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Tag: Fonti rinnovabili

Le transizioni energetiche: sogni e realtà.

Dopo aver letto il post di G. Guidi “Protocolli, emissioni e crisi, se vi piace così…” del 22/04/2014, ho avuto occasione di leggere un interessante articolo a firma di Vaclav Smil pubblicato sul numero di “Le Scienze” di aprile 2014. Vaclav Smil è professore emerito presso l’Università di Manitoba ed è uno dei maggiori esperti mondiali di problemi energetici e non solo (chissà perché le voci fuori dal coro del consenso sono quasi esclusivamente di professori et similia “emeriti”: forse perché non hanno più necessità di pubblicare o chiedere contributi? 🙂 )

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La supercazzola fotovoltaica

La notizia è la seguente (Ansa):

Solare produce piu’ di quanto consuma

Bilancio positivo tra produzione e uso per costruire pannelli

ROMA – L’industria fotovoltaica mondiale ha raggiunto l’obiettivo di produrre piu’ energia di quanta ne viene consumata per fabbricare e installare i pannelli fotovoltaici. A dirlo e’ una ricerca della Stanford University pubblicata sulla rivista Environmental Science & Technology.Se cinque anni fa l’energia necessaria per costruire e mettere in funzione i pannelli era superiore al 75% rispetto a quella prodotta sfruttando il sole, secondo i ricercatori ora esiste una buona probabilita’ – superiore al 50% – che il fotovoltaico sia passato, nel 2012, a produrre piu’ di quel che consuma.Negli ultimi anni il mercato del fotovoltaico ha visto una crescita esponenziale. Secondo l’ultimo rapporto dell’European Photovoltaic Industry Association, l’anno scorso gli impianti hanno superato i 100 gigawatt di potenza installata nel mondo, attestandosi poco sopra i 101 GW, grazie a un incremento annuale annuale record intorno ai 30 GW registrato nel 2011 e nel 2012.Stando alla ricerca, se si proseguisse con un tasso di installazione elevato, l’industria fotovoltaica potrebbe ripagare il suo ”debito”, cioe’ il maggior quantitativo di energia consumata rispetto a quella prodotta negli anni scorsi e le conseguenti emissioni di Co2, tra il 2015 e il 2020.

 

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Problemi spinosi spiegati male

Qualche giorno fa, riprendendo una pubblicazione dell’Earth Policy Institute, l’Ansa ha lanciato l’agenzia che segue:

 

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A fossili fondi 3 volte superiori a rinnovabili

Epi, nel 2011 ben 620 miliardi di dollari contro appena 88

ROMA – Troppi fondi alle energie fossili: secondo l’Earth Policy Institute (EPI), che si basa sui dati della International Energy Agency (IEA) nel 2011 alle fonti convenzionali sono andati ben 620 miliardi di dollari, mentre alle rinnovabili appena 88. L’Epi nel sottolineare come i combustibili fossili godano di aiuti pubblici tre volte superiori alle energie alternative, punta il dito contro le politiche dei governi che a parole combattono il cambiamento climatico e nei fatti erogano sussidi alle fonti maggiormente responsabili.

Secondo le indagini gli Stati, con in testa Iran, Arabia Saudita, Russia, India e Cina, avrebbero aumentato nel 2011 del 20% i sussidi pubblici ai combustibili fossili a 623 miliardi di dollari, di cui 100 alla produzione e 523 al consumo. I sussidi alle fossili hanno assunto varie forme riconducibili a due tipologie: gli incentivi alla produzione (franchigie e altri sgravi fiscali a chi estrae petrolio, gas e carbone ad esempio) e incentivi al consumo (sconti sulle bollette o sul pieno alla stazione di rifornimento). Resta il petrolio la fonte piu’ ”sostenuta” con 285 miliardi di dollari. Segue il gas con 104 miliardi, mentre si conferma la ”cenerentola” il carbone con 3 miliardi di dollari. In testa ai paesi mecenati delle fonti sporche sono gli stessi produttori, Emirati arabi, Kuwait, Katar e Arabia Saudita in testa.

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Segnali di crisi

Non che ce ne sia bisogno, visto che volendo scherzarci su si può tranquillamente dire che la crisi sia tutto intorno a noi, ma vale la pena riflettere su quanto segue, ovvero un breve post pubblicato sul blog di Assoelettrica.

