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Outlook inverno 2021-2022 – Aggiornamento

Vorrei cominciare questo articolo segnalando l’errore previsionale che ho commesso nel primo articolo. Ovvero, nel primo outlook, era mia convinzione che l’azione di movimento della seconda onda verso l’Atlantico, con conseguente azione del flusso da nord o nordest verso l’area del mediterraneo centrale fosse imminente, poiché immaginavo sia un transito della MJO nelle zone 7 e 8 con ottima presa di ampiezza e rallentamento zonale, sia una risalita dei flussi di calore come letteratura insegna (vedi Waugh e Polvani). Per chiarire, ritengo utile fornire al gentile lettore non solo uno dei possibili scenari evolutivi della stagione invernale ma anche un opportuno approfondimento al fine di comprendere, per quello che possiamo, i complessi meccanismi che il sistema atmosferico integra per garantire un certo bilancio di energia in gioco. Quindi, entriamo meglio nel problema.

Stabiliamo che il tentativo di indicare l’evoluzione dell’atmosfera lungo il periodo invernale non si basa sulla lettura dei fondi del caffè o su visioni notturne tra sogni e incubi a seguito di una cena troppo abbondante, ma sul bagaglio culturale proprio e altrui messi a disposizione attraverso studi di ricerca. Nel paper di Polvani  del 2014,”Upwelling Wave Activity as Precursor to Extreme Stratospheric Events and Subsequent Anomalous Surface Weather Regimes“, si evidenzia e conferma come non solo esiste una stretta correlazione tra gli eventi stratosferici estremi e la variazione dei flussi di calore, ma vi è anche una specifica dinamica degli stessi che segue delle particolari fasi.

Tutto ciò non è poi così scontato. In letteratura pioneristica, come nella più nota di Baldwin & Dunkerton del 2001, si apprende che “sebbene si creda che anomalie della circolazione stratosferica siano causate principalmente da onde planetarie che si propagano verso l’alto,  altri processi all’interno della stratosfera possono influenzare la probabilità di eventi estremi“. Quindi la funzione “comunicativa” della troposfera in seno alla primaria capacità di influenzare il condizionamento della circolazione stratosferica non era poi così scontata.

Dunque, la ricerca di Waugh e Polvani evidenzia che un’anomala alta/bassa attività dei flussi di calore a 100hPa precede quasi sempre eventi di vortice debole/forte. Questo chiarisce definitivamente l’origine dinamica di questi eventi e indica che le principali fonti di variabilità stratosferica si trovano nella troposfera e non nella stratosfera.  In verità lavori precedenti (come ad esempio Palmer 1981, Baldwin 1989 e altri) avevano già posto l’attenzione sul fatto che una intensa/bassa attività delle onde verso l’alto (E-P Flux) era all’origine degli eventi stratosferici estremi, ma nessuno aveva veramente approfondito questo meccanismo attraverso un’adeguata analisi sistemica dei dati. Nella figura 1, tratta dal lavoro di Waugh e Polvani, è rappresentata la funzione della distribuzione di probabilità della media dei flussi di calore v’T’ a 100hPa  e si evince che, secondo gli stessi casi esaminati da Baldwin, tutti i 18 eventi di vortice debole e 30 casi di vortice forte esaminati, sono preceduti da una anomala attività di propagazione d’onda verticale, intensa nel primo caso e debole nel secondo. Approfondendo i risultati del paper, riusciamo ad apprendere che la dinamica di evoluzione dei flussi di calore segue un iter mediamente specifico, vediamo quale.

Dalla figura 2, tratta sempre dal lavoro di Waugh e Polvani, possiamo constatare che tra l’intera popolazione campionaria dei casi studiati si rileva mediamente un periodo medio tra un minimo e un massimo e poi da un massimo a un minimo dei flussi di calore di circa 40 giorni.

Ora dalla figura 3, inerente gli eventi dei flussi di calore calcolati su un intervallo di 40 giorni, si vede che questa specifica evoluzione è stata ben riscontrabile e rispettata fino al 18 dicembre scorso. Poi, dopo una iniziale ripresa dei flussi di calore, come nelle attese, questi si sono improvvisamente bloccati invertendo l’andamento verso una nuova diminuzione fino a superare, anche se di pochissimo, la soglia dei -5,5K m/s, vedi riquadro rosso. Vista l’evoluzione successiva e prevista dei flussi di calore possiamo assegnare tranquillamente a quella data l’inizio di un Low Heat Flux Event.

