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Non avrai altro Dio all’infuori di…Gaia

C’è una fatto recente che non è proprio il massimo. Ne abbiamo parlato qui, senza entrare più di tanto nel dettaglio per ragioni che non è necessario ripetere e per un irrinunciabile atteggiamento garantista. Si tratta delle accuse di abusi sessuali piovute sul capo dell’IPCC, panel delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici.

Un atteggiamento di garanzia quanto mai doveroso per le scelte fatte dall’accusato, che si è prontamente dimesso da ogni incarico. Che questo sia avvenuto per volontà personale o perché sulla buona causa non devono cadere ombre di nessun genere non importa, quel che conta è che c’è stato un gesto che merita rispetto. Per cui sul merito della questione non aggiungerò altro.

Mi preme però sottolineare le modalità di questo allontanamento. Una lettera di dimissioni, in cui c’è un passaggio emblematico:

For me the protection of Planet Earth, the survival of all species and sustainability of our ecosystems is more than a mission. It is my religion and my dharma.
Per me la protezione del Pianeta Terra, la sopravvivenza di tutte le specie del nostro ecosistema è più di una missione. È la mia religione e il mio dovere [spirituale].

Quindi, l’ingegnere ferroviario che la massima autorità sovranazionale ha messo alla guida di una organizzazione scientifica con il fine di indirizzare la policy sul problema da essa individuato e suggerendone la soluzione, ha affrontato il tema cruciale delle sue indagini scientifiche, dei suoi indirizzi e delle soluzioni guardando ad essi come una religione. Che, incidentalmente, guarda al pianeta vivente più che a quelli che lo abitano, visto che propone di tornare all’età della pietra.

Lungi da me esprimere giudizi sulla fede, il ricorso ad essa aiuta gli uomini da sempre. Ma, appunto, parliamo di fede, non di ragione. E la scienza che l’IPCC dice di esaminare, raccogliere e riportare è ragione, è invece qualcosa che va chiarito, spiegato, accertato, non fede, cioè qualcosa in cui si crede a prescindere.

La religione ha seguaci, credenti, fedeli. La ragione ha solo i fatti. È per esempio un fatto che in qualche modo la temperatura media del pianeta sia aumentata, soprattutto alla fine del secolo scorso. Ma è un atto di fede credere che  questo sia accaduto unicamente a causa delle attività umane, perché questa relazione causale scaturisce da modelli che di un sistema complesso come quello del clima non rendono neanche la brutta copia. Prova ne sia un altro fatto: mentre ci dicevano di aver fede che la temperatura avrebbe continuato ad aumentare, ha in realtà smesso di crescere.

Ma c’è di più. Le religioni professano l’unione degli esseri umani nel rispetto dei loro dogmi, ma siccome questi ultimi sono imperfetti (altrimenti non ci sarebbe bisogno di ricorrere a entità perfette cui ispirarsi), sempre in nome di quei dogmi finiscono invece per dividere. Se non basta il passato a testimoniarlo si può sempre ricorrere al presente. Puntualmente, anche, la nuova religione di Gaia divide. Tra chi ‘ama’ l’ambiente e chi no. Tra chi dice di preoccuparsi del futuro e chi no. Tra chi crede al disastro climatico e chi no. Divisi nella ricerca, divisi nella politica, divisi sui media, divisi al bar. Tutti dimentichi che la scienza è una sola, non ha bisogno di sacerdoti, e non è mai da due parti contemporaneamente, come la ragione.

