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Tag: energia

L’AGW fa camminare i treni

Domanda: c’è più energia nel riscaldamento globale antropogenico o nelle fesserie che si raccontano per sostenerlo? Quando sono veramente troppo grosse, delle seconde si dice che facciano camminare i treni, per cui l’analogia con l’energia disponibile regge bene.

 

Piccolo esercizio, leggete il paragrafo qui sotto cronometrando il tempo che impiegate (viene da qui):

 

…il nostro pianeta sta attualmente accumulando calore al ritmo incredibile di circa tre bombe atomiche di Hiroshima al secondo…. i dati per le temperature vanno su e giù, anno dopo anno, con il risultato che è possibile trovare sempre dei brevi periodi parte di una tendenza al riscaldamento a lungo termine in cui si notano brevi periodi di diminuzione delle temperature. Nel frattempo, il pianeta continua ad accumulare calore: equivalente a circa 250 bombe atomiche di Hiroshima dal momento in cui avete cominciato a leggere questo articolo.

 

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Pensieri (e azioni) razionali

I miei normalmente non appartengono alla categoria. Lo stesso non posso dire dei numerosi commenti dei lettori che partecipano alle nostre discussioni, specie quando attraverso la leva del dibattito climatico, arriviamo a parlare di argomenti più ampi e di più facile accesso per il sentire comune, opinioni cioè per le quali non è necessario avere una preparazione tecnica, ma bastano occhi per vedere e buon senso.

 

Appunto il buon senso con cui Morgan Brazilian e Roger Pielke jr affrontano un argomento decisamente topico in un articolo uscito fresco fresco su Science & Tecnology:

 

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Per fare il pellet ci vuole un albero

A volte mi domando se tutti quelli che discutono di “effetti” e “conseguenze” del riscaldamento globale, discettando eruditamente di feedback, di questo che genera quello, di quel meccanismo che porterà a quell’altro etc etc, si sono mai fermati veramente un attimo a pensare alle conseguenze di azioni di riparazione e mitigazione che sono state così leggiadramente proposte per la pronta risposta dei policy makers.

 

Ormai la macro immagine l’abbiamo, gli enormi sforzi negoziali sfociati nel mostro di Kyoto e successivamente arenatisi, hanno fatto solo danni economici segnando uno zero tondo tondo circa i già dubbi risultati climatici. Quelle che mancano, ma che stanno gradualmente diventando più nitide, sono le tante piccole immagini che questa fobia climatica ha generato.

 

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Segnali di crisi

Non che ce ne sia bisogno, visto che volendo scherzarci su si può tranquillamente dire che la crisi sia tutto intorno a noi, ma vale la pena riflettere su quanto segue, ovvero un breve post pubblicato sul blog di Assoelettrica.

 

Terna ha diffuso oggi i dati, ancora provvisori, sulla domanda elettrica di febbraio. La flessione dei consumi rispetto al mese di febbraio dello scorso anno è stata molto marcata segnando un -8,1%, un dato che anche depurato dei fattori di calendario (lo scorso anno era bisestile) e degli effetti di temperatura si mantiene molto negativo e pari al -5,1%. Un calo che si è differenziato sul territorio nazionale -7,2% al Nord, -7,9% al Centro e -10,0% al Sud.Nel mese di febbraio 2013 l’energia elettrica richiesta in Italia è stata pari a 25,7 miliardi di kWh e si registra un impressionante calo della produzione da termoelettrico (-23,9%) mentre sono aumentate la produzione di idroelettrico (+43%), eolico (+19,1%) e fotovoltaico (+11,2%). Non si è fatto attendere il commento Chicco Testa, presidente di Assoelettrica, che ha definito ‘catastrofici’ i dati relativi alla domanda di energia elettrica nello scorso mese di febbraio ed ha stigmatizzato come questi siano un sintomo delle gravissime condizioni nelle quali versa l’economia del paese, ad iniziare, naturalmente, dal settore elettrico e termoelettrico in particolare. Il presidente di Assoelettrica ha inoltre evidenziato come la serie negativa proceda costante da ormai più di un anno e mezzo e che il drastico calo della produzione da termoelettrico registrata a febbraio sia un elemento che pone urgentemente all’ordine del giorno una revisione delle regole che garantiscono la sicurezza del sistema elettrico. I produttori termoelettrici, chiamati comunque a mettere a disposizione la potenza dei loro impianti, in particolare per bilanciare le fonti rinnovabili non programmabili, rischiano infatti di non essere più in grado di coprire i costi variabili, dopo che per più di un anno hanno visto azzerarsi i margini operativi. Insomma: la situazione del settore da pesante va facendosi insopportabile.

 

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L’energia si rinnova, la pecunia no

I lettori più attenti ricorderanno che qualche settimana fa abbiamo pubblicato un breve post che riprendeva quanto diffuso da Assoelettrica, l’associazione che riunisce la quasi totalità dei produttori di energia elettrica in Italia, circa il costo stimato per gli incentivi alle fonti rinnovabili per i prossimi venti anni. Un conto salato, circa 220 miliardi di Euro.

