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Tag: NAO

L’inverno, il freddo e l’acqua calda dell’Atlantico

Appena ieri abbiamo fatto un bel giro nelle acque dell’Oceano Atlantico, leggendo di una recente ricerca che ha messo in relazione l’attività solare e quella vulcanica con le variazioni di lungo periodo delle temperature di superficie del mare, oscillazioni note come AMO, Atlantic Multidecadal Oscillation. L’argomento è sia per l’Europa che per gli Stati Uniti orientali particolarmente interessante, perché l’AMO, come l’AO (Artic Oscillation) e alla NAO (North Atlantic Oscillation), che sono però indici atmosferici e non oceanici, potrebbe giocare un ruolo significativo nella variabilità interannuale, leggi differenza tra un anno e l’altro, e nel persistere di condizioni climatiche con segno ben evidente anche nel medio e lungo periodo.

Restiamo perciò in Atlantico anche oggi, per leggere di un altro studio appena pubblicato:

Forcing of the wintertime atmospheric circulation by the multidecadal fluctuations of the North Atlantic ocean

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Dal ‘movimento meteo’: Interessante analisi delle dinamiche invernali

Il post che segue mi è stato segnalato da uno dei nostri lettori. Si tratta di una interessante analisi delle dinamiche troposferiche dell’emisfero settentrionale, sia in termini generali che con riferimento specifico ai primi due mesi di questa stagione invernale. In particolare si pone l’accento su quella che viene definita una scarsa rappresentatività di un indice teleconnettivo cui facciamo riferimento molto spesso nelle nostre discussioni, l’Oscillazione Artica. Al riguardo il concetto di ‘diminuzione’ della rappresentatività dell’AO non mi trova particolarmente d’accordo, specie perché, come leggerete, questa diminuzione scaturirebbe da una avvenuta modifica del sistema terra-mare-atmosfera in area polare, cioè, dal trend negativo dell’estensione dei ghiacci artici. Una diminuzione di estensione certamente avvenuta, ma sui cui feedback in termini di distribuzione della massa atmosferica c’è decisamente ancora molto da capire. Pur trovandomi assolutamente concorde sulla chiave di lettura impostata proprio sulla distribuzione della massa e della conseguente circolazione atmosferica, più che pensare ad una diminuzione della rappresentatività dell’AO sarei dell’idea che l’indice, che descrive l’intensità della circolazione zonale, debba essere guardato con occhi diversi a pari valore assunto, in relazione alle dinamiche di lungo periodo della latitudine attraverso la quale scorre il fronte polare, cioè in relazione a quanto è più o meno estesa verso sud l’aria polare durante la stagione invernale. Questa mia è tuttavia solo una breve introduzione. Il contenuto dell’articolo, come vedrete, è ben più ricco di spunti interessanti e merita davvero attenzione. Buona lettura.

 

L’Arctic Oscillation e le “defaillances” di un indice – di Matteo Sacchetti e Antonio Pallucca

Si discute già ormai da diversi anni circa le “performance” descrittive di un importante indice teleconnettivo il cui utilizzo viene assunto per descrivere lo “stato di salute” del vortice polare troposferico.

In realtà l’Arctic Oscillation (fig. 1) definito da una proiezione ortogonale delle slp (1000 mb) dai 20° verso il polo, misura, come detto, il gradino barico tra queste latitudini e il valore è stato standardizzato dalle deviazioni standard (base NCEP/GFS) del modello su basi annuali 1979/2000.

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L’inverno? Te lo dice l’ottobrata!

Il titolo di questo post è un po’ stirato, come sarà chiaro più avanti, ma a pensarci bene c’è più di un fondo di verità. Vi spiego subito perché.

 

Come abbiamo avuto già modo di discutere tra il serio e il faceto alcuni giorni fa, sono ormai quasi maturi i tempi perché si scateni la ‘caccia all’inverno’, ovvero perché si cominci a cercare di capire quale potrebbe essere il carattere della prossima stagione fredda. Un bel dilemma. Per risolverlo però, di qui in avanti, potremmo avere a disposizione uno strumento in più, anche piuttosto potente.

 

Alcuni giorni fa l’amico Aldo Meschiari mi ha segnalato un post uscito sul web meteogiuliacci.it. Si tratta di un articolo in cui si descrive una ricerca portata avanti da tre autori italiani che ritengono di aver individuato un indice predittivo del segno e della modulazione dell’Oscillazione Artica (AO). Questo indice, insieme al suo simile, la NAO, è quello che meglio descrive il carattere della circolazione troposferica invernale nell’area Euro-Atlantica. Va da se’, quindi, che accrescere le capacità predittive del segno dell’AO sarebbe un bel passo avanti per le previsioni stagionali invernali, parecchio più avanti di quanto si sia mai riusciti ad andare utilizzando i modelli climatici accoppiati oceano-atmosfera, che stanno raggiungendo una discreta attendibilità per le fasce intertropicali, ma ne conservano ancora una scarsa o nulla sulle medie e alte latitudini, dove gli effetti di quel che succede ai tropici sono sì importanti, ma difficilmente distinguibili.

