Salta al contenuto

Cambia lo chef, non il menù

Cari amici,

Volume 1 numero 1 January/February 2010 della Wiley: Interdisciplinary Reviews Climate Change. Editor in chief Mike Hulme. Wow, una nuova rivista! Fresca, fresca di stampa sul Global Change.

L’apertura della rivista è che questa vuol essere un forum per avere un ampio set di prospettive circa la comprensione, l’analisi ed il contesto nel mondo del global warming. Ma è proprio quello che ci vuole dopo la caduta di credibilità dovuta al climategate, all’Olanda sott’acqua, ai ghiacciai himalayani, alla carenza alimentare amazzonica a…insomma, una intensa e compatta serie di crepe scientifiche, proprio come nell’ipotesi delle “intensified precipitation”: tutte queste stupidaggini ma tutte d’un botto.

Finalmente una nuova rivista che se si prefigge quanto dichiarato, a valle di Copenhagen, non può che essere effettivamente diversa. Avrà un nuovo stile, dei nuovi revisori, il nuovo sistema ormai richiesto dai più per garantire quell’oggettività della scienza che è venuta a mancare.

Mi butto su un articolo interessantissimo per me:

David Parker “Urban heat island effects on estimates of observed climate change” pagg 123-133. Dico: dai che questa volta ci siamo, dopo il climategate finalmente si corregge qualcosa.

Leggo e…i primi riferimenti che mi capitano sotto gli occhi sono Wang, Peterson, Jones. Ma quello che trovo stupefacente è leggere che l’influenza dell’urban warming non puo’ avere effetto sulla temperatura globale visto che più del 70% del pianeta è oceano che, ovviamente, non puo’ risentire dell’isola di calore urbana. Il che è assolutamente vero!!! Il pianeta azzurro!!! Anche all’inizio della Guerra dei Mondi occhi cattivi guardavano con cupidigia quel pianeta fatto di acqua!

Ma cosa c’entra? La rete delle stazioni è su terra. La rete delle stazioni se viene sovrapposta alle città è quasi coincidente. Le stazioni sono una manciata di puntini. Le temperature oceaniche sappiamo bene come vengono derivate.

Poi l’articolo prosegue parlandoci dell’importanza dei metadata facendo riferimento ad un lavoro di Peterson e Owen del 2005. Lo stesso Peterson un pochetto bistrattato, insieme ad altri, da McIntyre su Climate Audit per le curiose classificazioni di urban e rural station. Ammirevole la definizione di “Parking Lot Effect” su quel sito. Ma di tutte le discussioni, ancora attive su questo argomento, nell’articolo nulla di nulla.

Conclusione dell’articolo: l’urban heat island effect ha un effetto minimo sulle temperature globali…L’impatto è piccolo grazie agli assidui contributi fatti dai compilatori dei record delle temperature dell’aria globali per evitare o compensare il riscaldamento dovuto dalle citta’. Amen

Conclusioni mie: rivista nuova, minestra riscaldata.

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
Published inAttualitàNews

10 Comments

  1. Per chiarezza: i dati distrutti sono quelli grezzi in possesso dell’Università della East Anglia.
    Ma quei dati non sono posseduti solo da loro, quindi i dati originali grezzi esistono, malandati, ma esistono.

    • duepassi

      Puoi darmi qualche dettaglio? La cosa mi interessa.

    • La Climate Research Unit ha fatto solo da collettore di dati misurati e registrati da altre entità nazionali. Il fatto che loro abbiano cancellato la loro raccolta originale non vuol dire che i dati dei cinesi siano spariti, o quelli australiani o quelli cileni, ecc.
      L’unico problema è che non si può più provare passo passo come i dati originali siano diventati il CRUTEM3, la banca dati delle T su terraferma alla base della ricostruzione HADCRUT che è, a sua volta, alla base dell’IPCC.
      I dati italiani, ad esempio, sono belli e vegeti e il più grosso collettore internazionale di dati è il NOAA/NCDC.
      Il lavoro della CRU, semplicemente, non è replicabile e quindi non è, semplicemente, scientifico…semplicemente 🙂

