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Cicloni Tropicali e Cambiamento Climatico

Non è una parola fine la nuova ricerca pubblicata su Nature Geoscience, ma certamente mette ordine nelle procedure sin qui adottatate per affrontare il tema degli impatti reali o presunti del riscaldamento globale sui fenomeni atmosferici più intensi. Quel che serve per la pianificazione nel mondo reale sono i dati e poi naturalmente le proiezioni. Sin qui abbiamo avuto solo le seconde e con risultati decisamente contraddittori, sebbene il messaggio che si è cercato di far passare sia stato pressoché univoco: in un mondo più caldo avremo a che fare con fenomeni sempre più intensi e distruttivi.

Sappiamo che dal punto di vista puramente empirico questo assunto presenta non pochi elementi di perplessità, giacché se è vero che una maggior quantità di energia termica disponibile può significare più carburante per lo sviluppo degli eventi estremi, è anche vero che le dinamiche della redistribuzione del calore sul pianeta vedono sia sperimentalmente che nelle stesse proiezioni, un riscaldamento maggiore alle alte latitudini, con conseguente diminuzione del differenziale di temperatura che è di fatto il motore dei fenomeni meteorologici.

Ad ogni modo, al di là delle roboanti, inutili e sinceramente ridicole affermazioni di Al Gore e degli strilloni del catastrofismo senza se e senza ma, l’argomento del possibile impatto del riscaldamento globale sull’intensità e sulla frequenza di occorrenza dei Cicloni Tropicali è uno dei topic di tutta la querelle sul clima. In effetti, cosa c’è di più reale della potenza distruttiva di un uragano? Se questi dovessero diventare ancora più violenti o più numerosi il global warming sarebbe definitivamente (e giustamente) sdoganato, in quanto trasposto dall’ambiente virtuale delle simulazioni alla realtà delle vite dei milioni di pesone che popolano le zone costiere o insulari della fascia intertropicale.

Serve dunque da parte della scienza una risposta precisa, e questa arriva con un’operazione a dir poco esemplare che ci piace anche immaginare come l’inizio di un possibile nuovo corso nell’approccio a queste tematiche. Negli anni scorsi, infatti, gli scienziati dei due schieramenti, più qualcuno che in verità non si è mai schierato, come ad esempio Roger Pielke Jr, che riporta una dettagliata analisi di questo studio sul suo blog, si sono dati battaglia a più riprese su questo argomento. Quel che sembrava prevalere, è che non è possibile impiegare i dati sui danni provocati da queste tempeste per valutarne un eventuale trend di lungo periodo, perchè il rumore provocato dall’inurbamento delle zone costiere e le conseguentemente aumentate percentuali di rischio impediscono qualunque altro genere di analisi. Allo stesso tempo è noto che le proiezioni vedano sia un aumento che una diminuzione del numero e della frequenza di questi eventi, ma sembrano concordare nel fatto che gli effetti del global warming dovrebbero vedersi soprattutto nei fenomeni più intensi, per intenderci in questo caso, negli eventi di categoria 4 e 5 della scala di riferimento degli uragani. E questo dovrebbe riguardare anche l’aumento delle precipitazioni nell’area più prossima all’epicentro di questi sistemi.

Questa volta la WMO1 li ha messi tutti insieme, ed essi sono giunti coralmente alla conclusione che sia per quanto riguarda la detection -cioè le osservazioni disponibili nel periodo pre e durante il riscaldamento globale- sia per ciò che concerne l’attribution -ossia le cause che dovrebbero condurre all’individuazione di un segnale di tendenza distinguibile- non è possibile discernere alcun trend, né nella frequenza di occorrenza, né nell’intensità delle tempeste tropicali e dei cicloni tropicali. Semplicemente non è stato individuato alcun segnale separabile dalla normale variabilità di lungo periodo cui questi fenomeni sono soggetti. I più attenti sapranno che questa notizia è tutt’altro che nuova, ma ben venga finalmente un atto ufficiale.

la frase finale è dirimente:

“Attualmente non possiamo attualmente identificare in via definitiva segnali antropogenici nei dati relativi ai cicloni tropicali”

Se ce ne sarà uno e se sarà nella forma cui ormai siamo abituati, attendiamo di vedere questa frase in bella evidenza nel Summary For Policy Makers del prossimo rapporto dell’IPCC, perché tutti, compreso Al Gore, che nel frattempo potrebbe aver perso la voce, ne possano definitivamente prendere atto.

Dicevo poco fa che si tratta a mio modesto parere di un’operazione esemplare, la sintesi di quello che ci si augura sia il futuro del lavoro d’indagine sul funzionamento del clima. Scienziati di diversa estrazione e diverse vedute che lavorano insieme per dirimere il disaccordo che essi stessi avevano generato. Bene, leggiamo tuttavia nell’abstract che le proiezioni di cui sin qui disponiamo -high resolution dynamical models, sic- dicono qualcosa di molto diverso. Dal momento che il riscaldamento globale, sia esso di origini antropiche, naturali o tutte e due le cose, non è iniziato ieri, visto che il trend che ci si attende non c’è o non sappiamo tirarlo fuori, vuol dire semplicemente che le simulazioni sono sbagliate. Sarà mai possibile leggere anche qualcosa del genere sic et simpliciter, o dovremo per forza continuare a leggerlo tra le righe?