 

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Previsioni forse attendibili ma certamente verificabili

 Negli ultimi giorni ci è capitato di parlare spesso della ciclicità di molte dinamiche climatiche e del loro concorrere a determinare condizioni generali del sistema anche molto diverse tra loro, specie a scala spaziale regionale e per periodi di tempo relativamente brevi in senso climatico.

 

Una discussione latente e ricorrente, che ha ripreso vigore con la pubblicazione dell’ultimo paper di Judith Curry, The Stadium Wave. Oggi torniamo a parlare di clima in termini non globali ma emisferici, focalizzando l’attenzione su un pattern atmosferico di particolare importanza per il continente europeo e, quindi, anche per il nostro territorio. Si parla della NAO (North Atlantic Oscillation), ovvero di quell’indice circolatorio derivato dalla differenza tra i valori della pressione atmosferica alla latitudine delle Azzorre e quelli alla latitudine dell’ISlanda. La NAO, come sanno bene tutti quelli che si sono per diverse ragioni avvicinati alla meteorologia, è il metronomo del tempo sull’Europa. Infatti esprimendo di fatto la relazione di forza tra due configurazioni bariche permanenti come l’Anticilone delle Azzore e la Depressione d’Islanda, esprime anche l’intensità e la posizione del gradiente che le separa, e quindi anche il flusso atmosferico nel quale viaggiano le perturbazioni che dall’Atlantico si dirigono verso l’Europa. Con una NAO negativa (anticiclone debole), le perturbazioni aumentano la oro frequenza sul Mediterraneo, portando con se aria umida e temperata. Con una NAO positiva (anticilone robusto ed elevato gradiente) le perturbazioni tendono invece a ‘preferire’ il nord Europa.

 

Ora l’indice NAO possiede una variabilità che si esprime a diverse scale temporali, sia quella breve, più tipicamente meteorologica, sia quelle di medio e lungo periodo, più direttamente ascirvibili alla variabilità stagionale, interannuale e climatica. Del resto si tratta di un pattern atmosferico, di una derivata della circolazione atmosferica, ossia del mezzo attraverso il quale viene redistribuito il calore sul pianeta, per cui è intuitivo comprenderne il ruolo e l’importanza.

 

Appena qualche giorno fa, è stato accettato per la pubblicazione sul GRL un paper dal titolo molto interessante:

 

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Il livello del mare cresce molto più del previsto, ma anche molto meno del previsto: per cause prevalentemente naturali, però!

Nel recente passato ho avuto modo di esporre (qui e qui CM), alcune considerazioni relative ad articoli che si occupano del livello del mare e, in particolare, delle variazioni della velocità di aumento del livello del mare. Dal confronto delle varie pubblicazioni si può facilmente capire che la questione della velocità di variazione del livello del mare è piuttosto controversa: se da un lato molti autori sono propensi a scommettere su un forte aumento della velocità di variazione del livello del mare nei prossimi decenni, altri sono piuttosto scettici e propendono per un aumento del livello del mare piuttosto modesto. Le due linee di pensiero si rifanno, in linea di massima, a due modi differenti di stimare le variazioni del livello del mare: da una parte troviamo i fautori della modellazione semi-empirica, dall’altra i fautori dei modelli globali che stimano l’evoluzione dei fattori fisici che contribuiscono alla variazione del livello del mare nel futuro.

 

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Messaggi in bottiglia: un nuovo proxy geologico dell’Arctic Oscillation mostra una ciclicità a 1500 anni analoga a quella degli eventi di Bond e di Dansgaard-Oeschger

Un titolo esoterico per un articolo che si propone di porre l’accento su alcuni interessanti elementi legati sia all’evoluzione del clima europeo nel corso della glaciazione di Wurm e dell’Olocene sia alla prevedibilità del clima stesso.

Ma procediamo con ordine vedendo anzitutto di chiarire cosa si intende per eventi di Bond e di  Dansgaard–Oeschger.

 

Gli eventi di Bond (Bond et al., 1997) sono fluttuazioni climatiche del Nord Atlantico che si sono verificate mediamente ogni ≈ 1470 ± 500 anni lungo l’intero Olocene (info qui).  In base soprattutto allo studio delle oscillazioni nei depositi di detriti trasportati dai ghiacci oceanici (i messaggi in bottiglia del titolo) sono stati identificati un totale di 8 eventi che possono a ragione essere considerati i parenti interglaciali degli eventi di Dansgaard-Oeschger, riscaldamenti improvvisi manifestatisi in numero di circa 25 nel corso della glaciazione di Wurm.

