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Torbiere montane nell’Europa centro-orientale tra 2 e 10 mila anni fa

Le torbiere, nel mondo, sono importanti aree di accumulo di sostanza organica (o di sequestro di carbonio). Tale sostanza organica tende ad accumularsi in quanto le basse temperature, lo stato di saturazione idrica e l’acidità del substrato rallentano l’attività di degradazione da parte dei microorganismi. Secondo l’USDA (il dipartimento americano dell’Agricoltura) perché un suolo possa essere considerato una torbiera la sostanza organica in esso contenuta dev’essere almeno pari al 20% del peso secco totale. Le torbiere sono importanti in paleoclimatologia da quando, nella seconda metà dell’800, Alex Blytt e Rutger Sernander,
analizzando le torbiere danesi, stabilirono una classificazione di massima dei climi dell’Olocene in Europa.
Nelle torbiere montane, l’accumulo di sostanza organica è influenzato in modo determinante dall’erosione dei pendii circostanti che determina la percentuale di sostanza organica rispetto alla massa totale del suolo (comprensiva di sostanza organica e componente minerale). Per questo tipo di torbiere è importante (ma ancora non ben conosciuto) il CAR (Carbon Accumulation Rate) cioè il tasso, nel tempo, con cui la sostanza organica arricchisce la torbiera che, come accennato sopra, è legato al regime pluviometrico delle regioni interessate e alle variazioni di temperatura che determinano il tipo e la  quantità di vegetazione presente sui pendii al di sopra della torbiera.

Un gruppo di ricercatori europei (Longman et al., 2021) ha studiato otto di tali torbiere in paludi tra Serbia e Romania con lo scopo di derivare il CAR di ognuna di esse (in g/cm2/anno) e il CAR medio espresso in z-score, cioè in termini della variabile standardizzata zx=(x-xm)/σx, unico valore possibile, data la grande variabilità di questa grandezza.

Il CAR deriva da operazioni basate sul campo (cubetti da 1 cm3 di materiale) e da pratiche di laboratorio descritte nel paragrafo 2.3 del citato lavoro di Longman e colleghi: è quindi una grandezza derivata, nella quale la propagazione degli errori ha un’importanza non trascurabile.
Le otto torbiere studiate sono riportate nella mappa di figura 1 (da Longman et al., 2021) dove è indicata anche una nona torbiera (Taul Muced, TM) studiata nel 2017 da altri ricercatori, che qui viene usata per confronto, senza dati numerici.

Fig.1: Figura 1 di Longman et al., 2021, con la didascalia originale, dove sono indicate le 8 torbiere più TM.

Come in tutte le operazioni di carotaggio, anche in questo caso è importante (ho raramente sottolineato questo aspetto in passato) la curva di calibrazione tra profondità ed età, lo strumento fondamentale per poter collocare correttamente nel tempo i materiali scavati.

Le singole serie

Gli autori mettono a disposizione i valori numerici del CAR medio (in z-score) e quelli delle otto stazioni; per queste ultime, secondo lo schema di tabella 1 che si ripete per tutte le aree studiate (così, ad esempio, nel sito di supporto, Crveni Potok 6 indica la serie del CAR per la torbiera di Crveni Potok in Serbia).

La sezione inferiore di tabella 1 mostra, per ogni torbiera, la linea iniziale e quella finale del file dati e l’estensione temporale della carota, in migliaia di anni (Kyr).
La terza colonna di ogni file numerico (esempio) contiene la densità della torba; essendo serie temporali è difficile definirle con un solo valore e per questo ho scelto arbitrariamente la densità approssimata più vicina a noi nel tempo o, quando possibile, il valore del fit lineare della serie. Associando questa densità “recente” all’estensione temporale della serie ho ottenuto una relazione, significativa, che mostra come la densità recente (o superficiale) diminuisca con l’estensione, cioè con la profondità dello strato di torba.

Fig.2: densità della torba in funzione dell’estensione temporale (profondità) della carota. I valori numerici sono in questo file.
Fig.3: esempi di serie temporali della densità della torba. Come si vede, non sempre è possibile utilizzate il fit lineare per definire con un solo valore la densità.

Le altre serie disponibili sono il contenuto percentuale di carbonio e quello (in gran parte complementare) dei minerali e poi il CAR.
Come la densità, anche CAR varia molto: il valore finale (recente) delle serie varia tra 0.2 e 320 g/cm2/anno e non sembra essere in relazione con l’estensione delle carote. Per questo, come detto all’inizio, la scelta degli autori di mediare i valori standardizzati sembra l’unica possibile per avere una serie rappresentativa dell’intero gruppo di torbiere.

