Salta al contenuto

La termodinamica ed il clima

Qualche giorno fa è apparso un articolo a firma di Marco Pivato sul quotidiano “La Stampa” nel quale si raccoglievano le impressioni di Teodoro Georgiadis, ricercatore dell’IBIMET-CNR di Bologna. Dopo una prima fase professionale dedicata alla pollution, Georgiadis si occupa principalmente di micrometeorologia e microclimatologia, con specifico riferimento ai bilanci energetici e radiativi. Recentemente ha iniziato ad occuparsi anche della microclimatologia urbana e della mitigazione dell’isola di calore mediante l’utilizzo della vegetazione. L’articolo si inserisce in un filone di interventi che, negli ultimi tempi, stanno portando alla luce alcune opinioni non proprio conformi alla teoria del riscaldamento globale di origine antropica. Come era normale che accadesse il pezzo ha suscitato qualche polemica, anche per il taglio di inevitabile stampo giornalistico che l’autore ha saputo dargli. In tutti i campi dello scibile umano sembra ormai necessario individuare posizioni contrapposte che si danno battaglia e, naturalmente, gli argomenti inerenti allo studio del clima non fanno eccezione.

Una parte della responsabilità è probabilmente ascrivibile all’incapacità di una parte degli esperti di questo o quel settore di fare una corretta comunicazione scientifica, vuoi per la complessità degli argomenti trattati, vuoi per l’assenza a volte – peccato gravissimo per il genere di informazione cui siamo abituati – di elementi che più che informare eccitino gli animi. In questo caso particolare l’eresia sarebbe nell’aver sollevato qualche dubbio sull’attendibilità delle simulazioni climatiche su cui poggia la teoria del riscaldamento globale di origine antropica. Ad ogni modo, pur non essendo questo il caso ho chiesto a Teodoro di far seguire un approfondimento al pezzo in questione sulle pagine di Climate Monitor. Ve lo propongo nella sua interezza, un intervento totalmente condivisibile, del quale ringrazio sentitamente l’amico Teodoro.

 SULLA TERMODINAMICA E IL CLIMA

di Teodoro Georgiadis

Sono stato invitato a proporre alcuni approfondimenti relativi all’articolo di Marco Pivato apparso nella rubrica Tutto Scienze de La Stampa del 21 gennaio.

Partendo da un mio contributo sull’Almanacco della Scienza del CNR1 relativo alla notizia dell’aumento dei ghiacci artici, il gradevolissimo colloquio con Marco Pivato ha preso le mosse da una domanda che riguardava la nostra attuale capacita’ nel determinare quella che viene definita la temperatura media del pianeta. In questo approfondimento documentale, che non era possible ovviamente inserire nell’intervista stessa, mi permetto pero’ di prendere la liberta’ di romanzare un po’ l’intervista, che non sara’ quindi strettamente aderente alla realta’, ma che mi mette in condizione di dare una sequenza logica ad alcune mie considerazioni su questi aspetti del problema climatico.

Con Pivato mi scuso per farlo diventare il primo caso di un giornalista che non si riconosce nella propria intervista, ma poi credo non piu’ tanto.  

Il giornalista mi chiama e chiede, avendo letto un mio scritto, se puo’ farmi qualche domanda sul problema climatico: non solo normalmente non hai obiezioni, ma ti fa anche piacere essere chiamato, confessalo.

Alla prima domanda dico “gia’ una domanda difficile!”.