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Published inAttualità

8 Comments

  1. donato

    F. Vomiero scrive: “… i paradigmi sono il meglio che abbiamo in un determinato momento storico per descrivere determinati fenomeni, non sono né indiscutibili, né perenni. Possono essere ad un certo punto falsificati dall’esperienza ed entrare in crisi sotto i colpi di dati e nuove teorie solide.”
    .
    Giusto. Perfettamente condivisibile, ma ciò che bisogna indagare con maggiore spirito critico è il modo in cui il paradigma si consolida e si sostiene.
    Nel passato abbiamo avuto modo di assistere al formarsi di paradigmi estremamente longevi. L’esempio più classico è costituito dal sistema tolemaico. A partire dal terzo secolo a.C. i filosofi ellenistici tentarono di risolvere il problema del moto degli astri in modi diversi. Aristarco di Samo fu uno dei primi a parlare di sistema eliocentrico (procurandosi un sacco di guai 🙂 ), ma alla fine fu il sistema geocentrico a prendere il sopravvento anche grazie all’armonia delle sfere celesti su cui si basava e con Tolomeo, a partire dal secondo secolo d. C., divenne paradigmatico. Il paradigma durò per oltre dieci secoli fino a che non cominciò a sgretolarsi sotto i colpi di Copernico, Keplero, Galilei, Newton e via cantando. Il motivo di questa longevità del paradigma tolemaico, secondo me, va ricercato nel fatto che il sistema tolemaico (che in ultima analisi non è altro che un metodo di calcolo che consente di determinare in modo relativamente semplice e veloce le posizioni dei corpi celesti) consente di “salvare i fenomeni” cioè consente di effettuare delle previsioni verificabili.
    A parer mio questo è il significato della definizione che lo stesso Kuhn dà di paradigma: “Con tale termine voglio indicare conquiste scientifiche universalmente riconosciute, le quali, per un certo periodo, forniscono un modello di problemi e soluzioni accettabili a coloro che praticano un certo campo di ricerca”.
    In questa definizione è implicitamente riconosciuto che il paradigma è una struttura composita, formata da credenze e assunti metafisici, oltre che da modelli scientifici di spiegazione.
    .
    E’, però, il concetto di comunità scientifica che legittima e consolida il paradigma: si tratta delle due facce della stessa medaglia.
    Questo aspetto merita, però, un ulteriore approfondimento. Il paradigma è un complesso di principi, concezioni culturali e scientifiche universalmente riconosciute, procedimenti metodologici, modalità di comunicazione e trasmissione delle teorie, a cui si ispira il lavoro della “comunità scientifica” di una data epoca. Esso è strettamente ancorato a condizioni e a fattori extrascientifici, cioè sociali e psicologici, e non è quindi un modello “puro”, astorico e astratto.
    Lo studente studia il paradigma per prepararsi a divenire membro della “comunità scientifica” con cui in futuro dovrà collaborare o diventarne parte integrante.
    Secondo Kuhn, quindi, la comunità scientifica è costituita da coloro che, possedendo un paradigma comune, condividono un insieme di valori scientifici ed etici, hanno in comune criteri di giudizio, problemi, modelli interpretativi (anche di tipo metafisico), metodi e vie di soluzione per risolvere quei problemi e concordano, infine, sulla necessità che i loro successori siano educati in base agli stessi contenuti e valori.
    In altre parole la comunità scientifica opera nel paradigma e lo perpetua in una spirale di reciproco rafforzamento. Si tratta della scienza normale che aggiunge tanti piccoli pezzi al puzzle costituito dal paradigma, rendendolo sempre più complesso. La ricerca scientifica, in altri termini, è una raccolta di dati che vengono catalogati all’interno di schemi teorici prefissati; è conservatrice.
    .
    Il cambio di paradigma è, invece, un fatto epocale, rivoluzionario, straordinario che richiede una serie di fatti che mettano in discussione i fondamenti del paradigma. Nel caso del sistema tolemaico, la crisi ebbe inizio notando alcune piccole differenze tra le posizioni dei pianeti calcolate con epicicli, deferenti ed equante e quelle determinate sperimentalmente. L’idea di Copernico, mutuata anche da molti pensatori antichi come Platone, per esempio, fu quella di eliminare l’equante per semplificare il sistema. Non ci riuscì e dovette far ricorso ancora ad epicicli e deferente, ma aveva gettato le basi per un sistema più “elegante” di quello precedente. Inizialmente fu considerato un mero strumento di calcolo, ma con il tempo, grazie a Ticho Brahe, Keplero, Galilei ed infine Newton, divenne il nuovo paradigma.
    Il passaggio da un paradigma all’altro segna una trasformazione del modo di vedere le cose. I dati che si hanno a disposizione sono magari gli stessi di prima, eppure vengono interpretati in modo diverso, cioè vengono posti in una relazione diversa da quella precedente. Il passaggio, inoltre, non sempre avviene per ragioni empiriche o logiche; possono esservi delle ragioni extrascientifiche e non razionali: ad esempio idiosincrasie tra scienziati, appartenenza a scuole scientifiche di nazioni diverse, persino ragioni estetiche (come abbiamo visto nel caso del sistema copernicano).
    .
    Ho l’impressione che la comunità scientifica climatologica rientri pienamente all’interno di questi schemi logici ed epistemologici (come del resto tutte le comunità scientifiche). La linea di pensiero principale individua nel fattore antropico il principale elemento di modifica del clima e, nella maggioranza dei casi, i dati vengono interpretati in questa direzione. Dall’altra parte troviamo coloro (una minoranza) che interpretano i dati in modo diverso e attribuiscono il cambiamento climatico a fattori prevalentemente se non esclusivamente naturali. In mezzo tutta una serie di posizioni più o meno distanziate dai due estremi. Nessuno potrà negare, però, che le posizioni sono determinate da aspetti metafisici, psicologici, economici e sociali. E in questo contesto si comprendono le posizioni di Pachauri, Bologna, Hansen da un lato, e di Lindzen, Soon, Christy dall’altro.
    .
    Che fine farà il “paradigma climatico”? Onestamente non lo so: potrebbe durare ancora decenni così come potrebbe essere messo in crisi domani. Per decretarne la crisi si ha bisogno di eventi straordinari e, per ora, non ne vedo all’orizzonte. Ciò non significa, però, che non ve ne siano. Così come non vedo, dall’altra parte, prove incontrovertibili che avallino l’esclusiva responsabilità umana nel cambiamento climatico. Da qui il mio scetticismo e l’equidistanza rispetto a modi diversi di interpretare la realtà.
    Ciao, Donato.

