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Climatemonitor Posts

I dati NOAA aggiornati a novembre 2012

Le anomalie di temperatura media mondiale terra+oceano (GHCN-M 3.2.0) scaricabili da qui sono state aggiornate con i dati relativi al mese di novembre 2012.

Si può trovare una descrizione dell’aggiornamento precedente (ottobre 2012) qui, mentre grafici e dati numerici sono disponibili qui.

Tutti i confronti vengono fatti rispetto ad agosto 2012 e riprende da questa data la descrizione dell’evoluzione temporale dei parametri.

La differenza di anomalia tra agosto ’12 e novembre ’12 (pdf) è:

Fig.1: Differenza tra le anomalie di agosto e di novembre 2012. Se la temperatura di riferimento è la stessa, il grafico rappresenta la differenza di temperatura tra agosto e ottobre. Viene mostrato anche il fit lineare dei dati.
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La spia che veniva dal freddo

Niente camuffamenti o improbabili travestimenti, quella di cui parliamo oggi è una spia molto sui generis. Una spia climatica, che però per i meno attenti, potrebbe anche passare per meteorologica.

Andiamo con ordine.

Parecchio tempo fa abbiamo pubblicato un post in cui, dati alla mano, si è dimostrato quanto influisca sulla piega che il clima prende nel medio periodo sull’area Euro-Asiatica il valore che assume l’indice zonale. In poche parole, con flussi medi persistenti ad elevata zonalità per parecchi anni, cioè veloci correnti ovest-est, la “fabbrica del freddo”, meglio nota come anticiclone termico russo-siberiano stenta ad affermarsi e quindi le probabilità che quell’aria fredda sconfini verso l’Europa centrale durante la stagione invernale si riducono al minimo, rendendo mediamente più miti le nostre stagioni fredde. Diversamente, con una circolazione lenta con indice zonale mediamente basso, l’anticiclone russo-siberiano cresce indisturbato e le sue propaggini più occidentali possono venire a farci visita.

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Relazione temporale tra CO2 e temperatura

Su CM è apparso recentemente un post a firma Luigi Mariani che descrive l’interessante articolo di Humlum et al., 2012:

The phase relation between atmospheric carbon dioxide and global temperature su Global and Planetary Change, 100, 51-69, 2013 (qui abstract e figure).

Nell’articolo si mostra che, almeno per il periodo considerato, gennaio 1980- dicembre 2011, i picchi dell’anidride carbonica sono successivi ai picchi della temperatura e che questo avviene per diversi set di dati (GISS, HadCrut3, HadSST2, NCDC). Con i dati di CO2 antropogenica del CDIAC e con le eruzioni vulcaniche del set GWP gli autori trovano una minore correlazione (o meglio co-variazione) ma è sempre presente la crescita della CO2 che segue la crescita dei valori delle temperature.

L’analisi viene fatta introducendo una grandezza (DIFF12) che risente poco delle fluttuazioni locali dei dati e che si configura come una differenza tra la media mobile a 12 mesi dell’ultimo mese meno la media mobile a 12 mesi relativa al mese precedente. Il calcolo di DIFF12 viene preceduto da una media mobile a 12 mesi dei dati della CO2 globale per eliminarne l’influenza stagionale. Per chiari motivi di uniformità le stesse operazioni vengono applicate ai dati con cui si confrontano i valori della CO2.

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Se qualcuno pensasse che si tratta di un gioco

Freddo polare, caldo africano, bombe d’acqua o siccità degne di un deserto, al giorno d’oggi sembra che nella comunicazione meteorologica non esista altro. Con l’aggiunta, che fa molto colore ma anche molta confusione, di nomi epici e spaventevoli affibbiati a questo o quell’evento.  Tutto questo, a prescindere dalla caratterizzazione scientifica degli stessi e, ancora più grave, dall’impatto reale che questi possono avere.

Un impatto spesso molto significativo, tanto che nell’attuale contesto di scarsità delle risorse a disposizione, si sta sentendo sempre più spesso parlare di copertura assicurativa contro gli eventi atmosferici obbligatoria, laddove le forme volontarie in effetti già esistono ma in un panorama piuttosto disomogeneo e confuso. A breve dunque avremo un problema, perché quando cominceranno ad esserci di mezzo i soldi, quelli veri, quelli delle multinazionali del rischio assicurativo, in un modo o nell’altro  si dovrà fare chiarezza: chi decide quando un evento è estremo e quando non lo è? E chi decide quale parte dei costi deve andare a carico dei singoli danneggiati, quale altra alle compagnie assicurative e, eventualmente, quale altra ancora a carico dello Stato? E, soprattutto, chi decide se il problema è ascrivibile agli eventi meteorologici o se entrano in gioco altri fattori purtroppo noti come il dissesto idrogeologico o l’edilizia speculativa?

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Let the sky fall

Ho aggiunto un’imamgine al post, andate sotto.

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Let the sky fall è il titolo del brano di Adele inserito nella colonna sonora dell’ultimo film di James Bond, decisamente appropriato all’argomento di questo post. Il primo verso recita “This is the end” e mi immagino moltitudini di “esperti climatici” costernati che lo intonano malinconicamente guardando l’orizzonte di una catastrofe climatica che si allontana.

Siamo ancora nell’ambito della bozza del prossimo report IPCC pubblicata da WUWT. E il cielo cade. Cade sulla catastrofe climatica, cade sulla sua trasposizione nella realtà, gli eventi estremi, cade su quel mostro senza forma e senza sostanza che qualcuno chiama politiche climatiche, cade – e forse qualcuno chiederà indietro il maltolto – sulla valanga di soldi che sono stati buttati al vento negli ultimi anni.

