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Improbabili difensori della terra

Ieri l’altro l’amico Luigi Mariani mi ha segnalato l’uscita di un suo articolo sulla rivista Agrarian Sciences. Dato che si tratta di argomenti che ci capita spesso di discutere, ho pensato di farvi cosa gradita riproponendolo su CM. Quelle che seguono sono le prime righe, il resto lo trovate al link in fondo. Se ne avete voglia, siete poi liberi di tornare qui a commentare. Buon pomeriggio.

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Improbabili difensori della terra

L’amico Francesco Marino mi ha chiesto un contributo in merito al Salone del Gusto 2014, che si tiene a Torino dal 23 al 27 ottobre 2014. Francamente mi risulta faticoso riproporre l’analisi sinottica di un fenomeno cosi ampio comeSlow Food, analisi che il professorGaetano Forni ed io abbiamo condotto(qui).

Pertanto in questa nota mi limiterò ad analizzare uno spot pubblicitario assai evocativo apparso ieri in un paginone (che suppongo a pagamento) pubblicato dal Corriere della Sera. Nei prossimi mesi ci terrei anche a sviluppare per questo sito un’analisi di uno dei pilastri ideologici di Slow Food e cioè l’ideologia della decrescita e della ruralizzazione del filosofo francese Serge Latouche, il quale mira a invertire la mentalità economica corrente fissando una moratoria all’innovazione tecnologica, diminuendo produzione e consumo e ritornando a una società vetero-agricola che lui giudica più sana dell’attuale società capitalistica. Su tale ideologia, che non esito a giudicare aberrante, invito per ora a leggere l’articolo “Il fantasma della decrescita” di Stefano Magni apparso il 3 ottobre su Nuova Bussola Quotidiana (qui)

Il 23 ottobre Lavazza ha occupato un’intera pagina del Corriere della Sera per riportare una foto del fotografo McCurry, in calce alla quale fa’ bella mostra di sé il seguente messaggio <<Benvenuti a tutti i difensori della terra. Per noi i difensori della terra sono tutti quei lavoratori che ogni giorno si impegnano per proteggere le proprie comunità, biodiversità e colture. Li abbiamo voluti celebrare con il calendario “The Earth Defenders” firmato da Steve McCurry che presenteremo a Torino nei giorni del “Salone del gusto e Terra madre” che si terrà dal 23 al 27 ottobre. Allo stesso modo dei lavoratori consideriamo difensori della terra tutti coloro che scelgono il rispetto delle culture e che sanno che l’eccellenza dei prodotti passa attraverso la sostenibilità. I proventi del calendario così come tutto il ricavato di Lavazza al Salone, verranno devoluti per sostenere insieme al nostro partner Slow Food il progetto “10.000 orti per l’Africa”. Un motivo di più per venire a visitarci>>.

Si tratta di un messaggio profondamente demagogico e confezionato su misura per cittadini che hanno da tempo perduto qualunque legame con la terra e che di conseguenza coltivano in modo nostalgico i miti da età dell’oro dell’agricoltura da fame del passato, miti su cui in tanti (Slow Food e non solo…) stanno da anni lucrando. Tali cittadini si sono da tempo scordati che gli europei hanno smesso di patire la fame quando la loro agricoltura ha iniziato a produrre cibo in quantità sufficiente e con requisiti qualitativi minimi garantiti, un risultato questo che si è potuto ottenere nutrendo adeguatamente le piante coltivate, proteggendole dai parassiti, dai patogeni e dalle malerbe con i fitofarmaci, dando loro acqua quando occorre, mettendo a punto un’efficiente catena del freddo per conservare i prodotti e creando un sistema distributivo evoluto. Tale complesso sistema agricolo-alimentare consente oggi di nutrire la popolazione europea in tutta sicurezza ed a prezzi contenuti e perciò meriterebbe di essere esportato nel resto del mondo per alleviare i problemi di  insicurezza alimentare e non di essere sottoposto alla critica feroce di tutti coloro (e Slow Food è in prima fila) che si propongono di sostituirlo con il “buon sistema agricolo-alimentare di una volta”, quello per intenderci che garantiva un’altissima mortalità neonatale, una vita media terribilmente bassa (48 anni nel 1900 contro gli oltre 80 odierni) e cibi unici, non tanto perché migliori di quelli attuali ma perché conditi da tanta fame…

Continua a leggere qui…

 

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Published inAttualità

3 Comments

  1. Manuel Guzzi

    Bellissimo articolo del prof. Mariani, che mi ha aperto gli occhi per la seconda volta in poche settimane (la prima è stata quando ha spiegato bene l’utilità degli OGM per il futuro nutrimento dell’umanità).

  2. donato

    Domenica scorsa ho raccolto i frutti delle venti piante di olivo che crescono nel mio orto (si, sono un ortolano della domenica e coltivo un orto da molto tempo prima che la First Lady USA rendesse questo fatto un must 🙂 ) e per tutta la giornata ho stramaledetto l’agricoltura biologica e tutti gli annessi e connessi (per i motivi che vi esporrò tra poco).
    Alla fine della giornata ho contemplato il misero raccolto (solo 50 chilogrammi di olive di pessima qualità in quanto devastate dalle larve della mosca olearia e da non so quante malattie crittogamiche) e ho pensato a quanto fossi stato sciocco a non aver trattato a tempo debito le mie piante: sarebbero bastati due trattamenti (in pre-fioritura ed in post-fioritura) a base di solfato di rame, concime fogliare ed insetticida per arginare le infestazione ed ottenere un prodotto molto più abbondante (non meno di 250 kg) e, soprattutto, più sano.
    .
    La sera stessa sono stato al frantoio per molire le olive ed ho potuto constatare che anche gli altri produttori non professionali si trovavano nelle mie stesse condizioni. Il titolare del frantoio ha riunito la mia “produzione” e quella di un altro “produttore” (che faceva schifo come la mia) ed alla fine della serata me ne sono tornato a casa con sette (dico sette) litri di olio rigorosamente biologico, ma di pessima qualità (nulla a che vedere con quello di altri anni ottenuto da olive sane). Inutile dire che la prossima primavera tratterò le mie piante: errare humanum est ….. 🙂
    .
    Ho voluto portare questo mio modestissimo contributo alla discussione per avvalorare quanto ha scritto L. Mariani nel suo articolo con una testimonianza diretta: la Madre Terra senza il necessario supporto produce poco e male in quanto l’unico scopo della produzione non è quello di alimentare gli esseri umani o gli animali (le piante usano tutta una serie di stratagemmi per rendere sgraditi i loro frutti), ma quello di trasmettere alle generazioni successive il loro patrimonio genetico. Siamo stati noi esseri umani a selezionare piante che ci consentissero di procurarci il cibo con minor sforzo rispetto a quanto accadeva ai cacciatori-raccoglitori. Ascoltando i racconti delle persone anziane (ora quasi tutte morte) che ricordavano i “buoni vecchi tempi andati in cui l’uomo viveva in armonia con la natura”, ho avuto modo di conoscere la fatica e le tribolazioni dei nostri antenati (a dire il vero qualcosa ricordo anch’io anche se i miei ricordi si fermano al periodo in cui la transizione dal vecchio mondo agricolo a quello attuale era già ben avviata). Per restare nell’ambito dell’olivicoltura, raccontavano gli anziani, che ai loro tempi le olive, dopo la raccolta, venivano ammassate in un locale e ivi tenute per alcuni giorni per farle disidratare e, quindi, rendere più facile l’estrazione dell’olio con i rudimentali mezzi a loro disposizione. Oggi possiamo dire che si sviluppavano muffe e batteri che le rendevano assolutamente dannose e nessun frantoio moderno le accetterebbe in quanto un’ispezione sanitaria ne sancirebbe l’immediata chiusura. Portate al frantoio venivano frante e successivamente la pasta ottenuta veniva pressata in torchi a vite. Il liquido ottenuto (emulsione di acqua ed olio) veniva riscaldato e, manualmente, con una specie di mestolo piatto, si prelevava l’olio man mano che affiorava in superficie.
    Si trattava di quello che oggi chiameremmo olio lampante non idoneo all’alimentazione e, in fin dei conti, questo era l’uso che se ne faceva: serviva ad alimentare le lucerne ad olio ed a preparare qualche impacco per curare contusioni o infiammazioni, per condire i cibi si utilizzava lo strutto di maiale (quando c’era, altrimenti se ne faceva a meno).
    L’olio extra vergine di olive è nato con le metodiche moderne, con i moderni frantoi a fiscoli o a centrifuga in cui sono stati banditi i trattamenti termici e l’olio viene prodotto esclusivamente con trattamenti meccanici a partire da olive raccolte quando hanno raggiunto un grado di maturazione appena superiore all’invariatura e lavorate entro le 24 ore successive.
    L’olio così prodotto presenta un sapore piccante ed un gusto fruttato che nessuno degli oli che vengono commercializzati nei vari supermercati a prezzi accessibile (due o tre euro al litro) possiede. Si fregiano, però, del titolo di olio extra vergine di oliva. Se andate a leggere bene l’etichetta, però, vi accorgerete che è prodotto con olive estere e in Italia è stato fatto solo il trattamento necessario a ridurre l’acidità entro i limiti di legge per classificarlo extra vergine. In questo modo, però, si sfamano milioni di persone, se volessimo utilizzare solo l’olio autoctono non potremmo farlo per mancanza di produzione e per i costi molto più elevati (almeno il doppio di quelli di mercato).
    Io non ci rinuncio e per questo motivo ho impiantato un piccolo uliveto, ma sarò un produttore di nicchia e ciò che otterrò sarà destinato all’auto consumo (infestazioni permettendo 🙂 ).
    Ciao, Donato.

  3. Riporto, per i pigri (invitandoli comunque a leggere tutto il post) la conclusione, perché mi permette uno spunto personale:

    “Per sfamare il mondo: ostriche , prosciutto, tartufi, .…… la ricetta Slow Food servita con tanta demagogia.”

    Quando Slow Food è venuto fuori anni fa io apprezzavo, perché mi piace mangiare bene, mangiare cose della tradizione, eccetera. Per un paio di anni ho mangiato in giro a ristoranti con il bollino. Ho notato da subito che erano un po’ più cari della media, ma mi son detto “è il costo della qualità”. Quando Slow Food ha iniziato a mettere a pagamento l’elenco dei ristoranti “bollinati” (prima era gratis) ho iniziato a vedere qualcosa che non andava… vuoi vedere che è solo un brand? Dopodiché ho notato che alcuni ristoranti a cui mi capitava di andare più volte all’anno hanno iniziato a decadere in qualità (questo presumo non per colpa loro, ma per via della crisi), rimanendo però parimenti cari. Risultato: la considerazione finale che stavo spendendo soldi per un “brand” – di proprietà di quelli che criticano in brand, per giunta. Fine della mia esperienza con Slow Food. Se mi capita di trovarmi in un ristorante bollinato, ma trovato con altri mezzi, ovviamente non mi faccio un problema; ma riesco tranquillamente a mangiare bene, tradizionale, eccetera, senza sapere che Slow Food esiste.

    Per quanto riguarda i prodotti tipici che sostiene, coltivati in giro per il mondo, benissimo; ma francamente mi pare un semplice sostegno del “libero mercato”. Traparentesi, in flagrante contrasto con l’ideologia “km zero”.

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