Se la domanda fosse “come determinare la temperatura media della pentola dei miei tortellini?”, con un po’ difficolta’, tra insulti vari perche’ faccio scuocere un oggetto religioso come i tortellini in quel di Bologna, penso che alla fine una risposta ragionevole la avrei. Cosa posso dire su “Cosa sappiamo della temperatura media globale”? E guarda che tutti ne parlano con una tranquillita’ mostruosa; una vecchia battuta dice “se in un autobus tutti si fanno prendere dal panico, ma tu mantieni una calma assoluta, forse sei tu a non avere capito cosa sta succedendo”, e io mi sento un po’ cosi’ quando ho questi dubbi, specie in presenza di tante certezze. Poi, mi guardo intorno e vedo che non sono solo nell’universo: scopro che un grande numero di altre persone hanno lo stesso tipo di perplessita’ e incominciano ad andare a vedere se veramente abbiamo a disposizione quella base di dati omogenea, calibrata, che ci permette di dare una risposta senza ombra di dubbio alla domanda.

Gli americani, sempre pragmatici, hanno la incredibile capacita’ di mobilitare “il popolo” per le risposte ai problemi importanti della nazione (dimostrando che non si pongono mai la domanda di quello che la nazione puo’ fare per loro, ma di quello che loro…e capisci anche perche’ hanno avuto l’epopea del west) e incominciano, su base volontaria legata alle attivita’ degli amatori della meteorologia, a creare un data-base per fare una prima classificazione della bonta’ delle loro stazioni di misura, e i risultati tutti pubblicati con tanto di fotografie su un sito2. E’ impressionante vedere come cerchiamo di interpretare il mondo sulla base dei dati disponibili: qualche centralina la si potrebbe chiamare BBQ-Station a causa del quasi-diretto contatto con il barbeque del giardino (stiamo parlando di centraline ufficiali per lo studio della meteorologia e qualcuna per lo studio della climatologia). Come partenza non c’e’ male, un grazie agli appassionati di meteorologia di tutto il mondo per il loro contributo alla conoscenza.

Per il momento facciamo finta di nulla e supponiamo che gli errori introdotti da queste casistiche siano bassi, e non vadano ad inficiare pesantemente i risultati, e becchiamoci la seconda domanda che suona all’incirca “ma una volta che abbiamo la temperatura siamo allora in grado di capire che il clima…?” e la domanda non e’ ancora finita che gia’ sei li’ a cercare sulla tua scrivania quell’articolo di Roger… Roger Pielke Sr., quello di RAMS: vallo a scrivere “quello di RAMS” tradotto per i non specialisti. Quanti saranno i centri meteorologici nel mondo che usano RAMS? OK rispondere a questa domanda e’ dare un po’ un’ idea della statura dello scienziato. Roger Pielke Sr. (e perche’ mi porto dietro questo Sr. diventera’ piu’ chiaro avanti) appartiene alla categoria dei dubbiosi e pochissimo tempo fa (2007), dalle pagine del prestigioso Journal of Geophysical Research ha scritto, insieme ad altri coautori, un illuminante articolo proprio sulle questioni non risolte della misura della temperatura3, premettendo che utilizzare la sola temperatura come paradigma per la comprensione del clima e’ fuorviante. Cosa ci dice Pilke Sr.? Ci dice che i comparti climatici relativi all’aria, all’atmosfera, all’oceano, alla vita,  sono accoppiati tramite una vastita’ di processi che hanno una loro riduzione a fattor comune nella comprensione di come, compiutamente, l’energia si trasformi attraverso i flussi di calore e come un ruolo determinante venga giocato dall’acqua in tutte le sue forme. Pielke Sr. ci ricorda questo fatto perche’ troppo spesso tendiamo a tracciare una facile equazione che, passando per la CO2, attraversa la temperatura e “determina” il clima. L’articolo va letto anche perche’ ci insinua un altro dubbio legittimo, relativo al famoso problema dell’omogeneizzazione delle serie temporali: problema importante che viene, diciamo, addentato da quel mastino della fisica dell’atmosfera che e’ Pielke, e che ci costringe a ripensare a moltissime cose (forse pero’ e’ meglio rimandare ad un altro momento la discussione di questa piccola “chicca” della ricerca).

