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Il Clima delle Alpi, un’Eredità  Scientifica Scomoda

Uberto Crescenti e Luigi Mariani mi hanno usato la gentilezza di vedere in anteprima il loro ultimo lavoro, uno scritto che sarà  pubblicato a marzo sulla rivista Geoitalia della FIST (Federazione Italiana Scienze della Terra). Si tratta di un documento che rende giustizia ad un aspetto della climatologia spesso trascurato e a volte addirittura ignorato in favore di tecniche di studio che certamente rendono tantissimo se riferite all’attualità  ed al passato recente, ma sono molto meno efficaci man mano che l’analisi tenta di ripercorrere la storia del clima a ritroso.

Si tratta delle cronache storiche e dello studio dei mutamenti avvenuti sul territorio, sia nella sua morfologia, che nei segni lasciati dall’opera dell’uomo, mutata e indirizzata nel tempo proprio per fronteggiare climi ostili o trarre vantaggio da quelli favorevoli. In una parola, la simbiosi dell’uomo con il suo ambiente al trascorrere del tempo impiegata come dato di prossimità  per la ricostruzione delle dinamiche del clima. Le coltivazioni, le tecniche di irrigazione, l’alternarsi di diversi generi di vegetazione e così via, tutti fattori che contribuiscono a dipingere un quadro piuttosto chiaro dell’estrema dinamicità del clima che le zone alpine hanno conosciuto nei secoli.

Pilastro di questo studio interessante, è il lavoro di Umberto Monterin Glaciologo e Geomorfologo che pubblicò nel 1937 un lavoro dal titolo “Il clima sulle Alpi ha mutato in epoca storica?” Vi lascio all’introduzione ed alle conclusioni dell’articolo, raccomandandovi la lettura dell’intero lavoro che potete leggere qui.

Gli studi di Umberto Monterin (1937)

Umberto Monterin, insigne glaciologo e geomorfologo, pubblicò nel 1937 un lavoro dal titolo “Il clima sulle Alpi ha mutato in epoca storica? All’epoca era Direttore dei RR. Osservatori di Meteorologia e Geofisica del M.Rosa. I dati riferiti sono ricavati sia da pubblicazioni di altri studiosi sia da proprie ricerche e consentono all’autore di affermare che nel corso del passato millennio si alternarono fasi calde e fasi fredde (la temperature s’eleva e s’abbaise periodicament, Venetz 1833 in Monterin 1937, pag. 3). In particolare risulta ben documentata la fase calda medioevale con temperature addirittura superiori alle attuali, e la piccola era glaciale successiva (Monterin 1937, pag.3: Pochi anni or sono il Kinzl, in un poderoso quanto pregevole studio dedicato allo sviluppo postdauniano dei ghiacciai alpini, ha riassunto e sottoposto ad un ponderato esame critico tutti i vari elementi finora noti al riguardo, venendo alla conclusione che i grandi sviluppi delle masse glaciali del XVII secolo e della prima metà  del secolo scorso furono i maggiori che si siano verificati in epoca storica). Le ricerche di Monterin riguardavano la valle d’Aosta e valli adiacenti e le conclusioni cui pervenne l’Autore si basavano sui seguenti dati certi (non frutto cioè di modellazioni matematiche e/o di estrapolazioni):

  • variazioni del limite superiore del bosco;
  • presenza di una diffusa rete di canali di irrigazione a quote elevate;
  • transito attraverso valichi alpini attualmente impraticabili;
  • estensione dei ghiacciai.

Tali fatti naturali così concordanti fra di loro e tutti egualmente di vasta portata, ci permettono di concludere che il clima sulle Alpi anteriormente alla metà del XVI secolo fu più mite e più secco che nei secoli successivi (Monterin, 1937 pag.42) . Monterin inoltre concludeva attribuendo a cause naturali e non a cause antropiche le variazioni climatiche riscontrate.

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Conclusioni

Le ricerche riferite nella pubblicazione di U. Monterin (1937) condotte con assoluto rigore scientifico, documentano senza alcun equivoco le variazioni climatiche registrate nelle Alpi Piemontesi,sulla base di dati geomorfologici e storici tuttora rilevabili, non affetti da interpretazioni soggettive e nemmeno frutto di modellazioni matematiche. Sono dati certi di cui la scienza del clima dovrebbe a nostro avviso tenere conto e con cui la ricostruzione delle variazioni climatiche durante il trascorso millennio condotte con criteri diversi devono confrontarsi. I dati di U. Monterin confermano le variazioni secolari del clima e documentano la fase calda medioevale, con temperature superiori alle attuali di almeno 1-3°C, e la fase fredda della Piccola Era Glaciale. Le prove riferite portano a conclusioni deltutto diverse rispetto a quelle riassunte nella mazza da hockey di Mann et alii (1998) e portano un contributo a nostro avviso rilevante alla tesi che attribuisce la responsabilità  delle variazioni climatiche non alle attività  antropiche ma alla Natura, tesi che gode di una bibliografia vastissima (Eddy, 1981; Shaviv, 2003; Svensmark, 2007) e che trova largo spazio nel report “LaNatura non l’attività  dell’Uomo governa il clima prodotto da N-IPCC e curato da Fred Singer (2008). C’è infine da sottolineare che durante la fase calda medioevale, in particolare tra il 1100 ed il 1400, pur in presenza di temperature superiori alle attuali di 1-3°C, non si verificarono fenomeni negativi come vaste inondazioni di aree costiere da parte del mare, eventi meteorici estremi, e così via, sempre ipotizzati ed enfatizzati per i prossimi decenni da parte dell’IPCC e invariabilmente ripresi dai mass media. Tali eventi furono invece caratteristici della fase di declino dell’MWP (Lamb,1977) e della PEG (Piccola Era Glaciale) che afflisse l’Europadal 16° al 19° secolo (Giraudi, 2009). Tali dati confermerebbero le considerazioni espresse da Richard Lindzen (2005), il quale sostiene che le fasi calde come la nostra sono anche fasi in cui la frequenza degli eventi estremi si attenua sensibilmente perché si riduce il gradiente termico polo-equatore. Di quanto riferito dovrebbero tenere conto i responsabili di Governo chiamati a decidere in merito al futuro delle politiche poste in essere a seguito del Protocollo di Kyoto. Tali politiche infatti, nel caso in cui fosse appurata la dominanza delle forzanti naturali rispetto a quelle antropiche, si rivelerebbero infatti non solo inutili ma anche dannose in quanto inibitori rispetto a politiche concrete di adattamento alla variabilità  del clima.