 

Terna ha diffuso oggi i dati, ancora provvisori, sulla domanda elettrica di febbraio. La flessione dei consumi rispetto al mese di febbraio dello scorso anno è stata molto marcata segnando un -8,1%, un dato che anche depurato dei fattori di calendario (lo scorso anno era bisestile) e degli effetti di temperatura si mantiene molto negativo e pari al -5,1%. Un calo che si è differenziato sul territorio nazionale -7,2% al Nord, -7,9% al Centro e -10,0% al Sud.Nel mese di febbraio 2013 l’energia elettrica richiesta in Italia è stata pari a 25,7 miliardi di kWh e si registra un impressionante calo della produzione da termoelettrico (-23,9%) mentre sono aumentate la produzione di idroelettrico (+43%), eolico (+19,1%) e fotovoltaico (+11,2%). Non si è fatto attendere il commento Chicco Testa, presidente di Assoelettrica, che ha definito ‘catastrofici’ i dati relativi alla domanda di energia elettrica nello scorso mese di febbraio ed ha stigmatizzato come questi siano un sintomo delle gravissime condizioni nelle quali versa l’economia del paese, ad iniziare, naturalmente, dal settore elettrico e termoelettrico in particolare. Il presidente di Assoelettrica ha inoltre evidenziato come la serie negativa proceda costante da ormai più di un anno e mezzo e che il drastico calo della produzione da termoelettrico registrata a febbraio sia un elemento che pone urgentemente all’ordine del giorno una revisione delle regole che garantiscono la sicurezza del sistema elettrico. I produttori termoelettrici, chiamati comunque a mettere a disposizione la potenza dei loro impianti, in particolare per bilanciare le fonti rinnovabili non programmabili, rischiano infatti di non essere più in grado di coprire i costi variabili, dopo che per più di un anno hanno visto azzerarsi i margini operativi. Insomma: la situazione del settore da pesante va facendosi insopportabile.

 

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Chi ha ucciso le rinnovabili? Per chi avesse ancora qualche dubbio…

Una morte in culla quella delle fonti rinnovabili? Non proprio, perché il corpaccione era già bello grosso prima di finire in stato comatoso irreversibile.

 

E quindi cosa? Un’utopia, un’occasione persa o, molto più semplicemente la classica storiaccia all’italiana? Tutte e tre le cose insieme. Che le fonti rinnovabili possano un giorno sostituirsi a quelle tradizionali per assicurare il fabbisogno energetica attuale e futuro è chiaramente utopico. Che però qualcosa di buono senza ridursi sul lastrico si potesse fare è sempre stato vero, ma se ne è persa l’occasione, appunto spendendo una fortuna per avere molto poco. E questo è accaduto, specialmente da noi, secondo il più classico dei copioni fallimentari del belpaese.

 

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Il vento nella terra di mezzo

“L’energia eolica è in una terra di mezzo, è ancora una delle fonti rinnovabili con potenziale più elevato, ma la nostra ricerca suggerisce che dobbiamo prestare attenzione ai suoi limiti e impatti climatici se vogliamo espanderla oltre alcuni terawatt”

 

Finisce così l’articolo che Science Daily ha dedicato ieri ad uno studio pubblicato recentemente su Environmental Research Letters:

 

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Abracadabra

Lo scorso 29 novembre Roberto Vacca ha affibbiato l’etichetta (motivandola) di “wishful thinking” (pensiero distorto per confermare desideri di eventi improbabili), alla proiezione del World Energy Outlook dell’IEA in cui, tra le altre cose, si prospetta un ricorso alle risorse rinnovabili pari al 33% del fabbisogno globale per il 2035.

Qualche giorno fa è uscito su Science Daily il commento ad uno studio condotto negli Stati Uniti e pubblicato sul Journal of Power Sources con questo titolo:

Cost-minimized combinations of wind power, solar power and electrochemical storage, powering the grid up to 99.9% of the time

Ci vogliono quasi 40 dollari per leggere il lavoro, per cui, dati i tempi di magra, per ora ci dobbiamo accontentare di quanto riportato su SD. E pare proprio che il wishful thinking continui, perché il limite temporale è addirittura più breve di quello prospettato dall’IEA, si parla del 2030, ma le mirabilie delle risorse rinnovabili sarebbero triplicate. Il segreto sarebbe nell’uso di reti interconnesse su ampia scala spaziale – nella fattispecie il modello impiegato lavora su di un’area che copre circa 1/5 del fabbisogno energetico degli USA – nel mix di risorse rinnovabili impiegato – eolico off-shore, eolico sulla terraferma e fotovoltaico – ma, soprattutto, in una acquisita capacità di immagazzinamento dell’energia che può essere ricavata dalle fonti rinnovabili, per loro natura fonti discontinuee, in batterie o in celle a combustibile, cioè serbatoi di idrogeno.