Sono solo alla seconda domanda, e non riesco a togliermi dalla testa la partitura di ‘running on ice’ di Billy Joel, che il giornalista mi chiede “ma i modelli tengono conto di tutte queste cose?”. Domanda pericolosa per me! Gia’ i colleghi mi dicono di essere un antimodellista, qualunque cosa vado a dire potrebbe…

In effetti, non voglio dare l’idea che esistano due squadre: sperimentali e modellisti che tutti i giorni giocano l’una contro l’altra. Non solo il contribuente non sarebbe contento, ma non e’ neppure vero. Il problema e’ che i modelli funzionano al meglio secondo il peggior dato che hai inserito e la peggior parametrizzazione che hai trovato: il modello da solo non e’ capace di migliorarsi (almeno, non fino ad ora). Tutte le volte che dico queste cose i modellisti, lancia in resta, mi chiedono come faccio a parlar male di loro che stanno inserendo nubi-albedo-citta’-biotico-caos-ecc-ecc-… ma lo so, lo so: solo e’ che vorrei sapere cosa stanno inserendo visto che gli sperimentali fanno una vitaccia terribile ad avere i fondi per effettuare misure.

C’e’ un argomento chiave che fa dubitare delle performance  dei modelli: il ciclo dell’acqua. Nubi, precipitazioni, e cambiamenti di fase a piacere, siamo ancora all’inizio degli studi. “The science is stated!” e’ diventato il motto cinematografico alla Al Gore, a tortellini cotti direi “a jo cape’ incosa!”4  ho capito tutto! Ma siamo cosi’ sicuri? Spesso mi trovo in mensa con il collega, ma soprattutto amico, Vincenzo Levizzani, Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR, una vita spesa a studiare le precipitazioni da satellite, il quale mi racconta proprio del nuovo report del WMO (Maggio 2008), di cui e’ curatore insieme con Arnold Gruber, e che ha il significativo titolo di “Assessment of global precipitation products”5.

 

Questo progetto fa parte di GEWEX (Global Energy and Water Cycle Experiment). Il rapporto prende in considerazione poco meno di un trentennio di dati da satellite: e’ lo stesso Vincenzo a indicarmi una pagina, la 23, e dirmi di guardare la fig.3.5. Questa figura porta una notizia che difficilmente diventera’ giornalistica, perche’ e’ difficile da rappresentare nel flash dei 15 secondi che ti vengono assegnati. In questa pagina pero’ possiamo soffermarci a pensare: bene, quella figura ci dice che le incertezze della misura hanno la stessa ampiezza della stima. Le conclusioni semplicemente stabiliscono che abbiamo troppo pochi dati per trarre delle stime di trend significativi. Cape’ incosa?  Ce n’e’ ancora da sbadilare! E stiamo parlando del ciclo dell’acqua non di brustolini! Il ciclo dell’acqua e’ sicuramente ‘primus inter pares” tra gli elementi che compongono il sistema climatico. Se non lo conosciamo siamo rimandati a settembre, altro che previsioni.

In quel momento il giornalista mi richiama all’attenzione dicendo che sta facendo un po’ di caos con le informazioni che gli sto spiattellando a raffica, ma purtroppo quella parola “caos” ormai l’ha detta, e mi scatta un altro interruttore: Luigi Mariani, agro-climatologo, Universita’ degli studi di Milano. “Natura non facit saltus” (Carl von Linne’ nella Philosophia Botanica del 1751) la natura non fa salti: cosa c’entra con Mariani? Per uno strano capriccio del fato, capita proprio a Luigi di essere sempre evocato a smentire questo motto, proprio lui che e’ sempre testimone della memoria di quanto fatto dai predecessori (poche persone hanno un ricordo dei meriti dei padri scientifici chiaro come quello di Luigi, che non manca mai di riportarci alle radici dei ragionamenti).