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Published inAttualitàClimatologiaNews

8 Comments

  1. Chilin Luigi

    Scusate il ritardo,ma questo articolo lo avevo letto a suo tempo , ora sta facendo delle ricerche a livello personale sui “WALSER”e ritengo che il contenuto del lavoro di Monterin sia sicuramente utile: devo informarvi che cliccando su “leggi qui” il testo de”il clima sulle Alpi ha mutato in epoca storica?”non è più disponibile; vi chiedo se potete aiutarmi a ritrovarlo(anche con riferimenti a biblioteche)
    Grazie in anticipo per ciò che potrete fare e buon lavoro a Climatemonitor
    Luigi Chilin

  2. Daniele Marchis

    Mi ricorda quello che mi raccontava mio padre.
    Durante i lavori e gli scavi per le dighe, la ferrovia a scartamento ridotto, le canalizzazione le centrali elettriche di Malciaussia (1800 mslm) e del lago della Rossa (2600 mslm)in alta Val di Viù in Piemonte all´inizio degli anni trenta, suo padre e suo zio si erano meravigliati di trovare massicci tronchi di larice (stoppe ´d malossu)in perfetto stato di conservazione a quote dove allora ed ancor oggi non crescono che arbusti, cespugli e erbe tipiche delle alte quote.

  3. Luigi Mariani

    Fino a 20 anni fa si parlava più modestamente (ma assai più pragmaticamente) di interventi per contrastare il rischio climatico, rischio che nelle diverse aree del pianeta assume caratteri assai diversi e che si possono così riassumere (a grandissime linee):
    – rischi legati alle basse temperature alle latitudini medio-alte
    – rischi legati ad alte temperature e siccità alle latitudini medio basse.
    – rischi legati alle precipitazioni estreme un pò dappertutto.

    Poichè queste forme di rischio hanno una variabilità interannuale assai accentuata, saggezza vorrebbe che:
    1. si quantificassero in modo adeguato queste forme di rischio nelle diverse aree del pianeta con analisi statistiche stringenti e se ne seguisse la variabilità nel tempo
    2. si impostassero politiche di mitigazione del rischio climatico.

    In particolare il punto 2 significa, per le latitudini medio-basse, una seria politica delle risorse idriche per scopi agricoli e civili.

    Vi sembra che tutto ciò sia fra le priorità?

    Se si tiene conto che nel 2050 saremo in 9.5 miliardi mi sembra che limitando la discussione alla CO2 si stia gettando alle ortiche un’occasione storica. Spero davvero che non ci si debba pentire di ciò in un prossimo futuro.

    Luigi Mariani

    • Duepassi

      Infatti, mi risulta che alcuni acquedotti stiano in condizioni pessime. credo che il problema dell’acqua si possa risolvere con opportuni e tempestivi lavori di manutenzione. Un suolo a terrazze, per esempio, assorbe meglio l’acqua di uno inclinato, dove si rischia che l’acqua scorra via.
      Non vorrei che invece di lavori preventivi, per esempio curando letti dei fiumi e argini, si preferisca attendere l’emergenza di una catastrofe, e i rispettivi stanziamenti, che garantiscono, si, disponibilità notevoli di danaro, ma non restituiscono le vittime alla vita.
      Cioè, invece di una mentalità volta alle emergenze e alle catastrofi (dove circola denaro in grande quantità e facilità), si avesse una mentalità volta a prevenirle, coi mezzi della normale e saggia manutenzione.

      Secondo me.

  4. Duepassi

    Avrei una domanda, e mi scuso per l’ingenuità, avendo la sola attenuante di essere profano di climatologia:
    se fosse vero (come credo anch’io, ma questo non fa testo) che le fasi calde portano a fenomeni estremi meno gravi, dovremmo concludere che le politiche di “mitigazione” sarebbero responsabili di una estremizzazione di tali fenomeni (e quindi di un maggior numero di vittime) ?

    • Per carità, sei andato troppo lontano. Le politiche di mitigazione non hanno ragione di esistere finchè non è chiaro cosa ci sia da mitigare. Il riscaldamento è la traccia, non il problema. Sugli eventi estremi poi, sarei curioso di sapere quanti danni economici e per la salute ha fatto il freddo di questo inverno, così, tanto per capire di cosa stiamo parlando.
      gg

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