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Il Giardino Pantesco – Un’Altra Dimensione del Clima

Nei tempi dei modelli globali, delle politiche economiche mondiali, dei ‘sappiamo già tutto’, ci troviamo talvolta sorpresi della nostra ignoranza, specie se paragonata alla sapiente comprensione dei fenomeni naturali degli antichi.

L’occasione, molto ghiotta per un fisico dell’atmosfera, per comprendere qualcosa di un microclima speciale era quella di partecipare allo studio del ‘giardino pantesco’.

I colleghi del Dipartimento di Colture Arboree dell’Università di Palermo, e quelli dell’Istituto di Biometeorologia del CNR di Bologna, decidevano di condurre un esperimento di lungo periodo per riuscire a caratterizzare in modo dettagliato l’intera evoluzione annuale del clima che si viene a formate all’interno di uno di quegli elementi architettonici, tipici dell’isola di Pantelleria insieme a dammusi e muretti a secco, che vengono appunto chiamati giardini e, pur nella grande varietà di forme e dimensioni ritrovabili per tutta l’isola, possono essere schematicamente descritti come: una costruzione in pietra a pianta circolare con diametro di qualche metro e altezza intono a tre metri così da proteggere un albero posto al proprio interno. Sì, perché l’obiettivo principale che fa nascere questo giardino è proprio quello di proteggere un prezioso albero da frutto.

Questa splendida isola, il cui visitare e scoprire è un imperativo assoluto per gli amanti della natura e del paesaggio, è caratterizzata da una origine vulcanica, da suoli rocciosi, e dalla quasi completa assenza di fonti d’acqua dolce. La sua posizione centrale, nel bacino mediterraneo, comporta estati contraddistinte da elevate temperature, da piogge scarse, e venti impetuosi. Ma proprio per questa centralità geografica, storica e culturale, nel Mediterraneo, è sempre stata permanentemente abitata: da qui la necessità a sviluppare una agricoltura autonoma, nonostante le forti limitazioni meteo-climatiche.

Idonea quindi ad ospitare colture a poca richiesta d’acqua quali: cappero, olivo e vite. Già ad una prima occhiata offre l’immagine della capacità di adattamento dell’uomo, ma anche della antica sapienza nel fare attecchire ciò che serve, attraverso un uso sapiente del suolo e delle tecniche agricole. La vite, ad alberello, posta in una conca atta a raccogliere il massimo possibile di acqua piovana, ed a proteggere gli acini dolci dello zibibbo. Olivi che sembrano essere nati sdraiati sul terreno. E i capperi incredibili, che agli occhi di un profano sembrano essere usciti da un racconto di fantascienza.

Ma, come si dice, non si vive di solo capperi! E quindi la necessità di avere con sé anche una pregiata pianta da frutto: l’albero di agrumi. Però aranci, limoni, cedri, mandarini richiedono acqua. Come conservare allora quell’umidità vuoi caduta dal cielo, vuoi formatasi dalla condensazione notturna? Qui nasce il giardino. Questo muro di roccia nera spezza il flusso del vento, ne abbatte intensità anche oltre le proprie pietre, ne conserva solo un debole respiro intorno al corpo della preziosa pianta, per garantire gli scambi vitali, un respiro che quasi la accarezza.

E la pietra, possente allo sguardo, invero nasconde un labirinto di pertugi, nei quali le deposizioni notturne lasciano piccole conche di acqua dolce che, equilibrandosi con quella del suolo rimarranno disponibili per attenuare la sete di questo piccolo angolo di Terra, un piccolo pezzo di vita. Di giorno quelle stesse mura che proteggono dai venti del mare riparano anche dai raggi di questo incredibile sole mediterraneo, che sembra frangere insieme alle onde. Dentro al giardino è trovarsi in un altro mondo: e sembra quasi che anche i giardini nell’isola siano stati posti per creare un percorso nei quali loro fungano da luoghi di posta, o da riposo tra le fatiche dei campi, dove staccare un succoso frutto dall’albero e neppure morderlo, ma per spremerlo sul viso e riacquistare le energie abbandonate chini tra quei muretti a secco.