    • teo

      Infatti. Avere cancellato i dati significa dover fare tutto il processo a ritroso partendo dai dati grezzi dei singoli Servizi nazionali. Ma soprattutto significa aver badilato sabbia sulla possibilita’ di vedere se i dati furono ‘lisciati’ oppure no.
      Mi domando se, visto che sopra il tavolo ho comodamente dei terabyte che mi stanno in pochi cm3, se la cancellazione era motivata da problemi di storage…con MegaEuro di finanziamento da disposizione.
      Cosa diceva Andreotti: a pensar male si fa peccato ma…

  2. teo

    E pensare che in qualche sito le risultanze delle ‘indagini’, che peraltro si limitano, come le tre scimmiette, a dire non c’ero e se c’ero dormivo (anzi spesso sottolineano che pero’ c’e’ un sistema di liberta’ di informazione su dati e metodi che deve essere modificato), scagionerebbero indiscutibilmente i ‘nostri’ da qualunque accredito.
    Avere distrutto i dati personalmente lo considero un reato contro l’umanita’, se siamo in presenza di un AGW, e credo che qualunque persona non ottenebrata da considerazioni politiche lo farebbe.
    Se l’AGW non esiste allora e’ tutto diverso, nessun reato e neppure peccato mortale: solo il peccato, in fondo veniale, di avere cancellato le prove…scusate i dati.

    • duepassi

      Scusami Teo, ma non sono d’accordo. La convinzione che l’AGW sia il problema del pianeta si basa proprio su quelle prove fatte sparire.
      (Non discuterei se esista un, benché minimale AGW, perché questo non lo metto in dubbio nemmeno io, attenzione,
      ma
      che “quello” sia il problema vitale del pianeta, l’AGW, e non altri).
      Facendo sparire le prove, e quindi mettendone fuori causa un’eventuale confutazione, Phil Jones ha di fatto “imposto” l’AGWT.
      Quindi, se le prove non ci sono, i politici possono continuare a concentrare i loro sforzi politici, mediatici ed economici su un problema che potrebbe essere stato enormemente sovrastimato.
      Quindi, se l’AGW NON fosse quel problema che si vuol far credere,
      allora
      la colpa di quello scienziato sarebbe enorme.
      Viceversa, se l’AGW fosse nelle dimensioni che ci raccontano i sostenitori dell’AGWT,
      allora
      l'”errore” di Phil Jones sarebbe veramente un “errore”, grave ma meno che nell’altro caso.
      Secondo me.

    • teo

      Hai ragione. Tendevo a scusarlo perche’ avrebbe applicato ‘businness as usual’ le stesse procedure alle quali assistiamo da molti anni: badilare sabbia

  3. duepassi

    Personalmente penso invece che i cuochi non cambino. Anche quel cuoco che fu cacciato, perché aveva una bottiglia di chablis premier CRU (capisci a mme…) che pretendeva di servire calda… è tornato nella sua cucina, a riscaldare (è il caso di dire) la minestra, e servircela.
    Quando i clienti si son lamentati delle minestre riscaldate, chi ha stabilito se i cuochi erano colpevoli ? Loro stessi e i loro amici.
    E allora prepariamoci a tante altre minestre riscaldate, visto che i cuochi non sono cambiati, e magari cambiano i nomi dei piatti, ma sempre minestre riscaldate sono.
    Ma un bel gelato non si può avere in questa osteria ?
    🙂

    • duepassi

      Pardon, ho detto un’inesattezza, se ne andò (momentaneamente) da solo, e non fu “cacciato”. Furono le sue grosse incredibili colpe a cacciarlo (come è possibile accettare che abbia distrutto dati fondamentali ?), non le persone, che anzi lo hanno reinserito nel suo prestigioso ruolo.
      Secondo me.

Rispondi a teo Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »