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Autore: Fabrizio Giudici

Ogni pioggia un’alluvione

Non so quanto la cosa sia stata ripresa dai media nazionali, ma il penultimo lunedì di agosto ha visto l’ennesimo evento alluvionale, questa volta in quel di…

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Orsi Polari e clima che cambia, dissonanza cognitiva e diete innovative

Dunque, uno dei simboli indiscussi del riscaldamento globale è l’orso polare. Il ghiaccio si scioglie e gli orsi polari affogano, estenuati, mentre cercano di arrivare…

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L’atmosfera è da pulire, ma non si trova il detersivo!

C’è un giochino di società in cui uno dice una parola più o meno a caso, il secondo ne dice dire una nuova, ad istinto,…

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Estate 2014 e polemiche meteo, tutto risolto col certificato di garanzia.

Dicono che sia un estate anomala: poco sole e troppa pioggia. Sarà colpa del riscaldamento globale? Mah, io ricordo che gli esperti di AGW “prevedevano”…

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A proposito del test dei modelli

Su Ars Technica è uscito un articolo sui modelli climatici e sul loro processo di sviluppo: “Perché fidarci dei modelli climatici? E’ una questione di scienza di base – Come i climatologi testano, ritestano e usano i loro tool di simulazione”. Essendo io un professionista di progettazione e sviluppo del software, incluso il test (in generale, la cosiddetta QA, Quality Assurance), l’articolo ha risvegliato vecchie curiosità. Per esempio, quando scoppiò il ClimateGate e parti di codice sorgente usati al Met Office vennero discussi come parte del “leak”, si commentò sulla loro scarsa qualità. In passato ho discusso sulla qualità del codice in ambito scientifico con alcuni colleghi che lavorano in centri di ricerca anche internazionali e mi hanno confermato che possono esserci grandi lacune sulla qualità dal punto di vista ingegneristico. Opinione rafforzata dall’accesso ad alcuni progetti di collaborazione tra università ed industria nel nostro paese. Ma queste sono tutte esperienze anedottiche e relative a contesti molto diversi tra loro: mi rimaneva la curiosità di vedere l’argomento trattato efficacemente da un esperto. Per questo ho letto con interesse l’articolo di Ars Technica; devo purtroppo concludere che è stato una grande delusione e vi spiegherò perché.

 

Prima di passare all’analisi dell’articolo, permettetemi di fare alcune premesse fondamentali per chi è a digiuno di alcuni concetti di base.

 

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Il triangolo? Non l’avevo considerato!

Qualche settimana fa Wired ha pubblicato un’interessante intervista a due divulgatori scientifici sul tema della comunicazione in scienza. Il tema principale, come si desume dal titolo, è relativo allo stereotipo dello scienziato incarnato da personaggi di film e telefilm di successo.

Ma i due intervistati accennano ad altri punti interessanti sui rapporti tra scienza, comunicazione e platea di ascoltatori. Il contesto dell’intervista è quello della scienza “speculativa”: in particolare, si fa riferimento alle teorie cosmologiche e della fisica delle particelle, quelle che stanno un po’ al confine con il paradossale e la fantascienza, ma direi che le considerazioni espresse valgono in generale per qualsiasi campo scientifico.

 

Uno dei temi è stato affrontato più volte su CM: il fatto che, grazie alla pervasività del web, il grande pubblico ha accesso non solo alla conoscenza scientifica già consolidata, ma anche al dibattito in corso, per così dire “in tempo reale”; più precisamente, anche a bozze di articoli che non sono ancora stati sottomessi alla peer review. In ambito climatologico, più volte i redattori di CM hanno proposto o segnalato discussioni proprio di questo tipo e sono state registrate diverse
opinioni sull’opportunità di questa grande circolazione di informazioni.

 

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Dannato climate change, anche un treno rispedito…al mittente!

Qualche tempo fa su ClimateMonitor si discuteva di previsioni climatiche e del loro impatto sulle policy facendo distinzione tra breve, medio e lungo termine. Direi che questa distinzione è diventata ancora più importante visto che, abbandonata l’iniziale superficialità dei modelli climatici che ci vedevano andare arrosto “monotonicamente” (“farà sempre più caldo, anno dopo anno, stagione per stagione“) e con omogeneità geografica (“farà più caldo dappertutto, dai poli all’equatore“), ci siamo resi conto che:

 

  1. il riscaldamento si è fermato da più di un decennio, evidentemente a causa della sovrapposizione di vari fenomeni soggetti a ciclicità;
  2. mentre in certi posti fa più caldo, in altri fa più freddo, con ampie variazioni stagionali.

 

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Quando un dettaglio può fare la differenza

Un paio di settimane fa, IlSole24Ore ha pubblicato un intervento del prof. Ehrlich, noto teorico della catastrofe demografica. Quest’area di pensiero è spesso criticata qui su CM e personalmente condivido questo atteggiamento scettico. A parte la mia opinione personale, scrivo questo post sotto forma di esercizio di ragionamento sul modo di comunicare e percepire una ricerca scientifica.

