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Una Direttiva Tira L’altra

Ci sono alcuni aspetti delle cosiddette misure di mitigazione che nessuno tira in ballo volentieri, ma che di fatto tirano la volata a tutto il movimento dell’eco-business. Uno di questi è senz’altro rappresentato dai biocarburanti, o, se preferite, vegetali per autotrazione. I trasporti, si sa, incidono parecchio sul bilancio delle emissioni, per cui è logico che si pensi a cosa fare per limitare l’impiego dei combustibili fossili in questo settore. Anche in questo caso però, come accade per la generazione di energia, i provvedimenti sembrano essere studiati a tavolino per rendere quattrini piuttosto che per funzionare.

Per quel che riguarda i biocarburanti poi, l’ipocrisia arriva alle stelle, perché si pensa di avere la coscienza ambientale mondata dal peccato dell’uso degli idrocarburi, semplicemente importando quantità enormi di materia prima bio dall’estero, senza prestare troppa attenzione alle modalità con cui essa viene prodotta, alle risorse idriche impiegate, alla variazione di destinazione d’uso del suolo etc etc. E questo solo perché, ovviamente, ciò succede altrove, tingendo di verde tanto le anime, quanto le tasche di chi nell’eco-business ci sguazza allegramente.

Gli standard richiederebbero che fosse rispettata una semplice proporzione: ogni litro di biocarburante impiegato deve consentire una riduzione del 35% delle emissioni che sarebbero necessarie impiegando una pari quantità di combustibile fossile. Sorpresa, la maggior parte dei vegetali impiegati per produrre questo magico rimedio per il global warming non rispetta gli standard. Il più sporco -è il caso di dirlo- dei carburanti puliti, l’olio di palma, è responsabile dell’incremento del 31% delle emissioni in ragione della quantità di emissioni rilasciate quando vengono bruciate le foreste per far spazio alle piantagioni. Se poi nel conto ci si mette anche che una palma non è esattamente una sequoia il disastro è assicurato. Così come è assicurato il guadagno di chi vorrebbe che queste cose non si sapessero in giro.

La Comunità Europea sostiene il mercato dei biocarburanti con “appena” 3 mld di Euro l’anno, ma la cosiddetta “variazione indiretta dell’uso del suolo” non entra nel bilancio dell’acquisizione degli standard. Già, perché se così fosse, il mercato europeo dei biocarburanti andrebbe a pallino, e con lui le ambizioni del 20-20-20. Sicché che si fa? Semplice, si allungano le palme progettando una bella direttiva che stabilirà che le piantagioni di palma hanno lo stesso status delle foreste naturali. Il tutto con riga e squadretta alla mano: dovrà trattarsi di un’area forestale continuativa, ovvero di un territorio in cui gli alberi raggiungono almeno 5 mt di altezza e con il loro fogliame coprono almeno il 30% del terreno.

Qualcuno ha calcolato che per pareggiare i conti delle emissioni prodotte bruciando una foresta per piantare palmizi occorrono la bellezza di 840 anni, e che l’Indonesia, grazie all’esplosione di questo mercato, è diventata il terzo emettitore del mondo, dopo Cina e Stati Uniti. Complimenti alle menti geniali che hanno disegnato questa strategia.

Leggete qui, sul Times on line e sul blog di Piero Vietti.

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Published inAmbienteAttualitàNews

3 Comments

  1. gbettanini

    Le colture a scopo energetico quando sono fatte nei paesi industrializzati e quindi in coltivazioni ad alta meccanizzazione e alto consumo di energia (per arare, seminare, fertilizzare, irrigare, raccogliere, trattare i prodotti e trasformarli in biocombustibile)sono energeticamente in perdita o sono molto vicine al pareggio.
    In Brasile con la canna da zucchero ed in Indonesia con la palma abbiamo invece un esempio di colture che sono energeticamente in attivo, ma questo perchè si può utilizzare una manodopera di disperati in quasi schiavitù.
    Per ora, a mio parere, sui biocombustibili si può mettere una bella pietra sopra, le cose potranno cambiare se tra una decina d’anni si potrà produrre combustibile economico con le microalghe. Le prospettive sono ottime ma per ora un kg di biocombustibile da alghe costa circa 10€. Ma anche i nuovi enzimi allo studio per produrre etanolo dagli scarti vegetali potrebbero cambiare le cose.

  2. Angelo

    Oltre alle logiche “perverse” da te ben delineate, ne vedo altre molto pericolose.
    I prossimi anni, e già ora in buona parte, saranno quelli dell'”eco-marketing”.
    Es.: ci faranno comprare bici elettriche all’idrogeno o con batterie al litio ecc… convinti di salvare l’ambiente, ma l’unica vera bici ecologica è quella a pedali.
    In questo sito hanno sviluppato un prodotto sicuramente molto valido che sembra risolvere il problema dei trasporti:
    http://www.actaenergy.it/prodotti.asp?pag=perche_idrogeno
    e parlano dell’idrogeno in questa maniera:

    “L’idrogeno rappresenta la fonte di energia più semplice, pulita ed economica disponibile in natura: l’utilizzo dell’idrogeno non genera CO2 e polveri sottili, ma vapore acqueo.”

    Senza togliere nulla alla loro tecnologia che magari avrà applicazioni “rivoluzionarie” nello stoccaggio di energia elettrica (bisognerà vedere il rendimento che ho l’impressione essere ancora troppo basso) deve essere ribadito che l’idrogeno non è una fonte di energia, ma solo un vettore energetico. Non è disponibile naturalmente ma solo generandolo dall’acqua con energia elettrica.

    Con il senso di colpa generato dall’ecoterrorismo, faremo altre cavolate ancora peggiori. Pazienza! Non sono molto ottimista.

    Chiudo dicendo questo, perdonatemi l’ardire!
    Speriamo che i meccanismi climatici siano in grado di autoregolarsi salvandoci dall’AGW, perché se dovessimo contare sulle scelte della nostra politica…BUONANOTTE!

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