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Accettare L’Evidenza – Sull’eterno conflitto tra Élite E Démos

Con questo post siamo giunti ad analizzare il penultimo capitolo (Cap. 11) del libro Accettare l’evidenza (il mondo che vorrei),[1] dove, sulla scorta di quanto detto nei precedenti, interpreto questi nostri tempi nel quadro dell’eterna lotta tra l’élite (che finora avevo chiamato “chi sa e può”) ed il resto della popolazione (“i più” che a questo punto ribattezzo démos). Un confronto che oggi vede in vantaggio la prima anche nelle (poche) democrazie che, proprio per questo, sono sempre meno tali. Lo si capisce dal successo delle costosissime ed inutili iniziative di mitigamento dell’impatto dell’uomo sul clima, piuttosto che dal costosissimo (socialmente parlando) e dannoso processo di liberismo economico (promosso allo stesso modo dell’allarmismo climatico). Due tra gli esempi che discuto nel capitolo. Scelte politiche elitarie finanziate a debito, con ovvie conseguenze per lo Stato sociale, cioè per il démos.

Se, infatti, nei regimi non democratici è l’élite che, per definizione, determina l’azione dei governi in senso antipopolare, in democrazia, sempre per definizione, è la maggioranza che dovrebbe invece imporre la cura degli interessi dei più. Oggi, però, per via dei grandi cambiamenti sociali, economici e tecnologici dai più fraintesi al punto da scambiare l’indubbio progresso tecnico-scientifico (dalla facilità a viaggiare a quella di comunicare) per progresso umano (la costruzione di una società sempre più unita e solidale, dove il lavoro è uno strumento per realizzarsi e non di tirannia), la situazione è così confusa che, senza che i più se ne avvedano, l’élite, condizionando le scelte di politica economica, ambientale e sanitaria, spadroneggia anche nelle democrazie. Un risultato che ha conseguito con un uso accorto dei suoi media per convincere l’opinione pubblica di due cose: in primo luogo che la gestione dell’economia, dei cambiamenti climatici e della salute sarebbero argomenti troppo “tecnici”, “specialistici” e “complessi” per essere sottomessi alla politica; in secondo che i politici sarebbero troppo corrotti se non corruttori per potersene occupare. Una visione ideologica della Realtà che, accettata dai più, ha poi consentito l’ascesa della burocrazia degli organismi sovranazionali formata da tecnocrati che tanti presuppongono politicamente neutrali ma che in realtà, come si evince dai curriculum vitae di molti di loro, sono invece selezionati dall’élite. Una burocrazia che, in quanto non eletta, è inamovibile e politicamente irresponsabile (cioè non è sottomessa al giudizio degli elettori), ciononostante gli è riconosciuto il potere insindacabile di giudicare e condizionare le scelte di governi eletti democraticamente su Stato sociale, investimenti, sanità, ambiente, fiscalità, liberalizzazioni…, con il favore di leader di formazioni politiche nazionali che gli si sottomettono anche quando si dicono “democratiche” perché “fulminati”[2] dalla loro visione tecnocratica della Realtà, ricevendone tutto il loro appoggio. Insieme a quello dell’élite attraverso i suoi media (social e non), naturalmente. Un appoggio che costa: umiliarsi al punto da diventarne gli utili idioti, facendo accettare al proprio disciplinatissimo elettorato politiche antipopolari perché, ad esempio, “ce lo chiede l’Europa”.

Così, però, le scelte di governo non sono più determinate dal basso (dalla maggioranza dell’elettorato) ma dall’alto (dagli “esperti” degli organismi internazionali). Cioè, sempre per definizione, non si è più in democrazia.