 

La mia curiosità è stata attratta da questo passaggio:

 

“Più di un millennio di cambiamento della temperatura e delle modalità delle precipitazioni, elementi vitali per la produzione dei raccolti, hanno messo il pianeta  di fronte a temporali sempre più violenti, a siccità e alluvioni. Pertanto, mantenere (figuriamoci espandere) la produzione alimentare sarà sempre più difficile.”

 

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Uno sguardo sul futuro dell’energia

Due notizie sugli idrocarburi hanno attratto la mia attenzione nell’ultimo mese. L’ultima, e più rilevante, dice che l’International Energy Agency ha rilasciato uno studio con alcune previsioni di scenario sull’energia nei prossimi decenni. I fatti salienti sono stati riportati, ad esempio, dal Financial Times e da Reuters. Vi invito a leggere i riferimenti citati dove c’è dovizia di particolari. In sostanza, l’IEA prevede che nel giro di cinque anni gli USA raggiungeranno Russia e Arabia Saudita nella produzione di petrolio; questo paese, tuttavia, riprenderà il primato
intorno al 2035, grazie a continui aumenti di produzione. Per gli USA saranno fondamentali i contributi alla produzione dati dal cosiddetto petrolio alternativo (ad esempio prodotto grazie al “fracking”), tanto che il paese potrebbe raggiungere l’autosufficienza energetica nel 2035. Per quanto riguarda il prezzo, normalizzato all’inflazione, per il 2035 si
prevede una forchetta tra i 125 e i 145 dollari (in valuta attuale) per barile; un costo che, nel caso peggiore, è sostanzialmente allineato ai record di quattro anni fa, quindi sostenibile. Non male per una fonte energetica di cui i guru ambientalisti avevano previsto il picco (più volte in passato, sbagliando) e la rapida obsolescenza. A completare il
panorama, lo studio sostiene che “i combustibili fossili rimarranno dominanti in generale nel mix energetico globale” e la quota del carbone diminuirà solo marginalmente nel 2035.

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Sic Transit Gloria Mundi

Qualche anno fa Al Gore iniziava la sua grande ascesa personale nelle vesti di gran sacerdote della guerra all’Anthropogenic Global Warming: produttore del film “Inconvenient truth”, speaker…

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Questione di dettagli

In questa estate calda numerosi articoli hanno citato lo scioglimento dei ghiacci nordici. Qui su ClimateMonitor ogni notizia è stata attentamente analizzata e contestualizzata in termini scientifici e la conclusione è che, come minimo, le notizie vengono quasi sempre amplificate con toni catastrofici. Da semplice “lettore attento” vorrei sottoporre alla vostra attenzione come il messaggio comunicato possa cambiare notevolmente in funzione di pochi dettagli od omissioni. Prendete per esempio questa notizia lanciata da Sole24Ore:

Alcuni velisti italiani hanno compiuto un’impresa, navigando sulla rotta più a nord del Passaggio a Nord Ovest mai seguita da un’imbarcazione da diporto:

CITAZIONE: Billy Budd è la prima barca da diporto a passare così a nord, durante questa stagione era “inseguita” da altre barche, che hanno fatto tardi più a sud, lungo una rotta sulla carta più facile.

Ovviamente grazie al riscaldamento globale, come il giornalista si preoccupa di sottolineare in apertura:

CITAZIONE: E’ tutta colpa dell’innalzamento delle temperature del globo… i ghiacci artici da qualche anno si sciolgono e le vie che sono costate tante vite umane nei secoli scorsi diventano possibili.

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I data center alimentati da centrali solari sono veramente verdi?

Sin dalla sua prima introduzione nel mondo dell’informatica, avvenuta anni fa con termini differenti, la tecnologia delle “cloud” ha promesso, tra le altre cose, un minor impatto ambientale. Il concetto è che qualche grande multinazionale crea grossi “data center”, cioè centri operativi con un gran numero di computer, e “ospita” a pagamento il software che un cliente (un privato o un’azienda) vuol far girare. A parte enormi problemi di privacy, sotto certi punti di vista è un vantaggio per i clienti, i quali possono evitare di comprare dei PC da tenere “in casa”, visto che questi dispositivi notoriamente perdono valore molto velocemente. Ma l’economia di scala di un grande data center permetterebbe anche un grande risparmio energetico: consumerebbero meno dell’equivalente in PC “sparsi” per aziende e case.

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Non chiamateli eventi eccezionali

Dopo aver visto accadere a poca distanza dalla propria casa tragedie come l’ennesima alluvione della propria città, la seconda sensazione personale – subito dopo la condivisione del dolore altrui – è la nausea di vedere ripetersi, come negli ultimi trenta/quarant’anni di cui posso dare testimonianza personale, le solite discussioni che probabilmente non porteranno a niente. E’ un evento eccezionale; no, non lo è. Si poteva prevedere, si poteva evitare; no, non si poteva. E così via.

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