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Mese: Febbraio 2012

Cicloni tropicali e terraferma: un nuovo paper di Pielke jr.

Gli eventi estremi, il ‘maltempo che fa’, e l’eventuale aumento della loro frequenza di occorrenza sono la trasposizione nella realtà del concetto piuttosto astratto di cambiamento climatico. E’ questa la ragione per cui questo argomento è così dibattuto, pur in presenza in molti casi di dati disomogenei e farraginosi.

I Cicloni Tropicali sono per le loro caratteristiche spaziali e temporali l’evento estremo per eccellenza. Bellissimi da vedere sulle immagini da satellite, quando però arrivano a toccare le terre emerse fanno danni veri.

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Foreste più alte, Terra più verde

E’ un progetto del Jet Propulsion Laboratory della NASA. Una accurata misurazione dell’altezza delle foreste sul Pianeta tramite sensori satellitari. Con le dovute riserve rispetto ai sistemi precedentemente utilizzati per questo genere di informazioni e per l’inevitabile margine di errore presente nei dati, il team del JPL ha riscontrato un aumento nell’altezza delle foreste, in particolar modo quelle Boreali, riscontrandone invece una diminuzione per quelle situate nelle zone di montagna.

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1956, 1985, 2012: Tutte le strade portano la neve a Roma

Prima di cominciare la classica ANS(i)A quotidiana:

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(ANSA) – ROMA, 17 FEB – La caratteristica più insolita dell’ondata di maltempo appena conclusa è la lunghezza, mentre l’intensità è quella delle gelate trentennali a cui il nostro paese è già abituato. Lo afferma il climatologo Giampiero Maracchi, secondo cui in futuro è possibile aspettarsi un’intensificazione di questi fenomeni a causa dei cambiamenti climatici. “Per quanto riguarda le temperature in media sono state maggiori rispetto al ’56 e all’85 – spiega l’esperto – quello che invece colpisce è stata la durata del fenomeno, che ha investito il paese per quasi due settimane. Questa anomalia può essere attribuita ai cambiamenti climatici, che hanno come effetto l’aumento della frequenza di tutti i fenomeni estremi, dal freddo alla siccità alle piogge torrenziali”.(ANSA).
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This is the end

[blockquote cite=”The End – The Doors”]This is the end, beautiful friend / This is the end, my only friend, the end / Of our elaborate plans, the end / Of everything that stands, the end / No safety or surprise, the end / I’ll never look into your eyes Again[/blockquote]

Beh, almeno il Climategate era vero.

Volano gli stracci nel dibattito sul clima. E vola anche la carta bollata. Mail, messaggi, documenti confidenziali e quant’altro poi, volavano già da un pezzo. Da anni si dice che il dibattito sia concluso, pare invece che un dibattito non ci sia proprio mai stato.  E non perché non ce ne sia la sostanza, quanto piuttosto perché si è passati direttamente allo scontro esacerbato. Ne abbiamo avuto prova anche su queste pagine, anche molto recentemente. Una occasione in cui la pubblicazione di un nostro post ha suscitato reazioni a dir poco smisurate degli ambienti mainstream. Accuse, delazioni, derisione, tutto, ma proprio tutto, tranne la discussione sul merito. Cosa che per fortuna è invece avvenuta proprio in calce al post per l’intervento di due delle firme dell’articolo scientifico che si discuteva. E meno male.

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Maltempo, eventi estremi, ricerca e divulgazione.

Prima di cominciare questo post vorrei che leggeste con attenzione le frasi che seguono. Vengono dal Sunnary for Policy Makers dello Special Report dell’IPCC sull’esposizione al rischio da eventi estremi (SREX – SPM).

Si prende atto:

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Le incertezze nelle serie storiche dei cicloni tropicali, l’incompleta comprensione dei meccanismi fisici che collegano i parametri dei cicloni al cambiamento climatico e l’ampiezza della variabilità dei cicloni tropicali genera soltanto un basso livello di confidenza per l’attribuzione di cambiamenti misurabili dell’attività dei cicloni tropicali all’influenza antropogenica. L’attribuzione di un singolo evento estremo al cambiamento climatico è un’azzardo.

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Poi quasi con rammarico si chiarisce:

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C’è un basso livello di confidenza nell’osservazione di ogni genere di aumento di lungo periodo (40 anni o più) nell’attività dei Cicloni Tropicali (intensità, frequenza, durata), dopo aver tenuto conto dei cambiamenti intervenuti nella capacità di osservazione. E’ probabile che ci sia stato uno spostamento verso nord delle rotte principali delle tempeste extratropicali. C’è un basso livello di confidenza nei trend osservati dei fenomeni a ridotta scala spaziale come i tornado e la grandine a causa della disomogeneità dei dati e dell’inadeguatezza dei sistemi di monitoraggio.

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E infine si prevede:

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E’ probabile che a scala globale la frequenza dei cicloni tropicali possa diminuire o restare essenzialmente invariata.
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Questi hanno proprio il chiodo fisso

Non c’è proprio niente da fare: i toni rimangono accesi e catastrofici. E poi vengono a dire a noi scettici che siamo più tondi di una campana. Di cosa sto parlando? Del fatto che una certa parte del movimento ambientalista ed ecologista leghi i cambiamenti climatici al controllo delle nascite. O meglio ancora, la salvezza dalle catastrofiche conseguenze dei cambiamenti climatici, passa proprio attraverso la pianificazione delle famiglie. Chiaramente, va innanzitutto dimostrato che i cambiamenti climatici saranno catastrofici, e già su questo punto vedete bene voi che tipo di dibattito specioso venga portato avanti dalle elite ecologiste.

