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Il Buco Ballerino

Gli appuntamenti ambiental-climatici ormai sono calendariali come le feste comandate. Ci sono Natale, Pasqua, il 25 aprile, il 1° maggio e ferragosto e c’è il minimo dei ghiacci artici, quello dei ghiacci antartici (solo se diminuiscono però), la stagione dei tornado, quella degli uragani (solo in America però, il resto del mondo non fa notizia, a meno che un monsone non sia un po’ più devastante del solito) e c’è infine il buco dell’ozono.

Nel 1987 il Protocollo di Montreal, poi scimmiottato con scarsissimo successo da quello di Kyoto ma in materia climatica, fu il primo fulgido esempio di impegno globale per la salvaguardia dell’ambiente. Dito puntato sui CFC, elementi chimici allora largamente usati in campo industriale ritenuti responsabili di un processo chimico in grado di depauperare il contenuto di ozono nella stratosfera, generando così il famoso “buco” nello schermo che l’ozono costituisce nei confronti della radiazione UV.

Banditi i CFC, tutti da allora puntano il naso verso la stratosfera polare meridionale più o meno tra i mesi di settembre e ottobre, per vedere se il buco si chiude, si apre, insomma per vedere che fa. Per chi non lo sapesse, infatti, il fatidico buco non è perenne, ma si manifesta durante l’inverno australe, perché nel depauperamento dello strato di ozono hanno un ruolo determinante le basse temperature. Molto a spanne, una stratosfera polare meridionale fredda facilita la distruzione dell’ozono, mentre temperature più alte tendono a mitigare questo processo.

E così, appena un paio di giorni fa la NASA ha fatto sapere che il massimo di estensione del buco dell’ozono per il 2012 è in realtà un minimo, la seconda estensione più bassa dal 1979. Eureka! Il buco si riduce? Così titola il Corriere della Sera. Non proprio, verrebbe da dire, perché l’anno scorso il picco di massima estensione del buco arrivò il 12 settembre e allora si trattò di un massimo, nona piazza, sempre dal 1979. Grande variabilità interannuale indotta dalla temperatura quindi, cioè dalle dinamiche della circolazione stratosferica.

Ora, gli esperti della NASA, che giustamente mettono in evidenza proprio questo discorso, fanno notare che la variabilità naturale si sovrappone al trend di lungo periodo diversamente attribuibile all’azione dei CFC. I tempi di persistenza di queste sostanze in stratosfera pare siano molto lunghi, perciò bisogna aver fede nelle simulazioni che prevedono un’attenuazione dei loro effetti che si farà tangibile solo per la metà del prossimo secolo.

http://ozonewatch.gsfc.nasa.gov/

Però, mettiamoci comodi, perché, nel frattempo, grossi progressi non se ne vedono e ciò lascia presagire che la variabilità naturale possa essere un po’ più forte del previsto, come forse lo è stata all’epoca dell’allarme. Infatti la massima estensione del buco dell’ozono è stata misurata nel 2006, ben 19 anni dopo la messa al bando dei CFC. Inoltre, se gli anni immediatamente precedenti alla ratifica del Protocollo di Montreal (1979-1987) videro effettivamente una rapida diminuzione della concentrazione estiva, è pur vero che da allora non è cambiato quasi nulla e gli effetti delle solerti azioni intraprese ormai 25 anni fa tardano a mostrarsi. A meno che non si voglia interpretare come un successo il progressivo rallentamento della diminuzione della concentrazione, comunque interamente precedente all’iniziativa. Il discorso può essere valido, ma si deve digerire il fatto che la sola firma del protocollo abbia sortito effetti molto evidenti, mentre la sua applicazione ha bisogno di tempi molto più lunghi per avere successo. Anche perché purtroppo di dati antecedenti al 1979 non ce ne sono, e questa è una iattura, perché averli ci aiuterebbe quanto la variabilità naturale possa incidere su questo processo.

 

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Published inAttualità

3 Comments

    • donato

      A posto. Tutto è chiaro, raccattiamo i pezzi e torniamo a casa: IlSole24Ore (stando al titolo dell’articolo) ha risolto tutti i problemi climatologici. 🙂
      Scherzo, ovviamente, in quanto il giornalista autore dell’articolo tiene a precisare (nel corpo dell’articolo) che gli studi sono ancora in corso, quindi è presto per tirare le somme.
      L’articolo, comunque, contiene diverse “perle” che la dicono lunga sul grado di comprensione del fenomeno.
      Ciao, Donato.

  1. donato

    La fredda realtà dei diagrammi e, quindi, dei numeri che li sottendono a volte è sconcertante. Guardando i due diagrammi citati nel post sembrerebbe che la concentrazione dell’ozono, dal 1979 ad oggi, è diminuita solo nel periodo 1979-1994 restando, poi, praticamente costante. Il “buco”, invece, sembra seguire una sua dinamica del tutto indipendente dalla concentrazione dell’ozono. Saremmo portati a credere, quindi, che non esiste correlazione tra i due eventi. Il problema, secondo me, è che il periodo posto sotto osservazione è troppo breve per poter individuare delle relazioni di causalità. Ancora una volta, forse, si è gridato “al lupo” senza ragione. Anche questa, però, potrebbe essere una conclusione troppo precipitosa. Conviene, insomma, mettersi comodi ed aspettare un’altra trentina d’anni. Speriamo che la vita ce lo consenta! 🙂
    Ciao, Donato.

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