FMI, Banca Mondiale, OMS, IPCC, WTO,… insieme ad analoghe organizzazioni regionali (come abbiamo già visto nel post precedente) BCE e, in generale, ogni altra istituzione internazionale o sovranazionale non eletta (praticamente tutte), dall’ONU a scendere, sono così diventate le fondamenta di un vero e proprio Stato multinazionale gestito come un’azienda (multinazionale) da tecnocrati selezionati dall’élite per aiutarla a consolidare il proprio potere ed a generare profitti, sia promuovendo globalizzazione e liberismo e quindi la delocalizzazione delle attività produttive, sia grazie a commesse e finanziamenti statali (armi, vaccini, energie rinnovabili), fregandosene dei costi sociali di tale modo di fare. Personaggi che si illudono di far parte dell’élite perché gli lascia ricoprire incarichi tecnici o di governo anche apicali. Non si rendono, però, conto (o, per non far torto alla loro intelligenza, è meglio supporre che invece lo sanno benissimo?) che per l’élite che ne sfrutta le competenze (e per i loro concittadini e sottoposti) sono solo degli strumenti.

Anno dopo anno, regolamento dopo regolamento, decisione di governo dopo decisione, si va così affermando un regime globale dove il démos non ha voce in capitolo perché non rappresentato. La tecnica che si segue è quella ben nota della rana bollita[3] che, non a caso, è anche il modo di governare dell’UE secondo Jean-Claude Juncker (1954-vivente), dal 2014 al 2019 presidente della Commissione Europea e che da primo ministro e ministro delle finanze del Lussemburgo aveva già rafforzato lo status di paradiso fiscale del granducato:

“Wir beschließen etwas… Decidiamo qualcosa, poi lo mettiamo sul tavolo e vediamo cosa succede”, rivela il Primo Ministro del piccolo Lussemburgo sui trucchi con cui incoraggia i leader dell’UE nella politica europea. “Se non ci sono grandi urla ed insurrezioni, perché la maggior parte di loro non capisce cos’è stato deciso, allora continuiamo, fino al punto di non ritorno.”[4]

Chi “non capisce cos’è stato deciso” siamo noi, sia se si parla di Euro, disciplina fiscale, green pass o di transizione energetica. Che poi è quanto è accaduto con la transizione energetica che ha fatto lievitare le nostre bollette e gli investimenti statali a danno dello Stato sociale senza “grandi urla ed insurrezioni, perché la maggior parte di loro non capisce cos’è stato deciso”. Non sorprende, perciò, che Juncker sia descritto nell’articolo come “ein pfiffiger Kopf un capo intelligente” (una vera investitura, con il senno di poi).

Giorno dopo giorno, si va così affermando un regime non democratico ma oligarchico, specchio dei rapporti di forza in essere tra i démos nazionali e l’unica élite globalista, che delega alle autorità politiche e tecniche nazionali il compito di implementare le decisioni prese centralmente.

Dello Stato multinazionale parlò già Jack London nel 1907:

The great driving force of the oligarchs… la grande forza che guida gli oligarchi è la convinzione di fare ciò che è giusto, senza curarsi delle eccezioni, dell’oppressione o dell’ingiustizia in cui il Tallone di Ferro è stato concepito. Il punto è che la forza dell’Oligarchia oggi risiede nella sua concezione soddisfatta della propria giustizia.[5]

Il protagonista chiama “Tallone di Ferro” l’oligarchia al Governo. Quel “fare ciò che è giusto, senza curarsi delle eccezioni, dell’oppressione o dell’ingiustizia” ricorda tanto i vincoli esterni, le riforme e le regole oggi imposte senza pietà dall’élite ai démos attraverso i fulminati. Così, sostituendo FMI, BCE, Commissione, Troika… piuttosto che Stato multinazionale a “Tallone di Ferro”, London svela le trame che portano al potere anche le oligarchie odierne. Una di queste l’ha divulgata Jovanotti quando ha raccontato a degli studenti universitari della sua partecipazione ad uno degli incontri “segreti” dove l’élite coopta alla sua causa personaggi popolari (cantanti, comici, attori, sportivi, esperti,…) che possono influenzare comportamenti e scelte dei loro fan:

L’altr’anno sono stato invitato ad un summit segr… ehm privato, molto molto esclusivo organizzato in Italia da un’azienda importante del mondo di Internet a cui erano invitate le 80 persone che, secondo loro, erano le più influenti del pianeta per quanto riguarda il futuro. Io ero tra loro forse perché rappresento la cultura pop che guarda al futuro. Non ne posso parlarne liberamente perché era a porte chiuse. Posso però dirvi che a quell’incontro di quattro giorni c’erano premi Nobel, amministratori delegati di grandissime multinazionali farmaceutiche, tecnologiche… c’erano ingegneri, attivisti per i diritti umani, femministe, il più grade skater del mondo (Tony Hawk), surfisti, ma non c’era un politico. Neanche uno. C’era il capo della Banca Mondiale ma non c’erano politici. Io ho chiesto perché e mi hanno risposto: perché non servono, nel senso che qui si decidono le cose e la politica non è importante!

