Sono trascorsi sette giorni dall’inizio della COP 29 e le prospettive future della Conferenza sembrano sempre più fosche. Nella settimana trascorsa, poche cose sono accadute e tutte mettono in evidenza l’estrema difficoltà che caratterizza le trattative in corso.
Lo sostiene anche il Presidente azero della COP: “lasciatemi dire che sono preoccupato per lo stato dei negoziati. Le parti non si avvicinano a velocità sufficiente. E’ tempo di muoversi più veloci. Do il benvenuto ai ministri che arrivano oggi a Baku. I politici hanno il potere di raggiungere un accordo che sia ambizioso ed equo. Devono impegnarsi immediatamente e costruttivamente“. Questa una sua dichiarazione riportata dall’ANSA.
Procediamo, però, con ordine.
Alla fine della prima settimana di lavoro, normalmente, si tiene la plenaria riservata agli Organismi o Corpi sussidiari (SB). E’ da questa assise che è arrivato un segnale che non lascia ben sperare circa l’esito finale della COP 29. I lavori di molti Organismi sussidiari si sono conclusi con un nulla di fatto, sancito con un rinvio al 2025 degli argomenti su cui non si è raggiunta alcuna intesa. In particolare sono state rinviate a giugno 2025, tradizionale appuntamento intermedio tra due COP consecutive, le trattative relative:
- alla revisione del Comitato per l’adattamento;
- alla revisione del 2024 del Meccanismo internazionale di Varsavia per le perdite e i danni;
- ai collegamenti tra il meccanismo tecnologico e il meccanismo finanziario;
- alla fornitura di supporto per la rendicontazione dei Paesi in via di sviluppo ai sensi sia della Convenzione che dell’Accordo di Parigi.
Particolarmente difficili si stanno rivelando, inoltre, le trattative relative al comparto finanziario che comprendono, tra l’altro, i temi della mitigazione. Si tratta dell’ormai famoso art. 14 dell’Accordo di Parigi. Molto intenso è stato il dibattito sul destino delle discussioni sul programma di lavoro di mitigazione. Come avevo scritto nell’articolo pubblicato in concomitanza con l’apertura dei lavori della COP 29, appariva piuttosto difficile il raggiungimento di un accordo, ma mai mi sarei immaginato che, a metà dei lavori, le Parti non fossero in grado di elaborare un documento che riuscisse a riassumere lo scambio di opinioni durante la prima settimana. L’Organismo di governo dell’Accordo di Parigi continuerà ad affrontare l’argomento nella seconda settimana, ma queste discussioni inizieranno letteralmente da zero: sette giorni di trattative non hanno prodotto praticamente nulla!
Il principale ostacolo che ha impedito una qualche forma di consenso, è rappresentato dalle norme di attuazione del capitolo relativo al cosiddetto Bilancio globale delle emissioni, meglio noto come Global Stocktake (GST), e che costituisce il nucleo fondante del programma di mitigazione, ovvero di riduzione delle emissioni, attraverso l’abbandono dei combustibili fossili.
Durante i lavori di questo Organismo, i Paesi in via di sviluppo (LDC) hanno sottolineato le “conseguenze reali e devastanti” del superamento dell’obiettivo di 1,5°C, tra cui “la perdita di vite umane e la distruzione dei mezzi di sussistenza”. Il Gruppo africano, i Paesi in via di sviluppo con idee simili (LMDC) e il Gruppo arabo, in particolare, hanno accusato i Paesi sviluppati di tentare di imporre un approccio “prescrittivo, dall’alto verso il basso” alla mitigazione.
Detto in altri termini l’Organismo si è spaccato lungo la linea che separa i Paesi del Sud del mondo da quelli del Nord. La contrapposizione geopolitica tra il Sud Globale ed i Paesi sviluppati si è trasferita, più violenta che mai, nelle stanze ovattate della COP 29 ed ha generato il “nulla di fatto”.
Stessa sorte è toccata ai lavori dell’Organismo sussidiario che si è occupato del programma di lavoro per una transizione giusta: nessun testo è stato concordato per la seconda settimana di lavori. L’ultimo testo elaborato conteneva centinaia di parentesi quadre e decine di opzioni, per cui è stato deciso che era meglio nessun testo che quello. Stessa sorte è toccata all’Organo sussidiario che si è occupato del paragrafo 6.2 dell’art. 6 dell’Accordo di Parigi, ovvero del mercato del carbonio non regolamentato.
Quello che ha suscitato maggiore stupore tra gli osservatori è stata l’inversione ad U sul testo del documento relativo al paragrafo 6.4 dell’art. 6 dell’Accordo di Parigi. Sembrava che la COP 29 avesse adottato il testo elaborato dai 24 esperti incaricati di trovare un’intesa dalla COP del 2022, ma ora, sembra, che tutto sia saltato e sono circolate altre bozze di testo. Probabilmente alla fine verrà “trovato” un accordo sul testo dei 24 saggi e lo si adotterà, solo per non chiudere a mani vuote.
Altri Organismi sussidiari hanno avuto sorte leggermente migliore, ma non troppo, mi viene da dire. Essi hanno prodotto qualche simulacro di documento su cui si potrà discutere durante la settimana che si è aperta lunedì.
L’organo sussidiario che si è occupato dell’implementazione del Bilancio Globale delle emissioni ha stilato un documento che è, però, un semplice elenco di punti da discutere.
La bozza che suscita maggiore sgomento è quella elaborata dall’Organo sussidiario incaricato di elaborare i nuovi obbiettivi finanziari delle Parti. Centinaia di parentesi quadre e decine di opzioni stanno ad indicare la mancanza di accordo su singole parole o interi paragrafi. Anche questo era chiaro sin dall’inizio dei lavori.
Gli organi tecnici delle Nazioni Unite hanno stimato l’ammontare dei finanziamenti per far fronte alle perdite ed ai danni dei Paesi in via di sviluppo e le cifre sono da capogiro. Le stime migliori parlando di circa mille miliardi di dollari all’anno, quelle peggiori dei diverse migliaia di miliardi di dollari all’anno. Chi finanzierà un Fondo di tale entità? Secondo i Paesi in via di sviluppo la risposta è chiara: i Paesi sviluppati, ovviamente.
Questi rispondono picche, altrettanto ovviamente e chiedono a gran voce che deve essere ampliata la platea dei Paesi contributori, meglio se donatori. Il pensiero corre subito alla Cina, all’India e, in generale, ai Paesi aderenti al BRICS allargato. Questi si considerano, però, Paesi in via di sviluppo e, quindi, più che nelle vesti di contributori si vedono in quelle di beneficiari.
Nel frattempo vengono stroncate dai Paesi in via di sviluppo, ma anche dalle ONG, dagli esponenti delle Nazioni Unite e dal Papa, tutte le ipotesi che vedono una soluzione al problema nella trasformazione delle donazioni in prestiti: non bisogna aggravare il debito pubblico dei Paesi in via di sviluppo, dicono. Praticamente un dialogo tra sordi.
Per avere un’idea dello stato dei lavori, in generale, un semplice aneddoto. I delegati riuniti nell’Organismo sussidiario incaricato di elaborare la bozza sul genere, hanno suscitato l’indignazione generale, in quanto sono riusciti a mettere tra parentesi addirittura un tema su cui il consenso dovrebbe essere scontato: come affrontare il problema della violenza contro le donne.
Nel frattempo la delegazione argentina è stata ritirata dai lavori della COP 29. I maligni reputano che sia stato il primo effetto dell’elezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti.
In questo quadro desolante gli osservatori prevedono un prolungamento sostanzioso della durata dei lavori, per cui il 22 novembre, giorno in cui era stata fissata la fine dei lavori, quasi sicuramente, la COP 29 non si concluderà.
Breve nota di colore finale: la COP 29 ha ospitato circa 67000 delegati a vario titolo. Non è record, ma ci manca poco. Di questi una quota significativa è rappresentata dagli esponenti dei circa 1700 gruppi di pressione che fanno capo ai produttori di combustibili fossili. Ad essi viene imputata da anni la lentezza con cui procedono i lavori.
Quando smetteranno di fare sta roba?
Eppur non si muove, manco a spingere..
La mia cattiveria maligna mi suggerisce poi che tra le decine di migliaia di delegati compariranno quelli che, compresi nel calderone del “a vario titolo”, ne abbiano approfittato per farsi una bella vacanza.