La figura 4 mostra graficamente ciò che sarebbe dovuto accadere e che invece non è accaduto (l’ampiezza del segnale nelle parti disegnate è ovviamente arbitraria per sola necessità grafica). La ripartenza dei flussi dal minimo del 18/12 avrebbe dovuto portare ad un massimo proprio in questi giorni ed invece ci ritroviamo con un ben strutturato Evento Stratosferico Estremo cold.

Ci sono tre momenti importanti nel grafico. Il primo è compreso tra il 19 dicembre e il 3 gennaio scorsi, il secondo dal 4 gennaio al 13 gennaio e l’ultimo dal 14 al 25 gennaio (ultima data disponibile dei dati in fase di scrittura di questo articolo ma che in realtà sarà il prossimo 5 febbraio o comunque la data del punto minimo che raggiungeranno gli eventi dei flussi sull’intervallo di 40 giorni).

A patto che sia confermato il raggiungimento del minimo dei flussi attorno al 5 febbraio e se la dinamica dei flussi riprenderà a salire, potremmo fin d’ora ipotizzare il raggiungimento di un massimo di attività per la seconda metà di  marzo.

Ma cosa ha condizionato un cambio di pendenza a partire dal 4 gennaio determinando una vera “eccezione alla regola” come evidenziato in letteratura?

Come abbiamo detto molte il vortice polare è sensibile alle variazioni di calore latente e sensibile proveniente dalle zone equatoriale e subtropicale. Quindi dobbiamo rivolgere il nostro sguardo in quella direzione. Il distributore di calore è l’attività convettiva subtropicale. L’indice che esprime questa attività è dato dal grafico della Madden Julian Oscillation che indica la zona dove si manifesta, meglio detta fase, e l’ampiezza o intensità dell’attività convettiva.

Cerchiamo di esaminare più da vicino cosa è successo tra il 19 dicembre e il 25 gennaio scorsi attraverso il grafico in figura 5.

Torniamo ai nostri tre periodi: nel primo periodo dal 19 dicembre al 3 gennaio la fase della MJO è rimasta in zona 7 con un’ampiezza media di 2,21. Nel primo articolo, a cui vi rimando, ho sottolineato che il valore assoluto in ampiezza nelle varie fasi non corrisponde ad uno stesso assoluto effetto di disturbo d’onda. Ma il valore di 2,2 in fase 7 lo possiamo definire sufficiente per imprimere un disturbo d’onda tale da sensibilizzare il vortice polare, tanto da sviluppare un treno d’onda in grado di trasferirsi verso l’alto. Infatti i flussi di calore sono andati aumentando. Nel periodo successivo, dal 4 al 13 gennaio, la fase è rimasta in zona 7 fino al 9 per poi passare in zona 8 ma l’ampiezza media è scesa a 1,96. Questo passaggio, soprattutto di fase, non ha più fornito un adeguato disturbo e gli effetti sui flussi di calore hanno cominciato a manifestarsi iniziando a calare. La figura 6 ci aiuta a comprendere meglio visivamente quanto descritto, perché ci sono oltre ai dati degli eventi dei flussi di calore i valori della media ampiezza della MJO (le barre).

Nel periodo successivo, ovvero dal 14 gennaio al 25 gennaio, la fase è stata principalmente tra la zona 7 e la 8, ma la media ampiezza è crollata a 0,78 e le previsioni confermano l’indebolimento anche per i prossimi giorni. Quindi, tornando a quanto ho scritto all’inizio di questo articolo, il problema è stato nella mancanza di un’attività convettiva idonea a creare il sufficiente disturbo al vortice polare. Sempre nel primo articolo segnalai la mancanza di benzina nel motore. Se l’impianto oceano-atmosferico di questa stagione era assolutamente promettente i dubbi erano focalizzati nella scarsa attività convettiva equatoriale.

Tornando all’errore di valutazione, era mia convinzione che ci sarebbe stata una ripresa più brillante di questa attività convettiva, ma questo non è avvenuto. Questa è la dimostrazione del fatto che delle buone premesse sul piano oceano-atmosferico non sono condizione necessaria e sufficiente per avere nelle medie latitudini mediterranee una interessante dinamicità. Il Mediterraneo centrale è una zona molto sensibile ai cambiamenti di regime atmosferico. Per approfondire vi rimando alla lettura della ricerca “Il clima del futuro? La chiave è nel passato” che trovate qui su Climate Monitor. Comunque, è chiaro che senza un’adeguata attività equatoriale non può esserci disturbo al vortice polare. I grafici 7 e 8 riferiti al vento zonale a 60°N alla quota isobarica di 10hPa e alla temperatura tra i 60°N e i 90°N credo siano in tal senso piuttosto eloquenti.

