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COP: clima o finanza globale?

Si è conclusa da qualche settimana la COP29, conference of the Parties, a Baku ove tra i vari temi si sono discusse le richieste economiche che i Paesi ritenuti responsabili dei Cambiamenti Climatici dovrebbero versare ai Paesi poveri del mondo che di questi Cambiamenti Climatici starebbero subendo gli effetti. Le cifre in discussione sono importanti: la richiesta complessiva era di 1300 miliardi di dollari all’anno ma alla fine l’accordo, che sembra aver scontentato tutti, prevede 300 miliardi di dollari all’anno.

In un recente studio è comparsa una valutazione fatta dall’Italian Climate Network di come si tradurrebbe per il nostro Paese la cifra originariamente richiesta di 1300 miliardi di dollari: per l’Italia si valuta un esborso compreso tra i 14,5 e i 22,6 miliardi di dollari l’anno, praticamente una finanziaria!

E’ molto positivo che si facciano queste valutazioni che, ritengo, dovrebbero essere chiarite ed esplicitate all’intera popolazione italiana a cui contestualmente andrebbe chiesto cosa pensa dei sacrifici che sarebbe necessario fare. Poiché i soldi non si stampano dal nulla, per recuperare queste cifre si dovrebbe rinunciare a parti del finanziamento che il Governo dedica annualmente ad altri scopi; ad esempio rinunciare a parte dei finanziamento per la Sanità, o per la Scuola o, senza timore di dirlo, per la Difesa e di questi tempi ciascuno di noi può valutare quanto sia saggio.

E questi sacrifici a quale fine? Per ridurre le emissioni in un mondo in cui negli ultimi 30 anni l’Europa ha già ridotto la propria quota di emissioni passando dal 16% del 1990 al circa 7% attuale, quando il mondo, Cina ed India in primis, le ha aumentate di circa il 70%?

E con quale effetto? Se siamo preoccupati dei disastri naturali è bene ricordare che questi non stanno aumentando e non c’è alcuna base scientifica solida per sostenere che una riduzione delle emissioni porterebbe ad una diminuzione di fenomeni climatici estremi. E’ invece sempre più chiaro che per ridurre l’impatto di questi fenomeni, che ci sono sempre stati e che continueranno ad esserci, converrebbe investire nella cura del territorio piuttosto che nell’installare pannelli fotovoltaici e pale eoliche, certamente utili, ma per altri scopi.

Sta diventando sempre più manifesto il concetto che anni orsono espresse Ottmar Edenhofer, esponente di spicco dell’IPCC quando disse, stupendo un po’ tutti, che la politica climatica non ha quasi più nulla a che fare con la protezione ambientale e che le COP sono oramai dei vertici economici durante i quali viene negoziata la redistribuzione delle risorse mondiali.

Non si intende qui discutere la validità di questa finalità, ma certamente non ha nulla a che vedere coi Cambiamenti Climatici e dovrebbe essere valutata in un contesto squisitamente politico.

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Published inAttualità

7 Comments

  1. Libero

    Investire nella cura del territorio è ciò su cui bisognerebbe accordarsi nelle COP.
    E purtroppo quando si parla di investimenti siamo nel dominio di politica, economia e finanza, per cui sicuramente sarebbe utile esplicitarlo, ma non ci si può stupire della realtà dei fatti.
    Non riesco a trovare il full text del vostro articolo, ma avevo letto a suo tempo la “risposta” di OWID https://ourworldindata.org/disaster-database-limitations per cui sostanzialmente serve un monitoraggio puntuale prima di concludere che i disastri non stiano aumentando. Ci sono novità a riguardo?

    • Gianluca

      Buongiorno,
      la ringrazio per il suo interesse.

      Questo il link all’articolo https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/17477891.2023.2239807
      e qui ove si può eventualmente scaricarne una versione identica https://www.researchgate.net/publication/372963969_Is_the_number_of_global_natural_disasters_increasing

      Riporto quanto scritto da OWD:
      EM-DAT itself strongly recommends that users exclude or are cautious about interpreting trends using pre-2000 data because of this consistency issue. In fact, since September 2023, it has labeled all pre-2000 data as “Historic” to differentiate it from recent records.
      If you look at data from 2000 onwards, there is no clear increase in the number of global disasters.
      To be clear: this does not mean that there is no increase in disasters, especially when looking at specific types of events, or specific locations. To establish clear trends on this, people need to look at more focused academic literature. It may also be the case that other databases do find an increase. It also says nothing about the intensity of disasters.