NB: Leggi anche su WUWT a questo link .

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  1. World Meteorological Organization []
Published inAttualitàMeteorologiaNews

12 Comments

  1. Guido Botteri

    Cicloni Tropicali e Cambiamento Climatico
    Scritto da Guido Guidi
    il 1 – marzo – 2010
    Non è una parola fine la nuova ricerca pubblicata su Nature Geoscience, ma certamente mette ordine nelle procedure sin qui adottatate per affrontare il tema degli impatti reali o presunti del riscaldamento globale sui fenomeni atmosferici più intensi. Quel che serve per la pianificazione nel mondo reale sono i dati e poi naturalmente le proiezioni. Sin qui abbiamo avuto solo le seconde e con risultati decisamente contraddittori, sebbene il messaggio che si è cercato di far passare sia stato pressoché univoco: in un mondo più caldo avremo a che fare con fenomeni sempre più intensi e distruttivi.

    Sappiamo che dal punto di vista puramente empirico questo assunto presenta non pochi elementi di perplessità, giacché se è vero che una maggior quantità di energia termica disponibile può significare più carburante per lo sviluppo degli eventi estremi, è anche vero che le dinamiche della redistribuzione del calore sul pianeta vedono sia sperimentalmente che nelle stesse proiezioni, un riscaldamento maggiore alle alte latitudini, con conseguente diminuzione del differenziale di temperatura che è di fatto il motore dei fenomeni meteorologici.

    Ad ogni modo, al di là delle roboanti, inutili e sinceramente ridicole affermazioni di Al Gore e degli strilloni del catastrofismo senza se e senza ma, l’argomento del possibile impatto del riscaldamento globale sull’intensità e sulla frequenza di occorrenza dei Cicloni Tropicali è uno dei topic di tutta la querelle sul clima. In effetti, cosa c’è di più reale della potenza distruttiva di un uragano? Se questi dovessero diventare ancora più violenti o più numerosi il global warming sarebbe definitivamente (e giustamente) sdoganato, in quanto trasposto dall’ambiente virtuale delle simulazioni alla realtà delle vite dei milioni di pesone che popolano le zone costiere o insulari della fascia intertropicale.

    Serve dunque da parte della scienza una risposta precisa, e questa arriva con un’operazione a dir poco esemplare che ci piace anche immaginare come l’inizio di un possibile nuovo corso nell’approccio a queste tematiche. Negli anni scorsi, infatti, gli scienziati dei due schieramenti, più qualcuno che in verità non si è mai schierato, come ad esempio Roger Pielke Jr, che riporta una dettagliata analisi di questo studio sul suo blog, si sono dati battaglia a più riprese su questo argomento. Quel che sembrava prevalere, è che non è possibile impiegare i dati sui danni provocati da queste tempeste per valutarne un eventuale trend di lungo periodo, perchè il rumore provocato dall’inurbamento delle zone costiere e le conseguentemente aumentate percentuali di rischio impediscono qualunque altro genere di analisi. Allo stesso tempo è noto che le proiezioni vedano sia un aumento che una diminuzione del numero e della frequenza di questi eventi, ma sembrano concordare nel fatto che gli effetti del global warming dovrebbero vedersi soprattutto nei fenomeni più intensi, per intenderci in questo caso, negli eventi di categoria 4 e 5 della scala di riferimento degli uragani. E questo dovrebbe riguardare anche l’aumento delle precipitazioni nell’area più prossima all’epicentro di questi sistemi.

    Questa volta la WMO1 li ha messi tutti insieme, ed essi sono giunti coralmente alla conclusione che sia per quanto riguarda la detection -cioè le osservazioni disponibili nel periodo pre e durante il riscaldamento globale- sia per ciò che concerne l’attribution -ossia le cause che dovrebbero condurre all’individuazione di un segnale di tendenza distinguibile- non è possibile discernere alcun trend, né nella frequenza di occorrenza, né nell’intensità delle tempeste tropicali e dei cicloni tropicali. Semplicemente non è stato individuato alcun segnale separabile dalla normale variabilità di lungo periodo cui questi fenomeni sono soggetti. I più attenti sapranno che questa notizia è tutt’altro che nuova, ma ben venga finalmente un atto ufficiale.

    la frase finale è dirimente:

    “Attualmente non possiamo attualmente identificare in via definitiva segnali antropogenici nei dati relativi ai cicloni tropicali”

    Se ce ne sarà uno e se sarà nella forma cui ormai siamo abituati, attendiamo di vedere questa frase in bella evidenza nel Summary For Policy Makers del prossimo rapporto dell’IPCC, perché tutti, compreso Al Gore, che nel frattempo potrebbe aver perso la voce, ne possano definitivamente prendere atto.