Fig.4: Serie di z-score medi di CAR e il suo spettroMEM.

L’unica perplessità riguarda gli spettri: le singole serie del tasso di accumulo del carbonio mostrano un’ampia varietà di massimi spettrali (che spesso si ripetono da una serie all’altra) mentre nello spettro della sintesi sono presenti solo i massimi di periodo 1.2 e 2.56 Kyr, cioè una piccola parte di quelli delle singole serie, mostrati in tabella 2.

L’ultima riga della tabella (quella della sintesi, in rosa) evidenzia come nello z-score medio si perdano cinque gruppi di periodi su sette; è vero che la media potrebbe aver eliminato alcune oscillazioni spurie, tipo 4-5, 5-6 o 8-9 Kyr, ma a me questa sembra una perdita eccessiva, anche perché questi ultimi periodi sono quelli di potenza maggiore in ognuna delle serie e perché le differenze nell’estensione non hanno permeso di calcolare, in alcune serie, i periodi maggiori che quindi risultano di minore frequenza rispetto a quelli più brevi (cliccare sul nome per vedere serie e spettro).

Commenti conclusivi

Per alcune stazioni si vede che CAR aumenta (per Zanoaga direi enormemente) negli anni successivi al 1950 (valore zero o negativo BP). Sebbene i fattori che possono contribuire a questo aumento siano numerosi (due per tutti, la natura, la friabilità, del terreno del pendio e l’altezza della timberline, la linea degli alberi al di sopra della quale la vegetazione è più scarsa e gli alberi non sono più presenti), viene in mente facilmente che l’aumento di CO2 abbia contribuito, con il global greening, ad una maggiore produzione di carbonio organico -e quindi di torba. Possiamo parlare, allora, di duplice effetto favorevole: maggiore produzione di sostanza organica e maggiore sequestro di carbonio che si traduce in un feedback negativo. E questo, in un mondo (modellistico) pieno di retroazioni positive, non è un fattore trascurabile.

Bibliografia

  • Jack Longman, Daniel Veres, Vasile Ersek, Aritina Haliuc & Volker Wennrich: Runoff events and related rainfall variability in the Southern Carpathians during the last 2000 years Sci. Rep.9:5334, 2019. https://doi.org/10.1038/s41598-019-41855-1
  • Jack Longman, Daniel Veres, Aritina Haliuc, Walter Finsinger, Vasile Ersek, Daniela Pascal, Tiberiu Sava and Robert Begy: Carbon accumulation rates of Holocene peatlands in central–eastern Europe document the driving role of human impact over the past 4000 years Clim. Past17, 2633-2652, 2021. https:/doi.org/10.5194/cp-17-2633-2021
    Tutti i dati e i grafici sono disponibili nel sito di supporto
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Published inAttualitàClimatologia

7 Comments

  1. Brigante

    Lavoro interessante. Mi permetto qualche considerazione.
    Il chemio-termo-igro-regolatore più efficiente del pianeta è l’oceano, e non l’atmosfera, che contiene componenti chimiche dell’ordine da mille a un milione di volte inferiore alle distese d’acqua che ricoprono il pianeta.

    Il lavoro sulle torbiere può certamente essere un indice di accumulo di C organico, viceversa di aumento della CO2 in atmosfera, ma lo stesso ragionamento si può estendere anche alle barriere coralline che, finché sono vive, crescono a spese della CO2 disciolta in acqua, ma nello stesso tempo ne producono notevoli quantità con la respirazione, allorché i polipi dei coralli sono vivi.

    Quando gli animali muoiono, si interrompe il flusso di CO2 in atmosfera, ma tutta quella che è servita a costruire gli scheletri carbonatici, finisce irrimediabilmente e pressoché definitivamente nei depositi sedimentari oceanici.

    Il paradosso quindi è che con la morte delle barriere coralline, diminuisce la CO2 in atmosfera, un ulteriore feed-back positivo nelle modalità di autoregolazione del pianeta.

