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Mese: Aprile 2013

Insensibilità climatica

Se a qualcuno fosse sfuggito, per quanto vi si voglia girare intorno, per quanto lo si possa arricchire con scenari catastrofici e risibili analogie con un clima attuale tutt’altro che disfatto, il tema del riscaldamento globale, mutato successivamente in cambiamenti climatici per latitanza del riscaldamento e poi in disfacimento climatico per comodità di comunicazione, è riassumibile in un unico problema: quanto si può scaldare il Pianeta in ragione dell’accresciuta concentrazione di gas serra (specie CO2) in atmosfera?

 

I più scaltri avranno già capito, anche oggi parliamo di sensibilità climatica, appunto il parametro che dovrebbe rappresentare quel “quanto”. Torniamo a farlo perché questo tema, in realtà molto tecnico, sta conoscendo una discreta diffusione anche sui sistemi di comunicazione generalisti specie nell’ultimo periodo, grazie all’eccellente pagina pubblicata sull’Economist un paio di settimane fa. In soldoni, più passa il tempo, più aumentano le conoscenze in questo settore. Questo potrà forse far sentire sollevati quanti pensano che si stia camminando sull’orlo del baratro climatico, perché questo miglioramento del livello di comprensione scientifica il baratro lo sta allontanando, nel senso che, man mano, l’aumento di temperatura “atteso” in ragione di un raddoppio della concentrazione di CO2 rispetto ai livelli pre-industriali, si sta riducendo. Infatti, ci si sta avvicinando sempre di più al limite inferiore delle stime comprese tra 1,5 e 4°C dell’ultimo report IPCC (con valore più probabile di 3°C).

 

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Un mare caldo pieno di acqua fredda

Appena ieri abbiamo accennato all’uscita di un nuovo studio che attribuisce la recente stasi delle temperature medie superficiali globali ad un’accresciuta capacità degli oceani di assorbire il calore in eccesso. Calore che, neanche a dirlo, prima o poi dovrebbe tornar fuori tornando a far crescere le temperature come da previsioni climatiche. Gli autori di questo paper hanno concentrato la loro attenzione sullo strato che va dalla superficie a 700 metri di profondità.

 

Siamo quindi nel territorio della “ricerca del calore scomparso”, quel missing heat salito alla ribalta del dibattito sul clima ai tempi del climategate, quando leggemmo che Kevin Trenberth, famoso climatologo, si disperava con i suoi colleghi del fatto che non si riuscisse a spiegare come mai, nonostante il persistere del forcing antropico, si riscontrasse un riscaldamento dello strato superficiale degli oceani largamente inferiore alle previsioni. Il calore, in tutta evidenza, dovrebbe essere nascosto da qualche parte, a meno che le proiezioni non siano sbagliate, a meno che la relazione attività antropiche-disfacimento del clima non sia sbagliata. Chi legge sa come la pensiamo al riguardo, ma oggi non parliamo di questo, restiamo sulla faccenda del calore.

 

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Il Global Warming è vivo e lotta insieme a noi

Alcuni giorni fa è uscito sulle pagine di Meteoweb un articolo sulla scia di quelli che abbiamo publicato anche sulle nostre pagine negli ultimi tempi. L’argomento è l’inversione di tendenza che si sta notando sia sulla letteratura scientifica che sull’orientamento dei media in ordine ai temi del catastrofismo climatico.

 

Gli amici di Meteoweb, fanno notare come anche il quotidiano italiano più schierato sui temi del disfacimento climatico – La Repubblica – si sia accennato al pezzo dell’Economist sulla sensibilità climatica che ha praticamente dato il via ad un processo che potremmo definire di “mitigazione della preoccupazione”, così, tanto per restare in argomento.

 

Il periodo del pezzo su Repubblica che in apparenza meglio riassumerebbe questo cambiamento dell’orientamento è il seguente (neretto mio):

 

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La supercazzola fotovoltaica

La notizia è la seguente (Ansa):

Solare produce piu’ di quanto consuma

Bilancio positivo tra produzione e uso per costruire pannelli

ROMA – L’industria fotovoltaica mondiale ha raggiunto l’obiettivo di produrre piu’ energia di quanta ne viene consumata per fabbricare e installare i pannelli fotovoltaici. A dirlo e’ una ricerca della Stanford University pubblicata sulla rivista Environmental Science & Technology.Se cinque anni fa l’energia necessaria per costruire e mettere in funzione i pannelli era superiore al 75% rispetto a quella prodotta sfruttando il sole, secondo i ricercatori ora esiste una buona probabilita’ – superiore al 50% – che il fotovoltaico sia passato, nel 2012, a produrre piu’ di quel che consuma.Negli ultimi anni il mercato del fotovoltaico ha visto una crescita esponenziale. Secondo l’ultimo rapporto dell’European Photovoltaic Industry Association, l’anno scorso gli impianti hanno superato i 100 gigawatt di potenza installata nel mondo, attestandosi poco sopra i 101 GW, grazie a un incremento annuale annuale record intorno ai 30 GW registrato nel 2011 e nel 2012.Stando alla ricerca, se si proseguisse con un tasso di installazione elevato, l’industria fotovoltaica potrebbe ripagare il suo ”debito”, cioe’ il maggior quantitativo di energia consumata rispetto a quella prodotta negli anni scorsi e le conseguenti emissioni di Co2, tra il 2015 e il 2020.