Insomma, oggi le cose non si decidono più a livello politico. La visione non è più politica. È drammatico ma è la realtà: la politica amministra, ma le scelte non le fa più la politica come invece faceva una volta quando era l’unica a decidere. Poi, ad un certo punto, le ha fatte insieme a [n.d.r. esita e non lo dice] e poi non le ha fatte più. Perché la politica cerca il consenso e chi cerca il consenso sbaglia sempre. Se vuoi ottenere la benevolenza di qualcuno devi dargli una gratificazione immediata e la gratificazione immediata è quasi sempre un errore. La visione è della politica mentre la gestione del contingente è del tecnocrate. La politica è la visione del futuro, cioè porsi un obiettivo e stabilire i passi per raggiungerlo. Una cosa che la politica non è più in grado di fare. Grazie al cielo la politica la fanno altri che cercano di realizzare le loro visioni del futuro. C’è tanta gente che ha delle visioni: economisti, amministratori delegati, artisti o chi nel suo piccolo costruisce qualche cosa che influenza altri.[6]

Oggi le cose non si decidono più a livello politico. Grazie al cielo la politica la fanno altri che cercano […] di fare ciò che è giusto, senza curarsi delle eccezioni, dell’oppressione o dell’ingiustizia.” Ovviamente. Ma “giusto” per chi? Questo non è solo cooptare ma indottrinare.

È evidente che l’élite gioca a più livelli: si coordina in incontri di alto livello come quelli di Davos, poi ciascuno per proprio conto coopta surfisti, cantanti e forse anche comici, per influenzarne i fan e, in generale, chiunque abbia parlantina tra cui scelgono i talenti da lanciare in politica.

Riguardo all’esternazione di Jovanotti ci sono due possibilità: o è stato molto incauto o ha fatto il finto tonto per metterci in guardia.

Nel libro faccio diversi esempi concreti di come opera lo Stato multinazionale. Nel prossimo post (l’ultimo di questa serie) parlerò ovviamente di come promuove l’allarmismo climatico per giustificare finanziamenti e commesse pubbliche degli Stati a favore dell’élite per la transizione energetica. Voglio chiudere questo descrivendo sommariamente un esempio che forse sorprenderà perché apparentemente fuori tema ma a mio giudizio emblematico, in quanto consente di capire come, per calcolo economico e/o politico, si può concepire a tavolino un’ideologia e come se ne può pianificare la promozione fino all’affermazione a livello globale: l’allarmismo del sovrappopolamento della Terra che condiziona da mezzo secolo le politiche demografiche dell’Occidente. Tutto parte nel 1969 quando il presidente USA in carica (Nixon) in un messaggio al Congresso fa proprie le conclusioni di una commissione dell’ONU (presieduta da John D. Rockefeller III) che esprimeva preoccupazione per il prevedibile cambiamento dei rapporti di forze tra Occidente (dove la popolazione diminuiva) ed il resto del mondo (dove invece aumentava).[7] Dopo 5 anni, l’allora Segretario di Stato (Kissinger) trasmise a chi di competenza un documento (desegretato dopo vent’anni) che definiva la politica che gli USA avrebbero seguito sul tema da allora, significativamente sottotitolato: Implications of Worldwide Population Growth For U.S. Security and Overseas Interests Impatto della crescita della popolazione mondiale sugli interessi esteri americani.[8] In questo documento (anche noto come Kissinger Report) il governo USA chiede ai suoi apparati, di coordinarsi con quelli dello Stato multinazionale (OMS, Banca Mondiale, UNICEF) e degli alleati nel portare avanti iniziative di riduzione della crescita demografica dei paesi in via di sviluppo. Fra le tante cose scritte nero su bianco, ne ricordo qui 5