Nella rappresentazione del trend climatico noi vediamo sempre tracciare delle linee continue, interpolanti i dati sperimentali. L’interpolazione e’ quella che meglio si adatta ai modelli che poco digeriscono le discontinuita’ (problemi di derivata). Dunque, nelle analisi, che nell’ambiente ormai amiamo dire “alla Mariani”, se rifiutiamo per un momento il concetto di interpolante, possiamo cogliere dei periodi, nella sequenza dei punti, dove e’ possibile trovare un andamento ragionevole medio che si discosta da andamenti medi di periodi precedenti6. Questi punti di discontinuita’ (break point) possono essere generati da cambiamenti nella circolazione generale e spesso, applicando indici meteorologici robusti, ne troviamo conferma. Il punto e’ che utilizzando un’interpolante perdiamo la fisica dell’atmosfera a solo vantaggio del trend statistico, che non e’ assolutamente detto che abbia un significato particolare nella rappresentazione della realta’.

Puo’ darsi che il nostro sistema climatico risponda nella sua complessita’ di relazioni termodinamiche e non linearita’ alle leggi del caos7? Quei punti di cambiamento che vediamo a diverse scale temporali possono rappresentare momenti di auto-organizzazione del sistema come ci racconta Ilya Prigogine? Qualcuno intanto incomincia a vedere se questo approccio sia piu’ o meno applicabile al sistema climatico8.

“Una ultima domanda”…gia’ ero sudato in questo inverno che ci fa maledire l’esserci fidati a comperare un condizionatore perche’ tanto in pochi anni, no! Non rincominciamo! Questo e’ meteorologia, solo meteorologia…”mi dica…”. “Senta, ma visti questi presupposti come si fa a dire che il clima e’ rimasto costante e poi la temperatura e’ schizzata verso l’alto e non da’ cenno di caduta???”

Dunque, sul non da’ cenno di caduta ci sarebbe molto da dire, negli ultimi dieci anni il trend non e’ sicuramente crescente, ma poi si corre il rischio di entrare nella polemica del “se prima c’era il global warming adesso c’e’ il global cooling” e cosi’ la gente si convince che il clima lo si fa con i dati di oggi o di ieri e non con una base almeno trentennale di dati (buoni per cortesia). Sulla storia del clima piatto che poi si traduce giornalisticamente con “la mazza da hockey” il rimando necessario e’ alla disputa tra McKitrick-McIntyre e Mann (quello che ha prodotto il grafico) nata a valle del terzo rapporto IPCC (TAR) e che in parte continua anche dopo la pubblicazione del quarto (4AR). Storia quindi lunga e complicata che si arricchisce spesso di elementi nuovi (molti anche caratterizzati da una certa litigiosita’) tanto da diventare una voce molto articolata anche nella democraticissima Wikipedia9. Cercando di superare le considerazioni strettamente legate a quel grafico in se’, la controversia della mazza da hockey ci ha insegnato ancora una volta che basi di dati limitate (anche la dendrocronologia soffre degli stessi problemi) e difficilmente intercalibrabili non permettono di garantirci che il trattamento statistico sia significativo, con il risultato che trattamenti diversi, per quanto tutti rispettabili, possono portare a conclusioni diverse e talvolta antitetiche.

Il giornalista mi dice “guardi ne ho abbastanza e la lascio: pero’, mi e’ venuta un’ultima curiosita’, ma allora fanno bene i politici a preoccuparsi del problema della CO2?”. Grazie proprio carino! Odio parlare della politica reale che spesso e’ di breve respiro. Il politico vero dovrebbe fare piani di ampio respiro, costruire il mondo con il contributo tecnico della scienza. Invece, troppo spesso, non solo non si preoccupa di andare oltre il proprio mandato ma ritiene un errore lasciare problemi risolti al proprio successore, di probabile diverso orientamento ideologico. A questi politici piace pensare che la colpa dei problemi venga da lontano, e la CO2 sembra essere proprio quello che serve: nel frattempo torturano il proprio territorio con opere inutili alterando i bilanci di energia, di radiazione, dell’acqua. Allora mi rifugio ancora una volta in Roger Pielke ma questa volta Jr., si’ il figlio, che si occupa degli aspetti economico-politici del global change10. Roger Jr  ha scritto una volta una cosa che io ritengo una grande verita’ e che vi traduco a memoria: “La scienza ha dei paradigmi che ne rappresentano un momento centrale attorno al quale si raccoglie la comunita’ scientifica, pero’ dobbiamo ricordarci di lasciare uno spazio sufficiente per introdurre la nuova conoscenza”. Temo che l’ideologizzazione della conoscenza riduca sempre piu’ questo spazio, questa “room for doubts”: la nascita della “consensus science” ha creato una pericolosa discontinuita’ nella pratica della conoscenza che potrebbe limitare la liberta’ stessa della ricerca.