      But EM-DAT shouldn’t be used as evidence that there has been a four- or five-fold increase in the actual number of disasters globally. While there may be an increase, at least some of this is down to improvements in reporting.

      Aggiungo che:
      – “there is no clear increase”, direi forse meglio che non c’è alcun trend: https://ourworldindata.org/grapher/number-of-natural-disaster-events?time=2001..2023
      -gli “specific types of events” meno adatti ad essere correttamente registrati in EMDAT sono essenzialmente quelli relativi alle ondate di calore e di freddo
      -un indicatore di “disaster intensity” potrebbe essere la mortalità: https://ourworldindata.org/grapher/decadal-average-death-rates-from-natural-disasters?time=2000..latest

      Se è a conoscenza di un database che riporta un aumento dei disastri naturali, per favore me lo segnali.

      Grazie

    • Libero

      Buongiorno, grazie a lei per la risposta.
      Chiariti i limiti di EM-DAT, mi chiedo se non sarebbe metodologicamente più fattibile partire dalla frequenza degli eventi estremi, al netto di fattori come densità di popolazione ed efficacia degli interventi di adattamento e mitigazione dei disastri: l’AR6 dell’IPCC al capitolo 11 indica l’aumento di eventi estremi legati alle temperature come certi, e gli altri come probabili, specialmente in proiezione.
      Ne approfitto per chiederle cosa ne pensa dell’ultimo update di Indicators of Global Climate Change (essd.copernicus.org/articles/16/2625/2024/), non ho trovato menzioni su Climatemonitor.

    • Gianluca

      Buongiorno,
      non è detto che sia più facile o fattibile partire dalla frequenza, o intensità, degli eventi estremi: le serie storiche spesso sono carenti (se non mancanti del tutto), brevi ed inaffidabili.
      In ogni caso può trovare la valutazione sintetica dell’IPCC alla Tab. 12.12 dell’AR6 WGI https://www.ipcc.ch/report/ar6/wg1/downloads/report/IPCC_AR6_WGI_Chapter12.pdf
      Si vede come gli unici eventi estremi di cui oggi si osserva una variazione sono le ondate di calore, in crescita, e quelle di freddo, in diminuzione (a livello sanitario, essendo i decessi per eccesso di freddo circa un ordine di grandezza in più rispetto a quelli per eccesso di calore, questa risulta essere una buona notizia). Per gli altri eventi estremi non ci si attende alcuna variazione entro la fine del secolo se non per “mean precipitation” e per “heavy precipitation and pluvial flood”: faccio notare che tali variazioni sono attese per lo scenario RCP8.5 che non è quello “business as usual” ma quello estremo in quanto le emissioni globali sono da tempo in linea con lo scenario RCP4.5.

      Riguardo agli indicatori, sono convinto che le osservazioni debbano sempre essere alla base di qualunque ragionamento, modello o ipotesi ed ogni lavoro volto a migliorare la raccolta e rappresentazione di dati sia fondamentale.

  2. donato b.