  1. L’ammissione che con gli investimenti giusti l’agricoltura è in grado di sostenere la crescita demografica dell’umanità;
  2. L’indicazione di promuovere, tra gli strumenti per il controllo delle nascite, soprattutto l’aborto (nominato tantissime volte nel documento, perché “No country has reduced its population growth without resorting to abortion nessun paese ha mai ridotto la crescita della sua popolazione senza”) ricorrendo alla propaganda (attraverso i media e The establishment at U.N. headquarters… L’istituzione presso l’ONU di un luogo per l’indottrinamento su questioni demografiche di consiglieri e funzionari di alto rango dei Paesi in via di Sviluppo e di leader non governativi con responsabilità analoghe) ed al ricatto economico (International cooperation should give priority… la cooperazione internazionale deve favorire i paesi impegnati a diminuire la loro fertilità) per vincere le remore morali dei più, in patria ed altrove, sull’argomento (vale a dire che promuovere l’aborto era una preoccupazione dell’élite, non un desiderio del démos, neppure quello USA);
  3. Fare in modo che The political leadership… la responsabilità politica delle iniziative di riduzione della fertilità sia assunta per quanto possibile dai leader locali;
  4. Di promuovere l’aborto anche in Occidente, per essere credibili nel chiederlo al resto del mondo;
  5. Di far credere a tutti (ai propri cittadini ed al resto del mondo) che l’intento non è danneggiare i paesi in via di sviluppo[9] ma di voler garantire a tutti una libera pianificazione familiare e che proprio la stabilità o la decrescita demografica sono la chiave del successo economico dell’Occidente (una grandissima balla, visto che nel documento si chiede più volte di indagarne i motivi e nessuno studio ha ancora fornito in modo conclusivo una spiegazione soddisfacente a riguardo).

Se la volpe è Rockefeller (l’élite) nascosto dietro allo steccato dell’ONU e degli USA, chi sono i pulcini? Sono i politici carismatici, leader di partiti marginali, che hanno cavalcato l’onda e così hanno potuto contare sulla sovraesposizione mediatica garantita dai giornali borghesi e godere di finanziamenti pubblici come nessuno, ovviamente.

Per liberarsi dell’allarmismo demografico dopo mezzo secolo di deliberato bombardamento ideologico, a chi, come tutti noi, lo ha subito fin dalla più tenera età, non basta solo riflettere sui dati, bensì gli occorre qualche seduta psicoanalitica per scoprire il primo trauma infantile che gli ha inculcato profondamente nella mente certe idee, superarlo e poi ricominciare con una mente finalmente libera da quei preconcetti. Così, scavando nei ricordi, riaffiorerebbe sicuramente la prima lettura sul sussidiario (il libro di scienze per i più giovani) delle teorie malthusiane (la popolazione cresce più velocemente delle risorse alimentari) la cui scientificità è paragonabile alla mazza da hockey del primo post.

Dopo le riflessioni volutamente provocatorie dei due capoversi precedenti, penso si sia capito dove voglio andare a parare: ripensando al credito che noi stessi siamo abituati a dare all’allarmismo demografico senza probabilmente aver mai verificato se è veramente logico e quindi se il nostro convincimento è intimo o invece lo diamo per scontato a causa del bombardamento ideologico che subiamo da sempre, possiamo intuire il destino che, di questo passo, avranno le ideologie dell’allarmismo climatico, anti-liberista,… con i giovani cresciuti dando per scontato il riscaldamento globale causato dalle emissioni umane, della globalizzazione, delle guerre “preventive” ed “umanitarie”,….

Chiudo con una citazione sempre dal Rapporto Kissinger:

Populations with a high proportion of growth… nelle popolazioni che crescono più rapidamente i giovani sono di più, rendendole più delle altre volatili, instabili, tendenti agli estremismi, all’alienazione ed alla violenza: è facile persuadere i giovani ad attaccare istituzioni governative e le proprietà di aziende e delle multinazionali dopo averli convinti che sono la causa dei loro mali.