La bozza del quinto report IPCC, riprendendo quanto riportato nell’altro report espressamente dedicato agli eventi estremi (SRREX), rovescia completamente le affermazioni del quarto report IPCC del 2007. Trend non significativi o assenti per siccità, alluvioni e cicloni tropicali, trend assenti o non significativi per i cicloni extra-tropicali intensi e così via. Ma l’aspetto più interessante è che queste affermazioni sono in linea con la letteratura scientifica ad oggi disponibile. Il problema è che quelle contenute nell’AR4 non lo erano e sono anni che ne discutiamo. Ognuno la veda come crede, anche perché c’è da scommettere che qualcosa cambierà nella versione finale, come proprio l’IPCC fa sapere commentando il rilascio di queste indiscrezioni, ma il clima pare sia tornato ad essere quello di sempre, pericoloso per definizione, non per mano maldestra dell’uomo.

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Lo sporco segreto delle policy climatiche

The dirty secret of climate policy, così inizia il post di Roger Pielke jr che oggi vi invito a leggere.

Ho deciso di proporvelo quando mi è capitata sotto gli occhi questa frase di Christina Figueres, Segretario Esecutivo dell’UNFCCC, presa però in un altro contesto:

[info]

… stiamo ispirando i governi, il settore privato e la società civile alla più grande trasformazione che abbiano mai intrapreso. Anche la rivoluzione industriale è stata una trasformazione, ma non è stata guidata da una prospettiva centralizzata. Questa è una trasformazione centralizzata che sta avendo luogo perché i governi hanno deciso di aver bisogno di dare ascolto alla scienza.

[/info]

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Finalmente hanno visto la luce

Folgorata come i fratelli “Joliet” Jake e Elwood Blues dell’indimenticabile capolavoro di John Landis. La scienza del clima ha visto la luce, anche se, come accade ormai da anni, riesce a farlo solo attraverso il buco della serratura. In questa materia si continua a procedere infatti più per atti più simili allo spionaggio ed al controspionaggio che ad un sano e aperto dibattito che aiuti ad aumentare il livello di conoscenza del funzionamento del sistema. Questo accade perché gli aspetti politici delle ipotizzate conseguenze di una deriva anomala delle dinamiche climatiche pesano ormai come macigni su ogni livello di discussione.

Ipotesi di future Carbon Tax, impiego di immani risorse finanziarie in politiche di mitigazione e di revisione dei sistemi di approvvigionamento energetico, aspetti puramente politici, la fanno da padrone in quello che invece dovrebbe essere un puro e semplice scambio di opinioni scientifiche. Del resto, l’organismo per eccellenza cui è delegato il compito di riassumere le posizioni che dovrebbero definire i confini dello stato dell’arte della conoscenza scientifica, l’IPCC, è a tutti gli effetti un organismo politico.

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Sette giorni di “Tempo” – 5/11 Dicembre 2012

di Luigi Mariani e Guido Guidi

Commento

Nel periodo di riferimento (5-11 dicembre 2012), l’intero comparto europeo e quindi anche l’area mediterranea sono state interessate da una massa d’aria polare marittima, per effetto di una circolazione in quota caratterizzata ancora da valori dell’indice zonale piuttosto bassi, con persistenza in territorio negativo tanto dell’indice AO quanto di quello NAO.

Ne è risultata una circolazione media dominata da due centri d’azione: un robusto promontorio in area atlantica, esteso dalle latitudini tropicali all’Islanda e una vasta depressione centrata sul Mar Baltico.

Ad una prima fase caratterizzata da un flusso nord-occidentale ad elevato gradiente con passaggio di più impulsi freddi, sul mediterraneo centrale e quindi anche sull’Italia, è seguita una circolazione con componente meridiana ancora più elevata, correnti che hanno pilotato una depressione polare attraverso l’Europa centrale fin sul nostro territorio. A tale depressione ed al suo contributo di aria artica marittima, si devono attribuire le nevicate da deboli a moderate osservate nel periodo.

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Abracadabra

Lo scorso 29 novembre Roberto Vacca ha affibbiato l’etichetta (motivandola) di “wishful thinking” (pensiero distorto per confermare desideri di eventi improbabili), alla proiezione del World Energy Outlook dell’IEA in cui, tra le altre cose, si prospetta un ricorso alle risorse rinnovabili pari al 33% del fabbisogno globale per il 2035.

Qualche giorno fa è uscito su Science Daily il commento ad uno studio condotto negli Stati Uniti e pubblicato sul Journal of Power Sources con questo titolo:

Cost-minimized combinations of wind power, solar power and electrochemical storage, powering the grid up to 99.9% of the time

Ci vogliono quasi 40 dollari per leggere il lavoro, per cui, dati i tempi di magra, per ora ci dobbiamo accontentare di quanto riportato su SD. E pare proprio che il wishful thinking continui, perché il limite temporale è addirittura più breve di quello prospettato dall’IEA, si parla del 2030, ma le mirabilie delle risorse rinnovabili sarebbero triplicate. Il segreto sarebbe nell’uso di reti interconnesse su ampia scala spaziale – nella fattispecie il modello impiegato lavora su di un’area che copre circa 1/5 del fabbisogno energetico degli USA – nel mix di risorse rinnovabili impiegato – eolico off-shore, eolico sulla terraferma e fotovoltaico – ma, soprattutto, in una acquisita capacità di immagazzinamento dell’energia che può essere ricavata dalle fonti rinnovabili, per loro natura fonti discontinuee, in batterie o in celle a combustibile, cioè serbatoi di idrogeno.

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