  2. Fabio Vomiero

    Notavo, con curiosità, come a partire dal caso Pachauri e dalla sua patetica vicenda personale, si sia aperto poi un dibattito epistemologico a mio avviso di grande interesse e di alto livello. Si sono toccati punti fondamentali, dall’ideologia all’etica, dal pregiudizio al pensiero di Thomas Kuhn. Io, a differenza di Guido Botteri, che a mio avviso fornisce una definizione molto intelligente di scetticismo, in tema di Global Warming non mi ritengo né scettico, né completamente in accordo con la teoria del AGW. Sono solo un appassionato, di formazione scientifica (sono biologo), e da oramai molti anni leggo, studio e mi documento in tema di clima e cambiamenti climatici, portando avanti però contemporaneamente un lavoro parallelo (fondamentale) rivolto allo studio del pensiero scientifico, della filosofia e storia della scienza, e su come funziona la scienza in generale anche in altri campi, come ad esempio a proposito degli interessanti sviluppi in ambito delle bioscienze. Perché credo, che per riuscire a comprendere, anche solo parzialmente, la grande complessità di certi fenomeni, ci sia bisogno di tanto lavoro, un lavoro che non tutti sono in grado di portare avanti, o per mancanza di tempo, o di voglia, o di attitudini personali. Sul tema dei cambiamenti climatici, ad esempio, è ovvio che ci sia spazio per lo scetticismo, ciò che però mi disturba, è l’atteggiamento, oggi abbastanza diffuso, di quasi denigrazione che troppa gente disinformata (per non dire ignorante, nel senso etimologico della parola) nutre nei confronti della scienza. Questo vale anche per alcuni scienziati (e qui mi riallaccio alla posizione di Fabrizio Giudici), che a volte si dimenticano di essere scienziati, per farsi trascinare dalle loro posizioni simil-ideologiche come nel caso dei Battaglia e Zichichi nei confronti della scienza del clima. Io non credo che la scienza del clima, intesa come comunità scientifica (attenzione anche a questo concetto, che contraddistingue la scienza moderna), sia corrotta o in mano a ciarlatani, anzi, credo solo che in tema di studio dei sistemi complessi (nella fattispecie il clima), sia soltanto ancora parzialmente ignorante, anche come conseguenza dei limiti conoscitivi che tali sistemi purtroppo impongono, magari tra dieci anni ne sapremo molto di più. Ecco perché, oltre ad informarsi sui dati e sulle ricerche, come dicevo prima è bene studiare anche il pensiero scientifico, perché in fondo, a differenza delle pseudoscienze, o delle posizioni ideologiche o religiose, è la scienza stessa a definirsi ignorante e impossibilitata a fornire certezze. Questo concetto, in fondo, è anche l’espressione del pensiero di Kuhn citato da Donato: i paradigmi sono il meglio che abbiamo in un determinato momento storico per descrivere determinati fenomeni, non sono né indiscutibili, né perenni. Possono essere ad un certo punto falsificati dall’esperienza ed entrare in crisi sotto i colpi di dati e nuove teorie solide. E’ successo già alcune volte nel corso della storia della scienza (non molto spesso a dire la verità in tempi recenti) e potrebbe comunque succedere ancora. Riguardo al clima, però, nonostante il giusto (a volte, non sempre giustificato) scetticismo, dal punto di vista scientifico, a mio avviso, siamo comunque ancora abbastanza lontani da questa situazione limite. Saluto sempre tutti cordialmente.