Togliendo la tara ideologica della Guerra fredda allora in pieno svolgimento (mi riferisco a quel “è facile [per la nostra controparte ideologica] persuadere i giovani”), questo passaggio spiega perché in Occidente non siamo più soliti “attaccare” governi, aziende e multinazionali per strappare condizioni di vita sempre migliori (orario di lavoro, retribuzioni, pensioni, Stato sociale,…) come facevano i nostri genitori, lasciandoci addirittura maltrattare: non solo invecchiamo anagraficamente, ma in un mondo di vecchi anche i giovani si comportano da vecchi!

 

[1] Accettare l’evidenza (il mondo che vorrei)

[2] Nel §5.13 di Accettare l’evidenza, parlo dei leader e degli intellettuali di “sinistra” che, nati borghesi o imborghesitisi, hanno esplorato la fantomatica “terza via” per cercare un compromesso con il capitalismo. Sono così giunti nel regno del libero mercato e della globalizzazione, abitato dall’élite imprenditoriale e finanziaria che li ha “fulminati”, persuadendoli di essere l’unica forza in grado di costruire una società moderna, facendogli dimenticare le loro radici ideali. Si sono perciò messi al loro servizio diventandone i principali referenti politici, trascinandosi dietro il loro disciplinatissimo elettorato.

Nel resto del libro utilizzo il termine “fulminati” per riferirmi a loro ogni volta che ne ho bisogno.

[3] Boiling frog (17/12/2020)

https://en.wikipedia.org/w/index.php?title=Boiling_frog&oldid=994689685

[4] Koch, 27/12/1999. Koch, Dirk: Die Brüsseler Republik

https://www.spiegel.de/spiegel/print/d-15317086.html (24/1/2021)

[5] London, 1907. London, Jack, The Iron Heel, 1907, Cap. XXI

https://en.wikisource.org/w/index.php?title=The_Iron_Heel&oldid=10353670

[6] Video dell’incontro di Jovanotti con gli studenti dell’università di Firenze (3/6/2015) dal minuto 1:01:00 a 1:08:00

https://www.youtube.com/watch?v=rb_1ego6Ls8  (28/12/2020)

[7] Nixon, 1969. Nixon, Richard: Special Message to the Congress on Problems of Population Growth, population-security.org (18/7/1969)

https://www.population-security.org/09-CH1.html

[8] NSSM, 1974. National Security Study Memorandum – NSSM 200 – Implications of Worldwide Population Growth For U.S. Security and Overseas Interests (THE KISSINGER REPORT) – December 10, 1974

https://pdf.usaid.gov/pdf_docs/PCAAB500.pdf (24/1/2021)

[9] Per la Geografia politica ed economica, il benessere di uno Stato è determinato da due parametri: il controllo del territorio interno (da cui dipende la sicurezza dei cittadini); le fluttuazioni numeriche e di distribuzione geografica della popolazione (da cui dipende lo sviluppo economico: l’aumento della popolazione porta ad un aumento del mercato interno e viceversa, per esempio).

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Published inAttualitàGuest bloggerVoce dei lettori

5 Comments

  1. Purtroppo temo di essere stato frainteso perché ho evidentemente dato troppe cose per sottointese.
    Proverò a puntualizzare brevemente ciò che penso, sperando di non aumentare la confusione.

    La mia critica verso l’élite economica e finanziaria è, in realtà, una critica verso coloro (che hanno nell’élite i loro campioni e) che concepiscono (da *sempre*) l’economia come una grandezza fissa della quale vogliono accaparrarsi il più possibile per puro “piacere” (cap. 11). Persone (e gruppi sociali) criticati già da Aristotele (cap. 12) perché “malati” di crematistica (innaturale), cioè ogni loro sforzo è teso ad accumulare denaro molto al di là di quanto potranno mai aver bisogno, invece di gestire le risorse a disposizione (intellettuali, forza lavoro e naturali) per assicurare una vita agiata a sé, alla famiglia e, in generale, alla comunità di cui sono responsabili, senza sfruttare nessuno. Si pensi solo alla montagna di denaro che giace improduttivo nei paradisi fiscali.

    Il malthusanesimo è un esempio di ideologia che considera l’economia (l’agricoltura nel caso particolare) una grandezza fissa, ignorando che (com’è scritto a chiare lettere anche nel Rapporto Kissinger) con gli investimenti giusti può sostenere tranquillamente qualsiasi crescita demografica.

