono in modo significativo sul bilancio energetico del pianeta (effetto serra) in quanto si rivelano permeabili alla radiazione solare (ultravioletto A e B, visibile e IR vicino) mentre interferiscono in modo significativo con l’emissione infrarossa terrestre. A tale fenomeno si lega la teoria dell’iride adattivo enunciata sul Bulletin of the Americal Meteorological Society (BAMS) da Lindzen e Chou (2001) e secondo la quale all’aumentare delle temperature globali i cumulonembi temporaleschi che si formano in atmosfera tropicale sarebbero più efficienti, producendo meno cirri e dunque consentendo un più efficace “raffreddamento” del pianeta per irraggiamento verso lo spazio. Su tale teoria il professor Lindzen ha di recente pubblicato un’interessante review (Lindzen e Choi, 2021) in cui si rileva che una forte riduzione areale dei cirri è evidenziata con chiarezza sia dalle osservazioni satellitari sia dai modelli climatici e si sottolinea inoltre il persistere di opinioni diverse sul peso dei cirri nell’effetto serra, per cui si sollecitano studi atti a chiarire tale aspetto.

Riferimenti

Linacre E. and Geer B., 1997. Solar halo through cirrus, http://www-das.uwyo.edu/~geerts/cwx/notes/chap02/halo.html

Lindzen, R.S., Chou, M.-D., Hou, A.Y., 2001. Does the earth have an adaptive infrared iris? Bull. Am. Meteor. Soc. 82(3), 417–432

Lindzen R.S., Choi Y., 2021. The Iris Effect: A Review, Asia-Pacific Journal of Atmospheric Sciences, https://doi.org/10.1007/s13143-021-00238-1

WMO,1987. International cloud atlas, volume II, WMO n. 477, Geneva,

 

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Published inAmbienteAttualitàClimatologia

5 Comments

  1. Luigi Mariani

    Un Grazie a Costantino Sigismondi per l’interessante scritto ricco in termini di immagini e di schemi interpretativi.
    Un grazie anche a Roberto Bolis per le immagini che vengono da Corte del Palasio, luogo caro per ragioni storiche a chi come me è agronomo: fu sede della scuola di agricoltura fondata da Gaetano Cantoni nel 1861 e che ebbe purtroppo vita breve.
    Come commento generale osservo che la troposfera è ricchissima di fenomeni naturali meravigliosi e di grande interesse scientifico; dobbiamo sforzarci di guardare verso il cielo e di interpretare quanto vediamo.

  2. Alessandro Muzii

    Quindi i CB a sviluppo verticale che raggiungono il limite della Tropausa, ridurrebbero i cirri aumentando la dispersione termica verso lo spazio.
    Mi ero sempre chiesto dove finisse tutta quell’aria calda che alimenta la circolazione verticale nei CB e nei TCU.

    • Luigi Mariani

      I Cumulonembi nel loro ciclo di vita e in particolare nelle fasi di senescenza utilizzano parte dell’umidità da loro portata nella troposfera medio-alta producono cirri e altocumuli (che sono perciò detti “cumulonimbogeniti”). L’ipotesi di Lindzen è che all’aumentare delle temperature in superficie aumenti la percentuale di umidità scaricata come pioggia e dunque si formino meno cirri e altocumuli, favorendo così l’irraggiamento verso lo spazio. Si tratterebbe dunque di un feedback negativo, che Lindzen ritiene più attivo in atmosfera tropicale.

  3. Roberto Bolis

    Fotografato il 23/05/2021 alle 16:24 durante una passeggiata lungo l’Adda (Corte Palasio – LO) con Samsung Galaxy S20.

    Immagine allegata

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