  3. Donato, grazie della risposta, per due motivi.

    Il primo, è che finalmente ho recuperato quel passaggio, che mi serve anche per altre cose.

    Il secondo è la citazione di Kuhn. Io parafraso il concetto in questo modo: la scienza è oggettiva; gli uomini non lo sono, neanche gli scienziati; la scienza senza uomini non esiste, viaggia sulle loro gambe. Per questo, alla fine, l’etica è fondamentale, sennò non c’è sistema che tenga e pensare che la scienza faccia eccezione per la purezza del suo metodo è un’utopia. Ovviamente con etica non intendo i problemi privati come quelli di Pachauri, ma la chiarezza, quello che dicevo nel mio primo intervento. Non mi disturba che uno abbia una propria interpretazione dei fatti, quanto che spacci per oggettivo quello che è soggettivo. Per esempio: la mia visione del mondo è quella cattolica, per cui è ovvio che interpreto le cose in un certo modo; ma in una discussione starò ben attento a dire “penso questo perché mi torna quello che mi dice la scienza, e quest’altro perché mi torna quello che dice il Magistero (o a volte entrambi)”. Tanto più se avessi una visibilità ed un prestigio pubblico che possono influenzare le persone. Perché poi ricordiamoci che qui parliamo di decisioni politiche, di supporto dell’opinione pubblica che è fatta al 99.9% da persone che non si prendono i paper e ci ragionano sopra scientificamente, né potrebbero farlo perché non ne hanno i mezzi. Si fidano dell’interlocutore e quindi funziona prevalentemente l’immagine di cui parla Maurizio. Da un certo punto di vista è inevitabile, perché più la scienza diventa specialistica e sofisticata, più si restringe l’elite di persone in grado di comprenderla direttamente. È fondamentale quindi il ruolo del divulgatore e dell’interlocutore. Ora, se queste persone spacciano per scientifico ciò che per loro è una convinzione di altro tipo, sono dei truffatori (salvo i margini di buona fede, ma qui è evidente che sono in gran parte superati).

  4. Maurizio Rovati

    Il giornalista A.Pamparana s’è occupato brevemente di OGM. Ha intervistato un agricoltore in quel di Gorizia che mostrava una pannocchia OGM in perfetta forma e spiegava come questo mais rendesse di più senza i trattamenti antiparassitari contro un bruco che attacca normalmente il non OGM. Il bruco scava delle gallerie nella pianta dove successivamente crescono dei funghi che producono una tossina con effetti cancerogeni nell’uomo. Il nostro agricoltore sosteneva con i fatti che il mais OGM evitava l’uso dei pesticidi e aumentava la produzione.
    Successivamente veniva intervistato il ministro dell’agricoltura -non so chi sia – il quale ha detto che poiché l’italia ha deciso (?) di puntare verso una produzione agricola di “qualità” e di “alto livello di immagine” internazionale, allora s’è deciso di “non consentire l’uso degli OGM”. Nessuna obiezione di carattere tecnico scientifico, quel che conta è l’immagine.
    Quindi mi pare chiaro che funziona così. Pachauri è fuori perché ha rovinato l’immagine dell’IPCC, mica perché ha perseguito la sua religione ambientalista!