    Qual è la soluzione? Cambiare il modello di sviluppo. Ispirandosi, ad esempio, agli accordi di Bretton Woods (in essere nel secondo dopoguerra fino ai primi anni settanta e pensati per prevenire il ripetersi di crisi finanziarie come quella del ’29). Una delle sue regole di funzionamento era (semplificando): si esporta per quanto si importa, altrimenti la divisa nazionale è rivalutata con quanto ne consegue per gli scambi commerciali. Cioè, niente mercantilismo. Nei decenni di validità degli accordi, la lira mantenne sempre una perfetta parità con il dollaro mentre il potere di acquisto degli italiani aumentava; in Germania, al contrario, applicavano già la compressione salariale che gli consentiva di esportare sempre di più ed il marco automaticamente si rivalutava.
    Tanto per dire, con le regole di Bretton Woods non ci poteva essere alcuna crisi del debito sovrano greco (uno degli esempi analizzati nel libro) causato dai prestiti alla Grecia delle banche (private) franco-tedesche per finanziare l’export della propria industria nazionale perché, per ogni crauto ed escargot comprato dai greci, tedeschi e francesi dovevano comprare una quantità di feta di pari valore (il discorso è più articolato ma il succo è questo). Dopo la fine di bretton woods si assistette alla monetarizzazione dell’economia con i guasti conseguenti ed oggi la situazione economica mondiale è simile a quella alla vigilia della crisi del ’29.

    Una delle tecniche oggi utilizzate dall’élite per accumulare denaro è indirizzare e spartirsi la spesa pubblica su “problemi” come la lotta al clima che cambia.
    Un altro è il processo di integrazione economica (a volte detto liberismo, ma non lo è) con conseguenze che stiamo sperimentando in questo giorni con la crisi russo-ucraina: all’italia è stato imposto da anni un tetto massimo di terreni coltivabili del 10%. Perché? Chi pensa a male, ma spesso c’azzecca, potrebbe pensare che così ci hanno trasformato in importatori di cereali facendo guadagnare gli intermediari, una situazione venuta alla luce solo perché abbiamo deciso di non importare dagli stati belligeranti e Bulgheria ed Ungheria non esportano più cereali per timore di averne bisogno.
    E non è la prima volta. Una situazione analoga l’abbiamo, infatti, vissuta un paio d’anni fa con la penuria di mascherine all’inizio della pandemia che tedeschi e francesi (gli unici a produrne in Europa) le trattennero per sé. Perché? Con tutti gli ospedali, cliniche, dentisti e quant’altro veramente non conveniva produrre in Italia o, anche in questo caso, ci hanno voluto trasformare in importatori?
    Questi due esempi evidenziano (cap. 11) la differenza nel concepire i processi economici fra élite e démos: l’élite li vuole profittevoli (per sé); il démos li vuole solidali (per non abbandonare nessuno), etici (rispettosi dei lavoratori e dell’ambiente) ed autosufficienti (per essere autonomi e salvaguardarsi da instabilità esterne come le pandemie e le guerre). Oggi l’élite, grazie allo Stato multinazionale gestito da tecnocrati non eletti che li favoriscono, è in vantaggio. Un vantaggio che aumenta sempre più, come dimostra il denaro improduttivo che si accumula continuamente nei paradisi fiscali.
    Spero di aver reso l’idea (ho scritto di getto perché in questo periodo non molto tempo e vi chiedo scusa).

  2. Vincenzo

    Pur trovandomi in sostanziale accordo con i contenuti dell’articolo, in particolare riguardo la fine della politica per come la si intende in senso storico, non capisco il motivo, che fra l’altro vedo parecchio consolidato nel pensiero comune, per cui le teorie malthusiane debbano essere considerate demenziali.
    Premetto di non esserne un sostenitore e di aborrire le previsioni catastrofiste a breve termine di ogni genere, prima fra tutte quella riguardante la ( presunta) crescita esponenziale del livello dei mari per effetto della (altrettanto presunta) deglaciazione delle calotte polari. Tuttavia, il malthusianesimo parte da un presupposto di base incontestabile, incarnato nell’evidenza che un mondo finito, inteso nel senso di non espandibile, non può consentire una crescita infinita nel numero dei suoi occupanti. Con ciò non voglio sostenere la necessità di un controllo delle nascite a livello planetario, né fare previsioni su quale sia il fatidico punto di rottura. Questo nessuno lo sa, potrebbe essere ancora lontanissimo nel tempo così come viceversa essere invece imminente.
    Va da sé che il principio è persino elementare: il pianeta Terra è una grande astronave che vaga nel cosmo con il suo carico di abitanti e risorse. Per quanto queste possano essere rinnovabili, non le si può moltiplicare al punto tale da sostenere una crescita infinita degli occupanti l’astronave Terra. Potremmo pure inventarci di colonizzare il mare inventando, per assurdo, città sottomarine che si sostengono sfruttando le alghe, ma un mondo chiuso e finito rimane tale e non può sostenere una crescita infinita. Questo è il punto. Se poi il malthusianesimo lo si vuole sbertucciare per altri motivi potrei anche essere d’accordo, nel senso che l’ecosistema planetario deve sottostare a tale e tante variabili nel suo corso che risulta pressoché impossibile giungere alla cosiddetta “catastrofe Malthusiana”, vale a dire il punto di rottura fra numero totale della popolazione mondiale e risorse a disposizione. Mi riferisco, analizzando il passato del pianeta e delle stesse vicende umane, ai numerosi “colli di bottiglia” cui è andata incontro la nostra specie nel corso della sua storia, che, si badi bene, non inizia certo con l’avvento dell’Olocene, durante il quale è palese siano comunque avvenute catastrofi che, sia pure con effetto limitato, hanno contribuito a una sostanziale decimazione periodica della popolazione umana. In senso generale, l’ecosistema planetario è soggetto a minacce esterne (collisioni con corpi celesti, tempeste solari e altri fenomeni astronomici di cui conosciamo poco o nulla) così come pure a minacce interne dovute a fenomeni quali il vulcanesimo e i terremoti nonché a possibili pandemie, carestie globali o simili.
    Nessuno è in grado di prevedere o prevenire queste variabili, che tuttavia valgono come il big One californiano o giapponese: non si sa quando arriverà, ma si può essere certi che presto o tardi accadrà

  3. Mario

    Mamma mia, mamma mia. Siamo sommersi dai gomplotti…. mamma mia.

  4. shadok

    E un giorno si scoprirà che anche quelli che credono di costituire la vera casta delle elites in realtà sono inconsapevolmente manovrati dalle “vere elites”: i rettiliani!

  5. Silvio

    Il termine “liberismo”, benché mutuato dall’uso che si è imposto nei mass-media mainstream, risulta equivoco e andrebbe contestualizzato.
    Giustamente, scrivi che vengono varate in continuazione nuove regolamentazioni. Regole imposte dall’alto che riguardano il clima (ma non solo) che limitano le libere scelte di investimento, produzione, consumo, spostamento, informazione etc. Questo nell’accezione classica è l’opposto del “liberismo”, tanto è vero che negli ultimi 20 anni tutti i parametri che misurano le libertà economiche si sono deteriorati, almeno nel mondo occidentale (ed in modo molto più marcato in Italia, dove da tempo la maggior parte del PIL e persino cella capitalizzazione di borsa fa capo alle amministrazioni pubbliche).
    Lo stesso affermarsi del ruolo sempre maggiore di banche centrali e organismi finanziari sovranazionali (ad es. IMF) di nomina politica è contrario alla visione “liberista” dell’economia.
    Del resto, le tendenze in atto erano già state evidenziate dai padri del pensiero “liberista” che rimarcavano come i più determinati oppositori della libera concorrenza fossero ovviamente le imprese private. Tanto più grandi sono le imprese private, tanto più cercheranno di cristallizzare la loro posizione dominante attraverso la regolamentazione burocratica/legislativa e tanto maggiore sarà la loro influenza e la loro connessione diretta con i decisori politici, per ottenere ciò che vogliono. Che è il contrario del liberismo.

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