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Un po’ di tecnica meteorologica

Nelle ultime settimane l’Italia ha riscoperto prima l’autunno e poi l’inverno. Sono tornati infatti a manifestarsi tutti quei fenomeni che hanno in passato riempito le cronache dei giornali, caratterizzando la stagione di transizione con la fase fredda dell’emisfero settentrionale. Piogge continue, forti temporali, fiumi in piena, mareggiate, nevicate precoci ed abbondanti ed acqua alta a Venezia. Praticamente abbiamo visto tutto. Nel breve, è giusto sottolineare che questo non accadeva da qualche anno. Se proviamo a tornare un pò indietro nel tempo però scopriamo ad esempio che nei mesi di novembre e dicembre si è verificato il maggior numero di eventi di acqua alta a Venezia, il Tevere è stato in piena in ben 15 dei 22 episodi analoghi registrati dal 1277 e sono arrivate le due storiche allluvioni di Firenze del 1844 e 1966.

La storia come sempre insegna, però indubbiamente le condizioni al contorno sono cambiate parecchio, perchè l’impatto che hanno questi eventi  è decisamente più significativo. In questo post vorrei provare ad affrontare il discorso della diagnosi e prognosi degli eventi precipitativi particolarmente intensi come quelli che hanno allagato la città di Roma nei giorni scorsi.

Da qualche anno ormai l’approccio alla previsione meteorologica a breve termine si è discostato dalla teroria classica del modello norvegese, almeno con riferimento all’area del Mediterraneo. Diversamente non avrebbe potuto essere del resto, perchè l’ambiente delle medie latitudini mediterranee ha caratteristiche ben diverse dalle alte latitudini europee dove questa teoria ha avuto origine e continua comunque a trovare consistente applicazione. Un esempio tra tutti, se vogliamo, è proprio quello dei sistemi convettivi a mesoscala che causano a volte fenomeni di particolare violenza, nascendo spesso in flussi prevalentemente barotropici e quindi ben al di fuori dall’area frontale vera e propria. In alcuni casi questi nascono anche in seno a configurazioni per le quali, un tempo, si sarebbe esclusa in fase di prognosi ogni possibilità di sviluppo di forte convezione.

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo una prima fase caratterizzata da stabilità piuttosto accentuata e da fenomenologia di scarso rilievo più cha altro imputabile al transito di veloci perturbazioni atlantiche, la stagione autunnale ha visto l’insorgere di una importante anomalia barica a scala sinottica. Ad ovest, sul vicino Atlantico un robusto anticiclone con propensione all’espansione longitudinale; ad est un anticiclone sull’eurasia, più debole ma per molti aspetti ancora più significativo. Tra queste due configurazioni hanno trovato spazio più fasi di intenso scambio meridiano. L’ultima di queste ha interessato più direttamente l’Europa occidentale e le coste del Marocco, generando un flusso di aria sub-tropicale marittima continentalizzata sul Mediterraneo centrale e quindi sull’Italia. Tale massa d’aria si distingue per un contributo di umidità e di instabilità termico-dinamica piuttosto accentuato rispetto a quanto diversamente accade per i flussi di origine continentale africana. La potenzialità per questa configurazione di produrre importanti precipitazioni era in effetti elevata, come confermato sin da subito dalla maggior parte del modelli di previsione numerica in circolazione.

Quanto detto sin qui, tuttavia, mette nella condizione di comprendere la situazione e l’eventuale stato del tempo solo su scala temporale piuttosto ampia: un tempo mediamente perturbato, ma con scarsa possibilità di individuazione di soggetti capaci di produrre fenomeni violenti. Nella giornata del 15 dicembre scorso, la configurazione ha assunto sull’area tirrenica centrale i tratti caratteristici di una perturbazione molto consistente prevista per le prime luci dell’alba del giorno successivo: 1) intensa ventilazione da sud nei bassi strati, con significativo elemento di discontinuità (shear orizzontale) del vento;  2) Accentuata variazione di direzione di provenienza del vento al crescere della quota  (shear verticale); 3) ramo del getto con direttirice sud ovest-nord est e massimo d’intensità causa di avvezione di vorticità positiva proprio sul Tirreno. Sin qui il classico sistema frontale.

Già nei giorni precedenti ed anche in altre fasi della stagione, questo tipo di configurazione aveva favorito lo sviluppo si sistemi convettivi a mesoscala del tipo V-shaped storm (a forma di v), ovvero celle in gruppi organizzati che, una volta sviluppate, si muovono lungo la linea di flusso facendo assumere al sistema convettivo una tipica forma a calice. Queste v-shaped storm, possono essere considerate il gradino immediatamente inferiore alle più note supercelle, non tanto per la minor quantità di energia che sviluppano, in effetti paragonabile a queste, quanto perchè avendo una buona velocità di spostamento tendono a “diluire” -si fa per dire- i loro effetti su aree più ampie, piuttosto che insistere per molte ore su una porzione relativamente piccola del territorio come accade per le supercelle.