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Mirror posting – Fotovoltaico, il grande inganno

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Questo articolo è uscito in originale su “La Nuova Bussola Quotidiana“.

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di Fabio Spina

La notizia di questi giorni è che il progetto faraonico dei pannelli solari nel deserto nord africano, detto Desertec, deve far fronte a sempre maggiori difficoltà e le illusioni dell’esordio sembrano dover cominciare a fare i conti con la realtà. A gelare l’entusiasmo dei suoi partecipanti sono la crisi economica mondiale, i cambiamenti politici seguiti alle rivoluzioni della ex-“primavera araba” ed il mercato dell’anidride carbonica in agonia.

Si è ritirata per prima la Spagna, lo stato delle casse sembra non permettere l’assorbimento dei costi derivanti dal passaggio di ulteriore capacità sull’elettrodotto sottomarino esistente (capacità tra 400 e 1000 MW) che collega Marocco e Spagna, attraverso lo stretto di Gibilterra.  Su tale elettrodotto avrebbe dovuto passare tutta l’energia prodotta da Desertec. Più recentemente si è ritirato il gruppo industriale tedesco Bosch, seguendo di qualche settimana l’uscita di scena del conglomerato Siemens, tedesco pure lui, che ha previsto di mettere in liquidazione tutte le sue attività legate al settore solare. “Abbiamo deciso di non portare avanti la nostra partecipazione in Desertec l’anno prossimo (…) a causa di una situazione economica più difficile”, ha spiegato un portavoce del gruppo Bosch. Desertec ora si ferma e sta cercando nuovi soci, spera che i cinesi si facciano avanti.

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L’Europa tra fabbisogno energetico ed emissioni

di Gianluca Alimonti

Alla base di qualunque attività umana vi è l’energia: volendo mantenere una propria autonomia politica, economica e culturale, l’Europa si deve assicurare un adeguato approvvigionamento che garantisca l’indipendenza energetica.

Sino a qualche secolo orsono la domanda energetica era piuttosto limitata: le poche rinnovabili ed il legname erano sufficienti ed anche quando l’invenzione della macchina a vapore ha rivoluzionato la società, il carbone autoctono europeo bastava a soddisfare la domanda. Oggi l’enorme crescita delle richieste energetiche ha rivoluzionato completamente il panorama mondiale e dal grafico seguente si osserva quali siano le potenze emergenti e quali quelle in declino.

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Uno sguardo sul futuro dell’energia

Due notizie sugli idrocarburi hanno attratto la mia attenzione nell’ultimo mese. L’ultima, e più rilevante, dice che l’International Energy Agency ha rilasciato uno studio con alcune previsioni di scenario sull’energia nei prossimi decenni. I fatti salienti sono stati riportati, ad esempio, dal Financial Times e da Reuters. Vi invito a leggere i riferimenti citati dove c’è dovizia di particolari. In sostanza, l’IEA prevede che nel giro di cinque anni gli USA raggiungeranno Russia e Arabia Saudita nella produzione di petrolio; questo paese, tuttavia, riprenderà il primato
intorno al 2035, grazie a continui aumenti di produzione. Per gli USA saranno fondamentali i contributi alla produzione dati dal cosiddetto petrolio alternativo (ad esempio prodotto grazie al “fracking”), tanto che il paese potrebbe raggiungere l’autosufficienza energetica nel 2035. Per quanto riguarda il prezzo, normalizzato all’inflazione, per il 2035 si
prevede una forchetta tra i 125 e i 145 dollari (in valuta attuale) per barile; un costo che, nel caso peggiore, è sostanzialmente allineato ai record di quattro anni fa, quindi sostenibile. Non male per una fonte energetica di cui i guru ambientalisti avevano previsto il picco (più volte in passato, sbagliando) e la rapida obsolescenza. A completare il
panorama, lo studio sostiene che “i combustibili fossili rimarranno dominanti in generale nel mix energetico globale” e la quota del carbone diminuirà solo marginalmente nel 2035.

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Quando il pannello ti accoppa il generatore

La Pramac è, ma si dovrebbe dire era, un’azienda leader nella produzione di generatori elettrici. Punto di riferimento industriale della Valdelsa, in Toscana, 430 dipendenti…

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