 

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Un proxy per l’Oscillazione Artica e connessione con TSI

Recentemente su CM è apparso un post di L. Mariani su un lavoro di Darby et al.,2012 (v. bibliografia. Da qui in poi userò il termine articolo per questo lavoro. Abstract e figure qui). Gli autori utilizzano un dataset della percentuale di granuli di ferro trovati in carote ottenute al largo dell’Alaska (JPC16) ma provenienti notoriamente, per via della composizione chimica particolare, dal Mare di Kara (d’ora in poi Kara) come proxy per l’Oscillazione Artica positiva (+AO). Dall’analisi spettrale di questo dataset derivano la presenza di un massimo a circa 1600 anni, compatibile con gli eventi di Bond. Non trovano lo stesso massimo nel dataset dell’irraggiamento solare totale (TSI, Steinhilber et al, 2009) e, dopo molte prove e usando anche carote del Mare di Leptev, deducono che la variabilità solare non influenza l’Oscillazione Artica, nel senso che il massimo di 1500-1600 anni è il risultato o della variabilità interna del sistema climatico o di un’influenza indiretta della forzante solare alle basse latitudini.

 

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Danni da maltempo, ancora niente clima.

I lettori mi scuseranno per il titolo un po’ criptico, quasi ai limiti del non senso in termini lessicali. Ma quelli che ci seguono con più continuità avranno già capito che torniamo a parlare della relazione tra gli eventi intensi o estremi e i danni da essi causati, cercando di capire se i ripetuti proclami di deriva del sistema atmosferico verso manifestazioni più violente per un non meglio specificato disfacimento climatico abbiano o no un minimo di fondamento.

 

Naturalmente, i soggetti più interessati agli eventi intensi, oltre naturalmente a quanti vi si trovano fisicamente coinvolti, sono quei soggetti economici che operano nel settore della protezione dal rischio. Una parte consistente  della letteratura esistente in materia infatti è redatta direttamente da questi soggetti o da essi commissionata a esperti del settore. Nel primo caso è forse più corretto parlare di letteratura pubblicistica, nel secondo invece si tratta di pubblicazioni scientifiche vere e proprie.

 

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Un mese di meteo – Marzo 2013

IL MESE DI MARZO 2013* 

 

Nel mese di marzo hanno prevalso condizioni di instabilità intervallate da brevi e temporanee stabilizzazioni. In complesso piovosità anomalmente abbondante su gran parte dell’area, accompagnata da anomalia negativa al settentrione, specie nelle massime. I flussi alla media troposfera sono stati caratterizzati da una elevata velocità per il flusso secondario, che ha mantenuto anche una accentuata zonalità, e da una circolazione molto più lenta per l’area di transizione. Gli indici barici di riferimento per l’area Euro-Mediterranea (AO e NAO) si sono mantenuti in territorio negativo, in particolare l’Oscillazione Artica ha raggiunto valori molto bassi, favorendo la persistenza, anche sulle medie latitudini Europee, di una massa d’aria continentale di origine polare. Ne è risultato un periodo anomalmente freddo per gran parte dell’Europa, con anomalie negative dai tempi di ritorno pluridecennali anche per il Regno Unito. In area mediterranea, la zonaliltà del flusso secondario ha tuttavia mitigato in parte gli effetti di una tale struttura circolatoria.

 

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Si è spenta “Carbon Lady”

L’8 aprile scorso si è spenta a 87 anni Margaret Thatcher, la “lady di ferro”, primo ministro britannico dal 1979 al 1990, prima e ad oggi unica donna a ricoprire la carica di premier del Regno Unito. Nata il 13 ottobre 1925 a Grantham, nel Lincolnshire, dal 1975 al 1990 è stata anche leader del partito conservatore britannico. Al suo nome è legata la corrente politica denominata “thatcherismo” che fonde il conservatorismo con il liberismo (fonte wikipedia).