    Forse è peggio di quel che pensavo, o forse no…

  5. Luigi Mariani

    Il preconcetto ambientalistico secondo cui “la protezione del Pianeta Terra e la sopravvivenza di tutte le specie del nostro ecosistema è una priorità assoluta” porta anzitutto a domandarsi quale sia il limite vero a tale fede (Lo squalo mangiatore d’uomini? Yersinia pestis? il virus di Ebola?).
    Lasciando però da parte tali “finezze”, penso che in linea generale non ci si possa sentir garantiti affidando ad una persona con tali principi l’analisi di dati da cui dipendono le linee di sviluppo future delle società umane a livello globale. Ciò perché se la priorità assoluta è quella del salvaguardia ecosistemica mi domando a quale livello di priorità si collochino gli esseri umani e la loro sopravvivenza. E che importa poi ad una persona con tali principi se qualche dato viene magari “interpretato” o “allisciato” per avvalorare la tesi protezionista?
    D’altronde oggi si guarda con sospetto chi esprime una visione cristiana ma il sospetto stesso svanisce immdiatamente quando la visione è ambientalista ed in tal senso vien da riflettere su quanti presentatori di programmi televisivi sull’ambiente si dichiarano apertamente ambientalisti e come tali educano le masse al principio di precauzione, allo spregio per la tecnologia, alla fede nelle agricolture pauperiste o a base magica, ecc.
    Vedendo queste cose non posso non pensare alla profezia di Lenin secondo cui il capitalismo era tanto vorace che avrebbe prima o poi fabbricato il cappio a cui si sarebbe impiccato.

  6. Guido Botteri

    // la nuova religione di Gaia divide. Tra chi ‘ama’ l’ambiente e chi no. Tra chi dice di preoccuparsi del futuro e chi no. Tra chi crede al disastro climatico e chi no //
    Non vorrei che chi legge si formasse l’idea che chi è scettico (come me) non ami l’ambiente e non si preoccupi del futuro.
    Ho sempre specificato di essere uno scettico “dilettante”, nel senso che il mio scetticismo non è un dogma, ma solo un modo per avvicinarmi ad una maggiore verità. Non mi qualifico dunque come uno scettico “professionista”; mi si diano prove convincenti e cambio idea, subito. Peccato che segua questo argomento da ormai molti anni e mi sia sempre più convinto che questa teoria del contributo antropico che governerebbe il riscaldamento globale faccia acqua da tutte le parti (opinione personale che non obbligo nessuno a condividere).
    Dunque, se sono rimasto scettico, e se anzi il mio scetticismo si sia accentuato, non è per una posizione pregiudiziale, ma per una mia personale valutazione dei fatti e dei presunti fatti che mi vengono proposti.
    Posso sbagliare (forse) ma senza alcun pregiudizio e senza una verità dogmatica nascosta nel cuore.
    Detto questo, verrei alle pretese di amore per l’ambiente e preoccupazione del futuro che qualcuno vorrebbe monopolizzare.
    Ho vissuto in un bosco i primi anni della mia gioventù, cosa che ha formato in me un profondo amore per la natura. Da tempi non sospetti il mio colore preferito è il verde (senza significati politici, che sono venuti dopo). Mi incanto, ingenuamente, di fronte allo spettacolo di un fiume, di un monte, di un tramonto e dei tanti miracoli che ogni giorno ci sottopone la Natura.
    D’altra parte sono vivamente preoccupato per il futuro dei nostri figli e nipoti, anche se i pericoli che vedo io sono forse un po’ diversi da quelli che vedono altri.
    Non amerei l’ambiente ? Falso, assolutamente falso.
    Non mi preoccuperei del futuro dei miei figli e nipoti ? Ugualmente falso, falsissimo.
    E allora ?
    Allora NON credo che i pericoli “veri” siano quelli che vengono indicati da qualcuno, né per l’ambiente, né per il futuro.
    Credo nel progresso, che può risolvere molti dei problemi che ora spaventano.
    Credo che siamo chiamati ad una sfida che non è solo tecnologica, anzi, è maggiormente una sfida di maturità, e temo che, questa, la stiamo perdendo.
    Ma questa è solo una mia impressione.
    Una discussione anche parzialmente completa sarebbe molto, molto lunga; quindi mi fermo qui, ribadendo che non è lecito a nessuno monopolizzare l’ambiente e il futuro, che sta a cuore a noi scettici forse più che ai credenti.
    Secondo me.

  7. Io vorrei sottolineare un concetto collegato, ma con un approccio un po’ diverso. Dal punto di vista cognitivo, la scienza è una disciplina per aumentare la propria conoscenza. In realtà, sotto lo stesso punto di vista, la stessa caratteristica vale anche per filosofia e religione, e magari altre discipline. Ovviamente ognuno di noi decide di dare fiducia o no a queste discipline complementari per motivi suoi personali. Non è questo il punto. Il punto è che ogni disciplina ha, sempre da un punto di vista oggettivo, diversi vantaggi e svantaggi. La scienza, per esempio, ha un ambito di lavoro più ridotto, per definizione operativa, di filosofia e religione. Il vantaggio – ecco che mi riaggancio al post di Guido – è che il suo metodo operativo è naturalmente orientato alla verifica ed al consenso: una volta che qualcuno mi dice che una mela cade con un’accelerazione di circa 9.8 m/s^2, non ci sono opinioni che tengano, quanto il fatto che in tutto il mondo, chiunque dotato dei mezzi di misura, qualsiasi sia la sua cultura, può verificare indipendentemente che i fatti confermano la teoria. Certo, le cose diventano più complicate quando si passa da casi semplici a teorie complesse, e per di più recenti, con l’annesso dibattito settled o non settled. Però il punto di partenza è quello che ho scritto.