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
  1. http://www.almanacco.rm.cnr.it/articoli.asp?ID_rubrica=2&nome_file=01_01_2009 []
  2. http://www.surfacestations.org []
  3. http://www.climatesci.org/publications/pdf/R-321.pdf []
  4. http://www.bulgnais.com/index.html []
  5. http://wcrp.wmo.int/documents/AssessmentGlobalPrecipitationReport.pdf []
  6. http://www.ucea.it/presentazioni_130/Mariani.pdf []
  7. http://folk.uib.no/gbsaj/papers/jenkins-thermo-eco.pdf []
  8. http://arxiv.org/ftp/arxiv/papers/0901/0901.1993.pdf []
  9. http://en.wikipedia.org/wiki/Hockey_stick_controversy []
  10. http://sciencepolicy.colorado.edu/about_us/meet_us/roger_pielke/ []
Published inAmbienteAttualitàClimatologiaMeteorologiaVoce dei lettori

8 Comments

  1. […] La termodinamica ed il clima (climatemonitor.it) – January 27, 2009di processi che hanno una loro riduzione a fattor comune nella comprensione di come, compiutamente, l’energia si trasformi attraverso i flussi di calore e come un ruolo determinante venga giocato… […]

  2. […] grazie alla segnalazione di Teodoro Georgiadis, che ha recentemente offerto un interessante contributo a queste pagine, sono venuto a conoscenza di un altro – per così dire – punto debole dei modelli […]

  3. giorgio Stecconi

    Cari amici in questo blog ci siamo sforzati, giustamente, di evitare di mettere in relazione il tempo meteorologico e il clima in maniera diretta.
    Nessuno di noi si è sognato mai di dire che visto l’inverno un pò più rigido rispetto agli ultimi scorsi che sia in atto un raffreddamento globale.
    Leggete un pò questo articolo dell’agenzia ANSA di questa mattina:
    ANSA) – SYDNEY, 30 GEN – L’Australia sudorientale e’ gia’ da una settimana in preda a un’ondata di caldo senza precedenti, attribuita al cambiamento climatico.Il caldo ha provocato vasti incendi, distorto i binari ferroviari e lasciato senza corrente oltre 150 mila abitazioni, anche a causa dell’uso di condizionatori. Melbourne ha registrato tre giorni sopra i 43 gradi. Secondo il ministro per il cambiamento climatico Penny Wong, ‘tutto questo corrisponde al cambiamento climatico descritto dagli scienziati’.

    Non male eh amici miei….

  4. Sergio Musmeci

    Gentile colonnello Guidi, volevo ringraziarla per l’ottimo articolo di cui condivido ogni sua parte. In particolare è vero il fatto che la co2 diventi una sorta di capro espiatorio di ogni male e, come ha giustamente detto “il problema che viene da lontano” e che serve ai politici e agli uomini di potere per non risolvere, mettendoli in sordina, problemi ambientali molto più immediati e urgenti evitando così di compiere scelte coraggiose e in molti casi impopolari.
    Assolutamente d’accordo poi con lo scritto di Roger Pielke e con la sua conclusione sul pericolo di ideologizzazione della scienza come ahimè è accaduto più volte in passato…

  5. Marco

    molto interessante

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »