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Global Warming, eravamo più bravi prima di iniziare a combatterlo

Certe cose hanno degli aspetti davvero paradossali. La lotta all’AGW, che sta per Anthropic Global Warming, è iniziata più o meno negli anni ’90. La conferenza di Rio del 1992, la costituzione dell’IPCC e l’uscita del primo report, gli anni ruggenti del sempre-più-caldo culminati con il super El Niño del 1997-98.

Di lì in avanti, altri tre report IPCC, infinite adunate oceaniche di capi di stato e di governo con al seguito migliaia di delegati, accordi, non accordi, leggi, provvedimenti, tutti eventi e azioni che hanno convogliato quantità ingentissime di risorse economiche e finanziarie in una sola direzione molto green.

Nemico pubblico numero uno, la CO2 e i suoi derivati, intendendo con essi tutte quelle attività umane che, direttamente o indirettamente, vedono nei processi produttivi lo scaturire di emissioni di questo famigerato nonchè indispensabile alla vita sulla Terra gas serra.

Posto che in molti vorrebbero che l’obbiettivo della riduzione delle emissioni fosse perseguito smettendo di fare molte cose cui non si può rinunciare, vediamo se invece il traguardo può essere raggiunto facendole meglio, nella fattispecie diminuendo quella che si chiama ‘intensità di carbonio’, cioè la quantità di emissioni generate appunto dai processi produttivi o comunque dalle attività umane in generale.

E qui scatta la sorpresona. Diamo un’occhiata all’immagine qui sotto. Viene dal blog di Roger Pielke jr, che a sua volta l’ha prelevata dal report che la BP (sì, sì, big-oil per eccellenza) ha pubblicato poco tempo fa, in pratica una revisione statistica dei consumi energetici a scala globale.

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L’intensità di carbonio, scesa con un buon rateo per tutte le ultime tre decadi del secolo scorso, dall’inizio di quest’altro è prima aumentata, poi rimasta stabile. In sostanza, per quanto si stiano gradualmente affermando tecnologie a bassa intensità di carbonio, continuano ad esserci processi produttivi ad elevata intensità – leggi da impiego di fonti fossili – che aumentando di continuo eguagliano ove non superano le azioni virtuose. E la cosa più assurda è che tutto questo ha avuto inizio quando il mondo si è messo in testa di combattere l’AGW, ovvero di ridurre le emissioni e di abbattere l’intensità di carbonio. Si stava meglio quando si stava peggio, o, se credete, ecco una prova incontrovertibile del fatto che quella della lotta all’AGW è una partita di giro, nel senso che ha fatto girare una quantità enorme di danaro, ma ha ottenuto poco o nulla.

Certo, nello stesso periodo di tempo sono arrivate Cina, India ed altre nazioni con tassi disviluppo in doppia cifra e con un appetito energetico insaziabile, ma i fatti sono fatti e i numeri non mentono, anche quelli messi in giro da big-oil ;-).

Tra l’altro, se si va a vedere il dato disaggregato (reperito in un commento al post di Pielke), si scoprono altre cose piuttosto interessanti.

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La Cina, per esempio, ha senz’altro aumentato enormemente le emissioni in valore assoluto, ma non ha aumentato l’intensità di carbonio, anzi, forsae l’ha leggermente diminuita. Gli USA, diversamente dal resto del mondo, hanno mantenuto il rateo di discesa e c’è da aspettarsi che facciano ancora meglio perché la scala temporale di questa figura finisce prima del boom dello shale gas. In Europa chi ha fatto meglio è la Francia, cioè il paese con le cifre di gran lunga più alte nel ricorso all’energia nucleare del suo mix energetico (che praticamente non è un mix). E infine il Giappone, che dopo i fatti di Fukushima ha aumentato moltissimo il ricorso alle fonti fossili.

Visto che il riscaldamento è globale, quella che conta è la situazione globale, per quanto questa scaturisca da dinamiche locali. Sicché, se non si riesce a ridurre l’intensità di carbonio, l’unica via d’uscita sarebbe smettere di consumare energia, cioè fermare il progresso. Chissà che ne pensano quanti si stanno dannando l’anima per far ripartire l’economia nella fetta di mondo afflitta dalla crisi e quanti si guardano bene dal compiere azioni che rallentino i loro ritmi di crescita nel resto del mondo.

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Published inAttualità

4 Comments

  1. Danilo Pradelle

    Buongiorno, ho letto più volte in questo sito che non si può avere una “certezza” sul fatto che il GW sia di origine umana, ma che addirittura il GW di per sè sia qualcosa che non esiste (ovvero deve essere considerato come una fenomeno naturale).
    In tal merito chiedo cosa ne pensiate riguardo all’affermazione del prof. Keating, il quale dice di dare di tasca propria 30.000$ a chi porterà delle prove concrete riguardo lo scetticismo sul GW (http://dialoguesonglobalwarming.blogspot.com.au/p/10000-global-warming-skeptic-challenge.html)
    Grazie.

    • Cioè sarebbe ribaltato l’onere della prova. Non funziona così, è chi propone una teoria che la deve provare. Cosa attualmente non avvenuta, visto che il presunto forcing esclusivo sussiste e il pianeta non si scalda più. Per cui quei soldi andrebbero distribuiti tra tutti quelli che gestiscono i dataset di temperatura, che di per se provano che la relazione tra aumento dei gas serra e dinamiche del clima non solo non è esclusiva, ma nemmeno è lineare come si vorrebbe che fosse.
      gg

  2. Guido Botteri

    Se altri pianeti si sono riscaldati, mi pare evidente che non ci sia “solo” una componente antropica (tutta da quantificare, a mio parere), visto che l’uomo non ha ancora colonizzato pianeti come Marte e Giove…
    questo mi pare banale ed evidente, e sarebbe bene che i sostenitori dell’ipotesi AGW ne prendessero atto.
    Secondo me.

  3. igor

    Da ignorante in materia avrei una domanda… Se il GW è di origine antropogenica perchè l’effetto serra interessa anche gli altri pianeti del sistema solare? Nel corso dei secoli non si sono sempre alternati “periodi” freddi a quelli più caldi? e la percentuale di co2 emessa dall’uomo ho letto da più parti che è insignificante rispetto a quella emessa dalla natura stessa. Non può essere che il tutto dipenda più che altro dall’attività dei vari cicli solari?

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