    La domanda insita nel titolo dell’articolo a me sembra retorica. La risposta è, infatti, scontata: finanza globale! La finanza è, infatti, il cuore delle COP. E’ intorno a questo tema che si svolgono le trattative. Nell’ultima COP, per esempio, tutto è stato derubricato (si fa per dire, ovviamente) a finanza. Anche i temi più squisitamente scientifici sono stati inquadrati, discussi e definiti in ambito finanziario.
    .
    Del resto è anche comprensibile. Tanto la mitigazione che l’adattamento hanno ricadute economiche colossali, per cui non si può prescindere dalla considerazione degli aspetti finanziari quando si discute di mantenere “a portata di mano” (meglio sarebbe dire “a portata di portafoglio”) l’obbiettivo di contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C.
    La cosa meno comprensibile di tutto il bailamme che ruota attorno alle COP, è l’atteggiamento dei delegati occidentali: sembrano degli alieni. Blaterano ossessivamente di mantenere obbiettivi ambiziosi, salvo, poi, manovrare per evitare di cacciare soldi. Come se non si rendessero conto che le loro “ambizioni” costano lacrime e sangue.
    .
    Molto più coerente, invece, l’atteggiamento dei Paesi in via di sviluppo: la loro ambizione sono i finanziamenti a fondo perduto e si preoccupano poco di emissioni. Diciamo che usano le emissioni per provocare sensi di colpa nelle opinioni pubbliche occidentali e, quindi, forzare la mano ai negoziatori occidentali.
    .
    Il guaio è che qualcuno dei massimi esponenti del pensiero ambientalista-terzomondista-globalista-ecc. ecc. (Timmermans , per intenderci) non ha esitato, stando ad illazioni giornalistiche di qualche settimana fa, ad utilizzare i fondi europei (ancora di finanza parliamo), per sovvenzionare le lobby verdi, incaricate di promuovere la sua agenda ambientalista presso le opinioni pubbliche europee. Operazioni ben riuscita, ovviamente, viste le norme draconiane in materia energetica che la Commissione Europea ci obbliga a seguire e che ci stanno riducendo in miseria. Come possiamo competere efficacemente sul mercato globale, per esempio, visto che l’energia ci costa circa 5 volte più di quanto costi negli USA? Come vendere le nostre macchine, visto che le norme ci obbligano a rispettare vincoli che solo noi rispettiamo? Come facciamo a competere con nazioni che emettono senza remore, mentre noi siamo costretti a rispettare vincoli che non stanno né in cielo, né in terra?
    Ed in questo sono completamente d’accordo con il prof. Alimonti quando si chiede il fine cui mirano le norme europee, tese a ridurre in modo spropositato (rispetto al resto del mondo) le emissioni. Mania da primi della classe (ma stupidi), mi viene da dire.
    .
    Personalmente sono profondamente convinto che le professioni “ambientaliste” dei nostri decisori politici (europei, essenzialmente) sono solo ed esclusivamente una foglia di fico per coprire le vergogne di politiche (parola grossa) autolesionistiche che stanno riducendo il nostro continente all’irrilevanza economica, industriale, politica e geopolitica. E con Trump al potere sarà sempre peggio, come possiamo vedere già in questi giorni: praticamente ci schifa!
    .
    Considerando il modo in cui Trump sta affrontando Ie questioni sul tappeto e la sua profonda avversione per le politiche verdi, la prossima COP sarà alquanto interessante da seguire. Senza il portafoglio USA di cosa si discuterà, visto che i soldi saranno pochissimi e l’appetito dei Paesi in via di sviluppo è in forte crescita? Ci aspettano tempi interessanti.
    Ciao, Donato.

  3. Andrea D

    Più spesso che no, ogni “buon proposito” alla fine si riduce a mera questione di $.

    In sostanza si dovrebbe parlare di UNFCFA, United Nations Framework Convention on the Finance Affairs.
    Oppure di COF, Conference Of the Finance, in pratica un WEF alternativo di redistribuzione.

    L’unica cosa positiva da dopo il 1990, anzi 1993, è stata l’introduzione dei catalizzatori, che già si usavano negli States dal 1976 (o 1975, infatti all’epoca chi voleva esportare un modello di automobile a benzina negli States doveva in sostanza rivedere completamente tutto l’impianto di alimentazione e aggiungere un catalizzatore) e relativo passaggio generalizzato a sistemi di iniezione gestiti da centralina.

    Perchè ricordo bene da bambino, ma pure fino ai 21 anni che aria tossica terribile respiravo in città, fra diesel carbonella e carburatori perennemente starati (si facevano rivedere solo se l’auto non si avviava più). Ma non parliamo di anidride carbonica, parliamo di CO, benzene, piombo tetraetile, gas incombusti, particolato grosso.
    Ok, oggi siamo a una forma più subdola e micidiale di inquinamento (polveri sottili, NOx) e meno odorosa di gas di scarico malamente combusti o carbonella che tingeva i panni stesi di fuliggine.

    • Brigante

      Aggiungerei le caldaie a gasolio, le centrali termoelettriche a carbone o olio combustibile, ma soprattutto gli inceneritori, oggi imbellettati e rabboniti come termovalorizzatori. Tra le vittime illustri delle crociate anti CO2, c’è però il metano, che non solo non inquina (o lo fa in maniera ridottissima e per lo più indiretta), ma è anche rinnovabile nel senso pieno e chimico della parola! Nemmeno il geotermico viene esplorato come alternativa pulita e rinnovabile… Le grandi lobby puntano ad altro: idrogeno, nucleare, ecc. In alternativa alle peggiori soluzioni green della storia dell’umanità: solare fotovoltaico ed eolico; un misto di speculazione, sfruttamento e mancanza di rispetto per le generazioni future, che si troveranno a smaltire milioni di tonnellate di apparecchiature scarsamente riciclabili e scomponibili, come tra l’altro i miliardi di smartphone, schermi e altre strumentazioni contemporanee e di massa. Ma tutto questo non sarà mai nelle agende di questi signori della terra. Poi qualcuno mi dirà che questo è il migliore dei mondi possibili… e meno male che c’è almeno un Villaggio nel quale discutere in modo divergente! Grazie.

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