    Dicevo poco fa che si tratta a mio modesto parere di un’operazione esemplare, la sintesi di quello che ci si augura sia il futuro del lavoro d’indagine sul funzionamento del clima. Scienziati di diversa estrazione e diverse vedute che lavorano insieme per dirimere il disaccordo che essi stessi avevano generato. Bene, leggiamo tuttavia nell’abstract che le proiezioni di cui sin qui disponiamo -high resolution dynamical models, sic- dicono qualcosa di molto diverso. Dal momento che il riscaldamento globale, sia esso di origini antropiche, naturali o tutte e due le cose, non è iniziato ieri, visto che il trend che ci si attende non c’è o non sappiamo tirarlo fuori, vuol dire semplicemente che le simulazioni sono sbagliate. Sarà mai possibile leggere anche qualcosa del genere sic et simpliciter, o dovremo per forza continuare a leggerlo tra le righe?

    NB: Leggi anche su WUWT a questo link .

  2. […] tra attività umane e cambiamenti climatici è sempre più difficile da dimostrare, così come la relazione tra cambiamenti climatici e disastri naturali. Ma vale la pena stare all’erta. A giudicare dai luoghi comuni che circolano anche dalle […]

    • Interessante. Eh, anche qui ce n’è di strada da fare!
      gg

  3. maurino

    secondo il mio parere i cicloni o uragani come si voglia dire hanno + energia se il clima è + freddo e non il contrario, dato che al momento sopratutto le zone fredde del pianeta si sono riscaldate in modo maggiore rispetto ad altre parti e, così andando il divario termico tra equatore e polo è diminuito, di conseguenza anche i contratsti tra le due masse di aria saranno meno marcati, o no???

  4. Duepassi

    Che poi bisognerebbe dire “ditoni” e non “ditone”. Chiedo ancora scusa. In realtà questo succede perché la parola “dito” nasconde un “neutro” che non è più considerato tale in italiano. Per cui al plurale fa “dita”, ma non è un vero “femminile”, tanto che, se ne faccio l’accrescitivo devo dire “un ditone” e non “una ditona”.
    Un errore del genere, in una persona come me non è perdonabile, vado a mangiare, per castigo.

  5. Duepassi

    Chiedo scusa, la “i” e la “o” sono vicine, e intendevo scrivere “difensore” e non “diofensore”, ma, mannaggia a me, ho delle ditone grandi grandi.

  6. Duepassi

    Mi sembra che questa notizia renda giustizia, in parte, e solo nella parte morale (finché qualcuno non decidesse di risarcirlo) a quel Chris Landsea che si dimise dall’IPCC perché proprio queste conclusioni sosteneva in opposizione alle convinzioni di Kevin Trenberth (famoso anche per essere stato tirato in ballo dallo scandalo del Climategate).
    La verità è lenta, ma prima o poi arriva.
    Per questo sono, da sempre, uno strenuo e convinto diofensore della verità.

    Secondo me.

  7. Alessio

    Breve aggiunta:

    “Attualmente non possiamo identificare in via definitiva segnali antropogenici nei dati relativi ai cicloni tropicali”

    che non e’ lo stesso che identificare un trend.
    IPCC AR4,WG1, cap 3, paragrafo 3.8:

    “Tropical cyclones, hurricanes and typhoons exhibit large variability from year to year and limitations in the quality of data compromise evaluations of trends.”

    La confidenza nelle conclusioni e’ un 66% che la frequenza degli eventi NON sia cambiata mentre segnali di aumento di ciclo vitale ed intensita’ appare esserci nei dati dal 1970. Al 66% di confidenza.

    Sui catastrofismi di Gore non mi pronuncio. Preferisco leggere le fonti originali se voglio sapere qualcosa, ma mi rendo conto che le spare grosse e fa piu’ male alla causa che bene. Comunque, a leggere i documenti scientifici, mi pare fosse gia’ detto: il WMO non ha fatto altro che ribadire, alla luce di altri 3anni di dati e avanzamento di conoscenza.

    Saluti,
    A.

    • Alessio,
      se dai uno sguardo alla breve realzione che ho linkato, troverai anche le informazioni di cui hai parlato tu. Resta il fatto che l’uomo più potente del mondo dica e pensi che “assisteremo a tempeste sempre più violente”. Chi glielo ha detto? Io nel post ho scritto “al di là delle roboanti, inutili e sinceramente ridicole affermazioni di Al Gore e degli strilloni del catastrofismo…” forse sbagliando. Il problema non è al di là, è al di qua. Perchè la scienza dirà pure quello che diciamo noi, ma chi decide non la segue, preferisce andar dietro ad altro evidentemente. E questo la scienza deve farlo notare, invece di adeguarsi.
      gg

  8. Speriamo sia davvero la volta buona. E’ una questione sicuramente importante, e nell’ultimo decennio si è assistito a voci sparse che, timidamente, hanno provato a far notare la mancanza di trend reali. Voci timide che ovviamente sono andate perse nel caos da mercato che tutti conosciamo.

    CG

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