    Detto questo, uno ha tutti i diritti ad avere una propria visione del mondo basata su fondamenta multidisciplinari: scienza, filosofia, religione. Nel nostro caso, a sostenere la responsabilità umana del riscaldamento globalo o perché è seguace di Gaia, o perché magari prima o poi esce pure un’enciclica papale sull’argomento. Basta che nel presentare le proprie posizioni ognuno giochi a carte scoperte su quali fondamenta basa i propri ragionamenti.

    Io ad esempio avevo capito (malizioso…) che l’IPCC è un organismo scientifico, non religioso. Ora, beninteso: questo non vuol dire che i membri dell’IPCC, o la sua presidenza, non possano essere religiosi. Ci mancherebbe, sarebbe una discriminazione. Però ora provate ad immaginare cosa succederebbe se alla testa di un organizzazione climatica scettica ci fosse Zichichi, o un qualsiasi altro scienziato notoriamente credente, cristiano, ebreo, islamico o quello che volete. Subito sarebbe un coro di invito alle dimissioni in quanto le convinzioni personali dell’uomo inficerebbero la sua credibilità. Io dissento da questa impostazione (a patto che la persona in questione, come detto prima, sia in grado di mantenere nella propria esposizione la chiarezza necessaria). Perché questo non vale al contrario? Perché nessuno dei non scettici si scandalizza della posizione di Pashari?

    PS Non siamo in presenza di un caso isolato. Mi sembra che anni fa CM citò un passaggio di un libro di Gianfranco Bologna, WWF Italia, che in modo simile sosteneva che l’importanza dell’argomento e delle politiche associate è tanto forte da non farsi problemi a superare il limite posto dal metodo scientifico nel dibattito. Purtroppo, però, non riesco più a trovare il riferimento.

    • donato

      “Mi sembra che anni fa CM citò un passaggio di un libro di Gianfranco Bologna, WWF Italia, che in modo simile sosteneva che l’importanza dell’argomento e delle politiche associate è tanto forte da non farsi problemi a superare il limite posto dal metodo scientifico nel dibattito. Purtroppo, però, non riesco più a trovare il riferimento.”
      .
      Dovrebbe essere questo:
      http://www.climatemonitor.it/?p=8819
      .
      Colgo l’occasione per far notare che in cinque anni (tanti ne sono passati dalla pubblicazione del post di F. Spina che cita il Bologna) i termini del dibattito non si sono spostati di una virgola: contrapposizione a tutto tondo e basta. E non c’è molto da meravigliarsi se il dibattito poggia su basi ideologiche o religiose (che è, del resto, la stessa cosa 🙂 ).
      Qualche giorno fa si parlava di “Scala-Mercalli” e del grafico che contraddiceva le argomentazioni di chi lo commentava. Chi conduce quella trasmissione è un credente-sacerdote (ha posizioni ideologiche ben precise anche in campi diversi dalla climatologia che rispetto pur non condividendole alla radice) per cui tutto, anche i fatti, vengono interpretati alla luce delle proprie convinzioni.
      In merito alla neutralità della scienza ho qualche dubbio e in questi dubbi mi conforta la teoria del “paradigma” elaborata da T. Kuhn e magistralmente esposta in “Struttura delle rivoluzioni scientifiche”. Lo scienziato è un uomo e come tale ha gli stessi pregi e difetti di tutti gli altri uomini: si affeziona alle proprie idee e convincimenti e tende a privilegiare ciò che le conferma scartando a priori ciò che le contraddice. Il tutto in perfetta buona fede, ovviamente.
      p.s.: il discorso vale anche per me anche se mi ostino a considerarmi oggettivo, obbiettivo, razionale, ecc., ecc.. 🙂
      Ciao, Donato.

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