Vorrei prendere spunto da un commento ricevuto da un lettore che mi ha segnalato come la bassa quantità di ozono stratosferico in zona polare potesse essere la causa del mancato riscaldamento di quella porzione di atmosfera. Vorrei brevemente ricordare che il processo chimico di formazione dell’ozono stratosferico si compie attraverso la continua azione dissociativa di molecole di ossigeno ad opera della radiazione UV. Poiché il numero di atomi di ossigeno O è assai modesto rispetto alla concentrazione di O2 il destino più probabile a cui questi vanno incontro è quello di collidere con le molecole di ossigeno piuttosto che con altri atomi di ossigeno generando quindi ozono e liberando calore:

O+ O2               O3+calore

Infatti la liberazione di calore che accompagna questa reazione è la causa diretta della maggiore temperatura della stratosfera rispetto agli strati inferiore e superiore.

La produzione di atomi di ossigeno attraverso la reazione dissociativa delle molecole O2 è ad opera della intensità della radiazione UV-C. Questa però si riduce molto scendendo di quota e salendo di latitudine. Infatti è maggiore all’equatore e si riduce verso i poli, motivo per il quale la fonte di ozono è la zona equatoriale. In inverno, poi, le zone polari sono per lunghi periodi  prive di luce, quindi l’ozono che vi si trova arriva dalle zone equatoriali. Dunque l’ozono non è l’artefice diretto del riscaldamento stratosferico polare, bensì risulta essere un ottimo tracciante dello spostamento di masse d’aria dalla zona equatoriale verso la zona polare con diminuzione di ozono nelle prime e aumento nelle seconde. Questo processo può essere un indicatore di imminenti riscaldamenti stratosferici improvvisi dovuti proprio al tipo di circolazione che si è instaurata con flussi verso il polo.

Ora, tornando alla questione in trattazione in questo articolo, notiamo chiaramente l’evoluzione dell’Indice NAM10hPa dal grafico in figura 9. Il giorno 7 gennaio l’indice ha superato la soglia di +1,5 ma dopo un breve periodo di ritorno al di sotto di tale soglia tra il 15 e il 17, è iniziata una galoppata che lo ha portato ha valori decisamente elevati di +2,5 con una previsione per il 4-5 febbraio di raggiungimento del valore di +3.

Dunque cosa attendersi? Intanto la stratosfera è particolarmente fredda anche nella porzione più bassa e prossima alla troposfera e un eventuale intrusione di quell’aria in troposfera provocherebbe un forte abbassamento della temperatura nelle zona polare. Al momento attorno ai 200hPa ci sono anomalie negative medie tra i 60°N e i 90°N di 5°C. La previsione è per un ulteriore rafforzamento di queste anomalie negative anche fino a 8°C.

Il quadro non sembra lasciare prospettive per un cambiamento in troposfera, tuttavia la MJO, come visibile in figura 10, sembra muoversi verso le fasi attive dell’attività convettiva che, unite alla persistenza di condizioni di La Niña, sono in grado di attivare un disturbo al vortice polare tale da abbassare di latitudine il getto polare in atlantico. Dunque per la seconda metà del mese corrente dovremmo assistere ad un abbassamento della stormtrack atlantica, fino ad interessare più direttamente l’Europa centrale e a smantellare la cupola anticiclonica che sarebbe costretta lungo i paralleli. In tal caso potremmo assistere ad un cambio di tendenza per l’Italia settentrionale, con maggiore variabilità e ritorno di qualche fase precipitativa, sebbene sempre in un contesto prettamente zonale, cosa che sarebbe auspicabile visto il prolungato periodo siccitoso.

Se questo scenario risultasse confermato, vien da se che le regioni centro-meridionali sarebbero interessate invece da una fase piuttosto mite e più asciutta. Il dubbio ruota sempre sull’attività convettiva equatoriale che quest’anno è stata il vero tallone d’Achille di una stagione invernale sinotticamente da Ferrari ma costretta in garage perché senza benzina.