La previsione di questi eventi è purtroppo ancora quasi impossibile in una scala diversa da quelle della VSRF (veri short range forecast 2-12 ore) e del NWC (nowcasting 0-2 ore). Allo scopo di esplorare la possibilità di allungare i termini di questa previsione, siamo andati a cercare tra le tecniche di diagnosi e prognosi impiegate per l’area centrale degli Stati Uniti per la previsione dei tornado che si originano appunto sempre da quelle che la letteratura definisce appunto supercelle. La caratteristica principale di questi sistemi è quella di essere caratterizzati da un proprio moto circolatorio in senso antiorario, spesso distingibile dalla presenza di tracce evidenti di nuvolosità sviluppata in cerchi concentrici nell’intorno dell’area di massima convezione. Alle potenzialità termiche di sviluppo di convezione molto forte si aggiunge quindi un ulteriore elemento di accentuazione di questa convezione innescato proprio dal moto rotatorio.

Ma come investigarne l’eventuale insorgenza? Tra i tools impiegati dai meteorologi americani ne troviamo alcuni a noi già noti, quali ad esempio l’indice CAPE (Convective Available Potential Energy), che è in sostanza il parametro che descrive quanta energia termica della massa d’aria può essere trasformata in energia cinetica e quindi innescarne il sollevamento.

I valori assunti da questo indice però non possono essere presi alla lettera, perchè per determinarlo vengono fatte alcune assunzioni piuttosto inesatte: 1) non viene considerato il rimescolamento della massa d’aria indotto dai cambiamenti di stato cui è soggetta durante la sua ascesa, 2) il peso delle gocce d’acqua è considerato ininfluente e 3) si ignorano le modifiche al gradiente barico verticale.  La velocità delle correnti ascensionali non è quindi unicamente frutto di questo meccanismo ma molti altri fattori concorrono a determinare invece l’intensità della convezione. Tra questi lo shear del vento e, soprattutto, il contributo dinamico. Per quel che riguarda la variazione del vento con la quota (shear verticale), la letteratura disponibile identifica valori di 15-20 m/s in uno strato tra 0 e 6000mt per il possibile sviluppo di supercelle, ovvero di temporali caratterizzati da una intensa corrente ascensionale con moto circolare attorno all’asse verticale. Queste supercelle sviluppano correnti acensionali e discendenti con intensità ben superiore a quella che potrebbe essere raggiunta con la sola energia CAPE disponibile. Questo surplus di energia è fornito dall’interazione della corrente di salita con un flusso caratterizzato da accentuato shear verticale che ne origina l’accelerazione come conseguenza della modifica del gradiente barico verticale. Il flusso che interagisce con la convezione possiede una sua vorticità orientata inizialmente sul piano orizzontale che viene deviata proprio dalla corrente di salita e traferita allo stesso moto ascensionale. Questo traferimento di vorticità è identificato dal paramentro SRH (Storm Relative Helicity). Come abbiamo visto per il CAPE, anche questo parametro però non può essere impiegato singolarmente. Infatti, se una abbondante disponibilità di energia identificata da elevati valori di CAPE non è condizione sufficiente allo sviluppo di supercelle, analogamente, elevati valori di elicità dovuti al flusso del vento se non combinati con intenso sollevamento non sono origine dell’accentuazione della convezione. Per combinare questi due fattori viene impiegato un indice EHI (Energy Helicity Index) di derivazione prettamente sperimentale. Questo indice scaturisce infatti dalla moltiplicazione dell’indice CAPE per il fattore di Elicità successivamente diviso per 160.000. Questo procedimento fa di quest’indice un discreto strumento per l’individuazione delle potenzialità di sviluppo di supercelle che diano origine a tornado, ed è  quindi tagliato per un ambiente dalle caratteristiche profondamente diverse da quelle dell’area del Mediterraneo. Tuttavia, provando a calcolare ed a plottare questo indice con le corse di un modello di previsione numerica per l’evento di forte convezione occorso a Roma e provincia nella prima mattinata dell’16 dicembre si è trovata una iniziale e parziale conferma della sua possibilità d’impiego per la previsione di eventi analoghi. Chiaramente, molti altri di questi episodi dovranno essere studiati ed approfonditi perchè possa essere definita l’utilità di questo tool e perchè possano essere identificate e riconosciute le condizioni a contorno che ne giustifichino l’impiego. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E’ comunque interessante constatare come in corrispondenza di elevati valori di CAPE e di indice EHI si siano verificati i fenomeni più intensi, come constatabile dalla rilevazione delle scariche elettriche sull’area centrale del Lazio proprio nella prima mattinata.

NB: I dati e le immagini sono tratti da

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