Agli studi di Bond si richiama la letter di Darby et al  (2012) pubblicata sul numero di dicembre di Nature geoscience, in cui si descrive quello che può essere considerato come un nuovo proxy dell’AO (Artic oscillation) e  dunque del NAO (un analogo di AO) valido per gli ultimi 9000 anni.

 

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La forzante solare è in grado di influenzare il clima terrestre?

Una delle discussioni più appassionanti nell’ambito del dibattito sul clima, riguarda l’influenza del Sole sul sistema climatico terrestre. In particolare si dibatte circa l’influenza sul clima terrestre dell’intensità dei massimi solari e della profondità dei minimi solari. Secondo alcuni la PEG o LIA, cioè il periodo freddo che ha caratterizzato gli anni compresi grossomodo tra il 17° secolo e gli inizi del 19° secolo, fu originata da una lunga serie di minimi solari meglio conosciuti come Minimo di Maunder.

Molti climatologi danno poco credito a questa attribuzione e, probabilmente a ragione, chiamano in gioco molte altre cause. Alcuni hanno cercato addirittura di negare l’esistenza della PEG o di ridimensionarla a fenomeno locale e, quindi, di scarso interesse globale. A mio modesto parere “in medio stat virtus” che, tradotto, significa che la PEG ha avuto molte concause tra cui anche il Sole. Dello stesso avviso, per esempio, sono gli autori di un articolo pubblicato sulla rivista THE HOLOCENE lo scorso mese di ottobre:

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La moderna ‘piccola’ Età Glaciale

E’ sulle news di Nature Geoscience, e di lì ha già fatto il giro del mondo. Una notizia che naturalmente si è trasformata passando di media in media. C’è chi ne ha sottolineato il rinnovato sapore catastrofico, pur con un intrigante cambiamento di segno rispetto alla norma; chi ha preferito concentrarsi sul fatto che in fondo si tratta di previsioni stagionali o annuali, pratica in cui chi ha diffuso questa news non si è proprio distinto negli ultimi anni; e c’è chi l’ha presa per quello che è, un probabile passo avanti nella direzione giusta per comprendere i complessi meccanismi del clima – o almeno una parte di essi- nel medio e lungo periodo climatico.

Si parla del forcing esercitato dal Sole sul sistema. Finalmente, dopo un lungo periodo di vero e proprio oscurantismo, la possibilità di disporre di misurazioni accurate di una componente importante della radiazione solare, la radiazione ultravioletta, ha permesso che di accendere la luce. Per anni infatti, le simulazioni climatiche sono state fondate sul principio che l’attività solare, intesa esclusivamente come TSI (Radiazione Incidente Totale), non avesse alcun impatto tangibile sulle dinamiche del sistema. Stabile o quasi la TSI, molto variabile il clima, i due sistemi non potevano essere legati.

Di qui la pratica di inserire la componente solare nei modelli di simulazione climatica come costante. Grazie alle misurazioni ottenute dal programma satellitare SORCE, sono state rilevate delle oscillazioni della radiazione ultravioletta che arriva dal Sole cinque volte maggiori di quanto si riteneva possibile. Inserendo questi dati in un modello climatico, ne è venuta fuori una ricostruzione a scala stagionale dei pattern atmosferici dell’area del nord Atlantico molto più fedele alle osservazioni di quanto fosse mai accaduto. In particolare, i periodi di scarsa attività solare e di conseguente forte diminuzione della radiazione UV, riproducono il pattern della circolazione atmosferica della NAO (Oscillazione del Nord Atlantico) negativa, un modello circolatorio che genera l’abbassamento di latitudine della rotta delle perturbazioni atlantiche, con relativo frequente interessamento dell’Europa mediterranea e con aria fredda di origine polare che si spinge con maggiore frequenza sul settore settentrionale del continente.

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Sole sulla Laguna Veneta

Potrebbe essere l’incipt di una previsione a scala locale, peraltro quanto mai attuale. Su queste pagine però, di previsioni ne facciamo molto poche e, quindi, non sarà  questo il caso. Quel che ci interessa è piuttosto quanto pubblicato recentemente da un gruppo di ricercatori italiani1 dell’Università  di Venezia sul Journal of Geophysical Research.

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  1. Zanchettin, Rubino, Traverso e Tomasino – Dipartimento di Scienze Ambientali []
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Ancora su Vigo di Cadore

Quanto segue è un breve estratto dell’intervento di Carlo Colarieti Tosti alla conferenza di Vigo di Cadore. A breve speriamo di poter rendere disponibile on line qualcosa di più di un sunto che, tuttavia come scoprirete tra poco, offre spunti decisamente interessanti ed apre, io credo, un dibattito ad ampio spettro. Proprio come è ampia la serie di argomenti che Carlo ha affrontato nella sua trattazione. Buona lettura.

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