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Published inAttualitàMeteorologiaOutlook

11 Comments

  1. PAOLO

    GRAZIE CARLO PER LA TUA COMPETENZA E CONDIVIDO IN PIENO LA TUA ANALISI,MA SECONDO TE QUESTA TREMENDA SICCITA’ CHE AFFLIGGE SOPRATTUTTO IL NORD-OVEST E’ COLLEGATA CON LA NINA MODERATA FORTE?HO ANALIZZATO VARI ANNI E’ HO NOTATO UN RINFORZO DELL’ANTICICLONE DELLE AZZORRE PROPRIO SU DI NOI E SPAGNA NEGLI ANNI DI NINA!GRAZIE MILLE

  2. paolo

    ciao carlo il vp sta subendo una destrutturazione inevitabile,come la vedi?secondo me aria continentale in viaggio verso la penisola italica,in anticipo di qualsiasi mia più rosea previsione,sempre con rispetto a chi deve pagare bolletta del gas

    • Ciao Paolo, ciò che sta avvenendo è diretta conseguenza della ripartenza, attesa, dei flussi di calore che comunque si inserisce in un regime consolidato al momento duro a morire. Piuttosto il combinato disposto della continua ascesa dei flussi di calore a 100hPa con una buona circolazione zonale in medio-bassa stratosfera attiva le condizioni per una buona propagazione d’onda verticale con possibile High Heat Flux Event intorno alla prima decade di aprile. Se così fosse mettiamo in conto un mese di aprile, soprattutto la seconda metà, piuttosto fresco e instabile e forse anche buona parte, se non l’intero mese, di maggio. Speriamo che riesca a ravvivarsi o mantenersi attivo (dipenderà dal realizzo o meno del High Heat Flux Event) il flusso zonale troposferico per l’estate prossima altrimenti potrebbero essere dolori.
      Monitoriamo attentamente perché le prossime due settimane saranno decisive.
      CarloCT

  3. complimenti per l’analisi perfetta , approfondita e dettagliata.
    Per questioni di compensazione avremo una primavera perturbata? Spero di si altrimenti la situazione idrica diverrebbe insostenibile.

  4. paolo

    carlo non pensa che un evento cosi estremo verso il basso possa dare il là all’opposto?ha ragione è mancata la benzina ma con l avanzata stagionale secondo lei ci sono prospettive per una primavera scoppiettante?secondo lei centra il perenne deficit di ghiacci in estate con ese cold oramai puntuali nel centro dell inverno ogni anno?

    • Ciao Paolo, se guardiamo al grafico che ti allego, che rappresenta l’uscita del modello FFE (Forecast Flux Event) spinto fino alla scadenza di 90 giorni, possiamo supporre che in primavera si possa riconquistare una certa “normalità” il che significa una maggiore variabilità. Sempre da quel grafico si scongiura un evento di tipo opposto che seppur potrebbe favorire un periodo di ritorno simil invernale di fatto consegnerebbe l’estate ad una spiccata circolazione meridiana con più elevate probabilità di ritrovarci alle prese con l’anticiclone africano. Le indicazioni che provengono dal modello ci inducono a pensare che la componente zonale rimanga piuttosto viva a vantaggio sia, come detto, di una maggiore variabilità meteorologica primaverile che di una estate in grado di conservare una componente zonale tanto da mantenere l’indice NAO positivo, con le conseguenza bariche che rappresenta. Per quanto concerne l’influenza del deficit dei ghiacci artici estivi sull’insorgenza degli eventi estremi stratosferici cold invernali ci andrei molto, ma molto, cauto.
      CarloCT

      Immagine allegata

  5. Massimo

    Buona sera, grazie per l’articolo molto chiaro ed interessante.
    Volevo sapere se oltre alla Nina, seppur debole, possa avere avuto una certa influenza anche il picco di attività solare avvenuto tra dicembre e gennaio? Grazie per l’eventuale risposta

    • Ciao Massimo,
      tendo ad escludere qualsiasi influenza dell’attività solare nel breve periodo, che in tal caso è stagionale. L’influenza dell’attività solare sulla circolazione generale dell’atmosfera esiste ma si esplica in periodi più lunghi poiché è fonte di innesco di processi fisici a cascata.
      CarloCT

  6. Buon pomeriggio,
    complimenti davvero per il suo articolo che spiega molto bene quello che è successo e che purtroppo non accadrà più per questo inverno, oramai posto negli archivi. Si rischia secondo lei una primavera dai connotati simil invernali o solo un po di vivacità atmosferica?

    • Ciao Gianfri,
      ti riassumo la risposta data a Paolo: è più probabile il ritorno, come tu dici, ad una vivacità atmosferica.
      CarloCT

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