    • Concordo completamente con queste considerazioni: il pianeta ha tanti sistemi per “riportare alla ragione” sforamenti dei parametri (climatici ma non solo) tramite feedback negativi (lei ha scritto “positivo” ma il senso del discorso è “negativo”, cioè quello di riportare ad uno stato più stabile il sistema). E certamente quanto succede negli oceani (in questo caso il sequestro di CO2) è di importanza primaria in tutti i processi di
      autoregolazione.
      Le torbiere hanno un impatto molto minore degli oceani in questi processi ma esistono anche loro e hanno avuto notevole importanza per lo sviluppo umano come fonti di energia relativamente facili. Grazie per il suo commento.
      Franco

  2. Gianni

    Uno dei pilastri della teoria dell’effetto serra (di origine antropica) è l’invarianza dell’umidità relativa dell’atmospera. L’umidità relativa è il rapporto tra la quantità di umidità dell’aria e quella necessaria per ottenere la saturazione. Secondo la teoria, più CO2 nell’atmosfera significa temperatura più alta, e con questa un aumento dell’evaporazione, quindi più umidità nell’atmosfera. Ma, sempre secondo la teoria, aumentando la temperatura anche il punto di saturazione aumenta poiché l’atmosfera si dilata e più acqua allo stato di vapore diventa necessaria per saturarla. Aumentando sia il numeratore (umidità dell’aria) sia il denominatore (umidità necessaria per saturare l’atmosfera) il rapporto resta contante. Questo è cio’ che dice la teoria e rappresenta un postulato fondamentale alla base di tutta la narrativa climatoserrista, secondo quanto affermato da uno dei padri della teoria stessa, Raymond Pierrehumbert (https://en.wikipedia.org/wiki/Raymond_Pierrehumbert), per cui se la CO2 fa aumentare la temperatura superficiale, anche il vapore acqueo aumenta per effetto della relazione di Clausius-Clapeyron (ogni °C in più aumenterebbe il vapore acqueo di ~7%).
    Contro ogni attesa, invece, i dati satellitari mostrano che l’umidità relativa è diminuita per diminuzione del numeratore (riduzione del vapor acqueo, come anche indicato nel post di Guidi richiamato da Zavatti): https://www.climate4you.com/ClimateAndClouds.htm.

    Solo questa negazione diretta della teoria avrebbe dovuto chiudere ogni ulteriore discorso sulla lotta ai cambiamenti climatici di origine antropica ma non se ne fa niente: se i dati contraddicono l’ideologia, tanto peggio per i dati.

    Un approfondimento si puo’ trovare qui: http://tropical.atmos.colostate.edu/Includes/Documents/Publications/gray2012.pdf.

  3. Il giorno successivo alla pubblicazione, a seguito di un commento privato di Luigi Mariani, la parte iniziale del post è stata cambiata ed è ora priva di errori, di lettura più scorrevole e meglio documentata. Approfitto dell’occasione per ringraziare l’amico Luigi. Franco

  4. rocco

    una domanda.
    Ci stiamo concentrando sulla CO2, ma esistono dei dati relativi alla variazioni di vapore acqueo nell’atmosfera essendo questo un gas, che come riporta wikipedia ( https://it.wikipedia.org/wiki/Gas_serra#Vapore_acqueo ) è il maggior responsabile dell’effetto serra?
    grazie anticipatamente per la risposta

    • Il vapore acqueo è un potente gas a effetto serra ma, come ad esempio scrivono in questo articolo https://www.mdpi.com/2072-4292/12/8/1307/pdf , viene considerato più una risposta del sistema (feedback) che una forzante (forcing) perché dipende dalla temperatura. Infatti quando aumenta la temperatura, aumenta la disponibilità del vapore acqueo in atmosfera.
      Ho trovato anche questo post del 2016 di Guido Guidi su CM: http://www.climatemonitor.it/?p=40669
      Il sito https://gml.noaa.gov/aftp/data/meteorology/in-situ/ monitora, oltre ai gas serra (che non comprendono il vapore acqueo) anche i dati meteorologici, con una misura dell’umidità relativa, nei file (ad esempio per mlo, cioè Mauna Loa)
      met_mlo_insitu_1_obop_hour_2021.txt (un file per ogni anno). Franco

    • A. de Orleans-B.

      Trovo la domanda di Rocco di grande interesse.

      Presumo che “i modelli abbiano già le risposte”, ma è certamente un tema poco capito da non addetti ai lavori che cercano di farsi un’idea, anche quantitativa, dei fattori in gioco.

      Nel post del 2016 veniva già chiesto “dov’è il vapore mancante”, implicitamente indebolendo la sua caratterizzazione come “feedback” del sistema.

      Mi permetto di suggerire un post di aggiornamento di quel post del 2016, sia per i lettori nuovi che per le eventuali novità scientifiche.

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