 

Ieri mi è capitato per la rete un articolo pubblicato da IlSole24Ore contenente queste stesse informazioni arricchite con la replica dell’APER, associazione che invece riunisce i soli produttori di energia rinnovabile. Il conto, secondo loro, sarà tutt’altro che salato, perché Assoelettrica non avrebbe tenuto conto dei benefici derivanti dall’impiego delle fonti rinnovabili in termini aumento dell’indipendenza energetica nazionale, diminuzione dei costi che dovranno sostenere gli impianti termoelettrici nell’ambito del sistema europeo Ets sui diritti d’emissione (costi che pesano sulle bollette), incremento del Pil (le energie rinnovabili generano più ricchezza delle fossili per il Paese) e crescita occupazionale non solo quantitativa, ma anche qualitativa. Insomma, alla fine secondo APER il saldo dovrebbe essere in attivo, con le stime più prudenti che vedrebbero ammontare il surplus a 30 miliardi di Euro e quelle più ottimistiche addirittura a 76.

 

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Lo sporco segreto delle policy climatiche

The dirty secret of climate policy, così inizia il post di Roger Pielke jr che oggi vi invito a leggere.

Ho deciso di proporvelo quando mi è capitata sotto gli occhi questa frase di Christina Figueres, Segretario Esecutivo dell’UNFCCC, presa però in un altro contesto:

[info]

… stiamo ispirando i governi, il settore privato e la società civile alla più grande trasformazione che abbiano mai intrapreso. Anche la rivoluzione industriale è stata una trasformazione, ma non è stata guidata da una prospettiva centralizzata. Questa è una trasformazione centralizzata che sta avendo luogo perché i governi hanno deciso di aver bisogno di dare ascolto alla scienza.

[/info]

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Uno sguardo sul futuro dell’energia

Due notizie sugli idrocarburi hanno attratto la mia attenzione nell’ultimo mese. L’ultima, e più rilevante, dice che l’International Energy Agency ha rilasciato uno studio con alcune previsioni di scenario sull’energia nei prossimi decenni. I fatti salienti sono stati riportati, ad esempio, dal Financial Times e da Reuters. Vi invito a leggere i riferimenti citati dove c’è dovizia di particolari. In sostanza, l’IEA prevede che nel giro di cinque anni gli USA raggiungeranno Russia e Arabia Saudita nella produzione di petrolio; questo paese, tuttavia, riprenderà il primato
intorno al 2035, grazie a continui aumenti di produzione. Per gli USA saranno fondamentali i contributi alla produzione dati dal cosiddetto petrolio alternativo (ad esempio prodotto grazie al “fracking”), tanto che il paese potrebbe raggiungere l’autosufficienza energetica nel 2035. Per quanto riguarda il prezzo, normalizzato all’inflazione, per il 2035 si
prevede una forchetta tra i 125 e i 145 dollari (in valuta attuale) per barile; un costo che, nel caso peggiore, è sostanzialmente allineato ai record di quattro anni fa, quindi sostenibile. Non male per una fonte energetica di cui i guru ambientalisti avevano previsto il picco (più volte in passato, sbagliando) e la rapida obsolescenza. A completare il
panorama, lo studio sostiene che “i combustibili fossili rimarranno dominanti in generale nel mix energetico globale” e la quota del carbone diminuirà solo marginalmente nel 2035.

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Clima: Un fine incerto e una strada sbagliata.

E’ un dibattito distorto quello sul ruolo delle attività umane nelle dinamiche del clima. Lo è perché la scienza è stata politicizzata. Lo è perchè sono piovute valanghe di soldi, assolutamente benvenuti quando si tratta di ricerca sia essa scientifica o tecnologica, molto pericolosi invece quando si tratta di lobbying.

Quando è iniziato tutto questo? Si potrebbe dire molto tempo fa, per esempio con la conferenza di Rio del 1992, ma la svolta vera e propria è molto più recente. Senza la pubblicazione del Rapporto Stern del 2007, la pubblicazione che presagiva una netta contrazione del PIL mondiale a causa degli sconquassi climatici, la scienza del clima non sarebbe mai entrata nei salotti buoni della finanza. A seguire, sempre nel 2007, il 4° report dell’IPCC che svelava al mondo le ragioni della presunta emergenza.

E l’argomento clima, ovvero la necessità di porre in essere delle politiche di mitigazione, balzò in cima all’agenda politica. Ma, un summit fallito dopo l’altro e, soprattutto, la crisi finanziaria che ha messo in ginocchio quelle che se non sono più le locomotive economiche del mondo certamente lo erano per le policy climatiche, hanno via via contribuito a spegnere gli entusiasmi sulle tematiche climatiche. Più pressante, inevitabilmente, la necessità per molti di evitare il disastro finanziario, al quale forse hanno contribuito nel recente passato anche le disinvolte politico clima-economiche drenando risorse ai cicli produttivi del mondo occidentale.

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Dalla CECA alla Comunità Europea del pannello solare e delle banche

[info]

“Cinquantatre settimane di sciopero, nel 1984, in Inghilterra. da una parte il sindacato dei minatori guidato da Arthur “King Arthur” Scargill, dall’ altra il nuovo governo conservatore di Margheret Thatcher, deciso a farla finita con l’ estrazione del carbone, ultimo retaggio della rivoluzione industriale, e proiettato verso una politica ultraliberista di demolizione dello stato sociale”.

[/info]

Così si descriveva quasi 30 anni fa la decisione della chiusura delle miniere di carbone da parte della “Lady di ferro”, per ricordare il clima si può rivedere il brano finale del film “Grazie, signora Thatcher” in cui i minatori del carbone si lamentavano del fatto che se fossero stati foche o balene la popolazione si sarebbe indignata, invece si trattava solo di comunissimi e normalissimi “esseri umani” (youtube qui).

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