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Disfacimento climatico: Il mare non collabora

Il pediluvio è rimandato. Forse non scongiurato ma senz’altro rimandato. Per la gioia di quanti abitano in zone costiere o hanno investito qualcosa in una casetta al mare, sembra che la sommersione non sia imminente.

Il livello dei mari, che, come le temperature, come il contenuto di calore sugli oceani, come il numero degli uragani (e come la nostra capacità di sopportazione), sarebbe dovuto crescere a dismisura e senza sosta alcuna, è fermo da otto anni. Come le temperature che lo sono da dieci e più, come il contenuto di calore degli oceani che lo è dal 2003, come gli uragani che non sono mai aumentati.

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Nubi basse, anzi nane, e global warming

Generalmente quando si parla di meteorologia o di clima, per nubi basse si intende specificatamente quella nuvolosità che si forma negli strati più bassi dell’atmosfera e normalmente ricca di vapore acqueo. Nel contesto dell’articolo appena pubblicato su GRL, invece, per basse si intende con un top più basso in generale, qualunque sia lo strato nel quale si formano.

L’altezza che le nubi raggiungono in atmosfera è collegata al bilancio radiativo. Più le nubi vanno in alto, più sono fredde, minore è la quantità di calore che irradiano verso lo spazio, maggiore è il calore che resta in basso in atmosfera.

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Il febbraio 2012 ed il paragone con altri inverni storici

In queste settimane le televisioni portano nelle nostre case immagini che mostrano grandi accumuli di neve nelle più diverse parti d’Italia. Tuttavia tali immagini sono per molti versi tendenziose in quanto l’obiettivo giornalistico prevede di attrarre il pubblico presentando gli aspetti più estremi dei fenomeni senza molto riguardo per la rappresentatività degli stessi.

Nonostante ciò la domanda è quanto mai pressante, se vogliamo anche per ristabilire un’ordine che non sia condizionato dal sensazionalismo o, se del caso, per confermarlo. Il paragone, del resto, qualcuno aveva pensato di farlo ancora prima che questa fase di freddo intenso si manifestasse. Figuriamoci se ora non ci sarà la battaglia dei record. Sicché, seguendo un’idea dell’amico Luigi Mariani, abbiamo deciso di chiedere alla comunità di CM di provare a fare qualcosa tutti insieme.

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Attenzione alla Groenlandia

La Groenlandia è davvero un luogo interessante e non sto parlando degli splendidi paesaggi. Da qualche anno a questa parte è diventata la frontiera per lo studio del Global Warming antropico. Fondamentalmente è stata assurta a paradigma dell’incalzante riscaldamento globale. Diciamo che lo stato dell’arte della climatologia ci parla di una Groenlandia i cui ghiacciai scivolano in mare a velocità mai viste fino ad oggi. Questo chiaramente è direttamente correlato alle temperature crescenti del pianeta. Non dimentichiamo che la Groenlandia ci ha regalato l’unico altro set di carotaggi glaciali così estesi e dettagliati a disposizione degli scienziati. L’altro proviene dall’Antartide.

E proprio utilizzando i dati provenienti dal sito più elevato in Groenlandia, il GISP2, un gruppo di scienziati e ricercatori ha condotto una nuova indagine sui campioni di aria intrappolati nel ghiaccio. La carota utilizzata ha consentito di ricostruire con estrema accuratezza la temperatura della neve (attenzione, non dell’aria) negli ultimi 4000 anni. Va detto fin da subito che i ricercatori utilizzano una nuova metodologia che sfrutta il rapporto tra isotopi di azoto e argon. Il gruppo di ricerca è capitanato da Takuro Kobashi del National Institute of Polar Research di Tokyo.

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Raggiunto il lago Vostok

Diciamola tutta: questa storia sembra uscita dalla penna del visionario H.P. Lovecraft. Gli ingredienti ci sono tutti: un misterioso continente, l’Antartide, un relitto geologico vecchio di milioni di anni, esploratori coraggiosi e paure ancestrali. Di seguito l’indimenticabile incipit di “At the Mountain of Madness” (“Alle montagne della follia”, nell’edizione italiana):

Sono costretto a parlare perché gli uomini di scienza hanno deciso di ignorare i miei avvertimenti senza approfondirne le ragioni. Contro la mia volontà, dunque, esporrò i motivi per i quali mi oppongo alla prevista invasione dell’antartico, e in particolare alla ricerca di fossili su larga scala,alla fusione delle antiche calotte polari e all’interruzione della sterminata monotonia di quelle regioni.

Ormai è notizia nota, in quanto risale a qualche giorno fa, noi di CM abbiamo preferito attendere un po’ prima di parlarne, nella speranza che oltre allo scarno annuncio offerto in rete, potesse emergere qualche dettaglio e così purtroppo non è stato.

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Nulla di nuovo sotto il “nevone” (….o quasi).

L’imponente “Nevone” del 1929, quando fortunatamente non c’era ancora il riscaldamento globale, i più giovani lo ricordano dalle scene di Federico Fellini, nel film AMARCORD, relative all’allegra Rimini sepolta dalla neve.

Nel 1956 l’Italia era molto diversa dall’attuale perché si possano paragonare i disagi causati da una nevicata con quanto accaduto in questi giorni. Poche erano le auto, i voli aerei in numero ridotto, i treni viaggiavano lenti ed alcuni ancora non avevano elettricità; a Roma ancora non era finito il grande raccordo anulare e chi vi lavorava viveva, salvo rare eccezioni, sempre nella città; infine non esisteva ancora la “Protezione Civile”.

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