La storia si ricorderà di Margaret Thatcher anche per la sua battaglia – vittoriosa – contro i minatori e i loro sindacati impegnati nello sciopero più drammatico della storia moderna britannica, quello con cui si opponevano alla chiusura delle miniere di carbone. La ‘guerra’ sul futuro dell’industria del carbone iniziò alla mezzanotte del 5 marzo del 1984: uno scontro aspro e lacerante, con forti ripercussioni internazionali, che sarebbe durato fino al 1985, con la resa incondizionata del sindacato. Da quella sconfitta iniziò l’era del liberismo sfrenato in Gran Bretagna, un modello che ha generato ricchezza ma anche disparità sociale, mantenuto anche nell’era del New Labour di Tony Blair, fino all’esplosione della crisi economica ancora in corso.

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Previsioni a doppio taglio

modelvsrealityE’ attualità degli ultimi giorni, prevedere è difficile, soprattutto il futuro. Sicché, se pur conoscendo i limiti intrinseci dei moderni sistemi di simulazione del comportamento dell’atmosfera ci si lancia in proclami a nove colonne con troppo anticipo, la brutta figura è dietro l’angolo. Ognuno è artefice del proprio destino, però, a modestissimo parere di chi scrive, cui ogni tanto capita di fare qualche previsione, il problema non è tanto nei proclami, perché quelli cambiano di segno tanto in fretta da risultare il più delle volte intangibili. Il probelma è nel far credere, o aver fatto credere, fate voi, che fare previsioni del tempo serie con più di 3-5 giorni di anticipo sia sempre possibile. In realtà non lo è quasi mai, perché a tutti gli addetti ai lavori è nota l’inattendibilità degli strumenti d’indagine oggi disponibili. Che sono il meglio che abbiamo, certamente, che hanno fatto fare al settore un salto di qualità incommensurabile, ovviamente, ma hanno dei limiti molto ben definiti.

 

Dopo breve premessa, in cui diversamente dal solito abbiamo parlato di previsioni del tempo, torniamo rapidamente al tema più frequentemente discusso su queste pagine, per trovare una situazione analoga ma con una aggravante. Se infatti con riferimento al clima ed alle previsioni (o proiezioni? Chi è in grado di definirne la differenza in modo che abbia un senso per i destinatari si faccia avanti) climatiche sono stati commessi gli stessi errori, per di più non si è tenuto conto che i limiti degli strumenti utilizzati non si conoscono, ossia che la loro attendibilità non è né nota né ignota, semplicemente non è misurabile, ameno di non avere la pazienza di aspettare un certo numero di decadi e tirare le somme solo alla fine. L’unico test sicuro, infatti, è quello del confronto con la realtà, ma non quella passata, perché è su quella stessa che di fatto si basano le logiche di funzionamento dei modelli, quanto piuttosto sull’attualità e sul futuro. Fino a che non diventa passato.

 

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Global warming: piogge tropicali alla deriva

La settimana scorsa è apparso su Science Daily un articolo con questo titolo:

 

Rising Temperature Difference Between Hemispheres Could Dramatically Shift Rainfall Patterns in Tropics

 

Si tratta del commento ad un articolo dell’AMS:

 

Interhemispheric temperature asymmetry over the 20th century and in future projections – AMS, Friedman et al., 2013 (pdf qui)

 

L’argomento è di per se’ interessante perché si pone il problema di investigare il comportamento asimmetrico dei due emisferi in ragione della tendenza all’aumento delle temperature medie superficiali. Prima di entrare nel merito nel paper, è importante ricordare che esiste una asimmetria climatica tra i due emisferi, dettata soprattutto da sostanziali differenze geografiche, con l’emisfero settentrionale che ospita la maggior parte delle terre emerse e le catene montuose più importanti e quello meridionale dominato dalla superficie degli oceani e quindi con un’inerzia termica più elevata. Questo implica delle differenze importanti a livello di circolazione atmosferica e di temperatura media.

 

 

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Chi l’avrebbe mai detto, è stata tutta colpa delle nubi

Molti di voi ricorderanno l’immagine qui sopra. Nell’agosto scorso ha fatto il giro del mondo. Avrebbe potuto essere intitolata “Groenlandia: prima e dopo la cura”, con l’uomo a recitare il ruolo del Dottor Stranamore. Era l’agosto scorso, nel breve volgere di qualche giorno, la patina superficiale del ghiaccio che ricopre la Groenlandia si era sciolta, evento subito ripreso dai sensori satellitari e trasformato in un battibaleno nell’icona estiva della catastrofe climatica.

 

Su CM ne abbiamo parlato qui, dopo aver dedicato qualche minuto ad una ricerca sulla rete, grazie alla quale abbiamo scoperto che l’evento definito senza precedenti accade circa ogni secolo e mezzo, con l’ultimo episodio risalente al 1889. Ma, comunque, faceva caldo, persino in Groenlandia, per cui sotto col riscaldamento globale che scioglie tutto, anche la tosse ai bambini.

 

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