Siamo qui per misurare, siamo qui per rompere questa simmetria naturale, e creare una nuova tessitura di pali in acciaio, cavi colorati, curiose merlature del mondo che noi chiamiamo sensori. Scaviamo, tagliamo, spezziamo: entriamo nell’essenza di questo luogo, e siamo dei piccoli vandali alle porte della città sacra. Poi, piantate le nostre cose, ci atteggiamo a medici e incominciamo a tastare il polso di un paziente troppo in salute per convincersi, per convincerci.

E qui nasce anche una piccola leggenda, uno scherzo tra colleghi. Abbiamo violato il genius loci e su di noi ricadrà la maledizione. Siamo persone di scienza e ridiamo allegramente di queste cose! Dopo una serie di incredibili stranezze che affliggono una strumentazione complessa, ma iper-testata, qualche dubbio ci assale. Ma poi la scienza riprende il sopravvento, e: misure di umidità del suolo, di temperatura del muro, di velocità del vento, temperatura e umidità dell’aria, di bilancio di radiazione, di tutto quello che si può misurare riprendono a funzionare. Tra un annetto avremo un solido data-base per interpretare, molto scientificamente, quello che nel passato era così chiaro.

Salutiamo con un ultimo bicchiere di Ben Ryè il dott. Giacomo Rallo fondatore dell’azienda vitivinicola Donna Fugata che ha donato al Fondo Ambiente Italiano il giardino pantesco che è oggetto delle nostre misure.

Ma cosa volete farci, l’isola si è affezionata a noi, e ci permette di lasciarla solo dopo tre giorni rispetto al nostro piano di volo. E’ novembre avanzato e un vento traverso alla pista impedisce qualunque atterraggio. Ormai è nostra consuetudine andare all’aeroporto a vedere il diuturno tentativo aereo. Con occhio esperto guardiamo l’oscillare degli alberi, il rumore del motore che stacca per accingersi ad appontare in questa verde portaerei: poi, le raffiche e il rombo del motore che cresce a segnalarci che per qualche altra ora andremo in giro per scoprire nuovi luoghi.

Il terzo giorno il motore non riattacca, e l’aereo si adagia dolcemente sulla pista. Saliamo e decolliamo a tutta spinta: ma alla prima virata mi giro a guardare Pantelleria e la lascio con la strana sensazione che mi stia salutando. Curiosa sensazione. Altrettanto curioso è vedere che alcuni colleghi stanno scuotendo la mano in segno di saluto all’indirizzo dell’isola. I giardini continueranno a funzionare anche senza di noi.

Mi addormento nel breve volo e sogno il riscaldamento globale, i modelli… Mi svegliano i colleghi in prossimità di Punta Raisi perché stiamo atterrando, e perché stavo ridendo nel sonno.

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Published inAttualitàClimatologiaNews

2 Comments

  1. Silvia Ferrandes

    <>

    Descrizione di un Giardino Pantesco
    Silvia F.

    –> Il Giardino Pantesco: simbolo del rapporto sacro tra l’uomo e la natura <–

  2. Tore Cocco

    Il giardino Pantesco mi ricorda un’altra “tecnologia” dell’antichità, i “pozzi di rugiada”; venivano chiamate cosi tutte le costruzioni atte a far condensare l’umidità atmosferica e convogliarla verso precisi usi. Gli archeologi hanno trovato pozzi di rugiada in costruzioni vecchie di millenni, alcuni piccoli per usi limitati, altri che ricoprivano vasti territori o intere colline, ideati per alimentare intere cittadine anche in assenza di piogge.
    Il principio del pozzo di rugiada è semplice, strutture rocciose, con delle cavità che permettono al vapore di entrare, ma sono al riparo dal calore solare diurno, e dal vento che disperderebbe la condensa; e cosi proprio durante il giorno mentre l’aria esterna si scalda le rocce rimangono fresche e consentono al vapore di condensare. Tutto qui, erano ingegnosi gli antichi.
    Da piccolo vedevo il fenomeno nei cumuli di ghiaia, e notavo che se si prendeva una pala e si toglieva lo strato superficiale di pietre, le pietre all’interno erano sempre bagnate, e la cosa mi stupiva perchè non pioveva magari da settimane. Nei giorni piu umidi poteva accadere che un piccola pozzanchera si formasse alla base dei cumuli piu grossi. Fenomeni semplici ed affascinanti.

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