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Il Declino Globale delle Aree Soggette a Incendio: Alcune Riflessioni in Chiave Storica, Etnografica ed Ecologica

Riassunto

La sensibile riduzione delle aree soggette a incendi (-24% a livello globale dal 1998 al 2015) segnalata in un articolo di Andela et al. (2017) apparso su Science, è da considerare un indicatore della tendenza dell’uomo a ridurre il proprio impatto sull’ambiente. Tale ricerca è l’occasione per analizzare dal punto di vista storico, etnografico ed ecologico il ruolo del fuoco. La scoperta del governo del fuoco, avvenuta circa 1 milione di anni ad opera del nostro progenitore Homo abilis, è stata di enorme aiuto per i nostri antenati durante la lunga fase di caccia e raccolta, per poi divenire uno strumento potente nelle mani dei popoli di agricoltori del neolitico. In questa sede si evidenzierà che l’abbandono del fuoco per la gestione degli ecosistemi non presenta unicamente effetti positivi, tant’è vero che in alcuni ambienti di prateria l’incendio controllato viene oggi utilizzato per favorire il persistere di specie vegetali e animali che sarebbero altrimenti destinate a scomparire.

Abstract

The reduction of the areas prone to wildfires (-24% globally from 1998 to 2015) reported by the work of Andela et al. (2017) appeared on Science and based on remote sensed satellite data, is an indicator of man’s tendency to reduce its impact on the environment. This research is an opportunity to analyze from the historical, ethnographic and ecological point of view the relevance of fire. The discovery of the government of fire is due to our hominid ancestor Homo abilis about 1 million years ago and has helped man considerably during the long hunting – gathering phase, then becoming a powerful tool for Neolithic farmers. At this point it will be noted that the abandonment of fire for the management of grassland ecosystems has not only positive effects. By consequence in some areas of big prairies the controlled fire is now used to promote the persistence of plant and animal species that would be otherwise destined to disappear.

Il calo della superficie globale soggetta a incendi

Antony Watts (2017) ci informa dell’articolo di Andela et al. (2017) apparso su Science e che analizzando dati da satellite dimostra che le aree del globo percorse annualmente dal fuoco sono in calo, come mostrano i trend percentuali della figura 1, da cui si osserva che nella maggior parte dei casi il trend è decrescente (aree in blu) mentre molto più limitate appaiono le aree soggette a trend crescenti (aree in rosso). In complesso negli ultimi 18 anni (dal 1998 al 2015) è stato riscontrato un calo del 24.3% +/-8% delle aree annualmente soggette a incendi con un decremento dovuto soprattutto al calo del numero totale di incendi.

Figura 1 – Trend annuale delle aree percorse dal fuoco (NASA, 2017).

 

Tali dati sono stati presentati in un articolo apparso su Science e basato sui dati satellitari della NASA che consentono un monitoraggio globale in tempo reale degli incendi. Il declino delle aree soggette a incendi è stato più rilevante nelle savane e nelle praterie, dove gli incendi sono essenziali per mantenere gli ecosistemi sani e per la conservazione degli habitat. In Africa, gli incendi bruciano mediamente ogni anno una superficie pari alla metà della dimensione degli Stati Uniti, ha dichiarato Niels Andela, ricercatore della NASA e autore principale del lavoro. Nelle tradizionali culture della savana le persone spesso incendiano per mantenere le terre a pascolo produttive e prive di arbusti. Poiché molte di queste comunità sono passate dal pastoralismo all’agricoltura stanziale costruendo case, strade e villaggi, anche l’uso del fuoco declina. Mentre lo sviluppo economico continua, il paesaggio diventa più frammentato e le comunità spesso adottano legislazioni per controllare gli incendi e la zona bruciata declina ancora di più. Nel 2015, l’area di savana africana interessata da incendi è diminuita di 700.000 chilometri quadrati rispetto al 1998, un’area grande due volte l’Italia.

I dati relativi agli incendi sono stati derivati da MODIS Terra e Aqua della NASA e da altre fonti e i dataset ottenuti sono stati confrontati con dati di popolazione, agricoltura, densità del bestiame e prodotto interno lordo.

Per quanto riguarda invece le foreste pluviali e le regioni umide prossime all’equatore gli scienziati hanno evidenziato uno schema evolutivo diverso. In tali ambiti infatti l’ambiente umido rende rari gli incendi naturali ma l’uomo fa uso del fuoco per liberare i terreni da utilizzare per coltivazioni e pascoli. Dopo che il terreno è stato liberato dal bosco più persone si trasferiscono nell’area e aumentano gli investimenti in agricoltura, per cui gli incendi calano sensibilmente. E’ comunque soprattutto il trend negativo degli incendi delle aree a savana e prateria a spingere al declino il trend globale.

Il significato ecologico del fuoco nelle savane: non solo effetti positivi

Secondo quanto riportato sul sito della NASA (2017), dalla riduzione degli incendi derivano sensibili vantaggi legati alle emissioni di inquinanti fra cui il monossido di carbonio ed al maggiore accumulo di CO2 nei suoli (si stima che il declino del 24 per cento nell’area bruciata abbia contribuito per il 7 per cento alla capacità della vegetazione globale di assorbire le maggiori emissioni di CO2).

A tali vantaggi si associano però significativi svantaggi legati al fato che la riduzione degli incendi in savana favorisce lo sviluppo di alberi e arbusti in luogo delle praterie aperte, il che altera l’habitat dei grandi mammiferi africani (elefanti, rinoceronti e leoni). “Gli esseri umani interrompono l’antico e naturale ciclo di incendio e di ricrescita in questi settori”, ha affermato Jim Randerson, professore di scienze del sistema terrestre presso l’Università della California Irvine, “nelle savane africane Il fuoco è stato strumentale per millenni nel mantenere le savane sane, tenendo a bada gli arbusti e gli alberi ed eliminando la vegetazione morta“.

Ciò porta un altro degli autori, Dough Morton ad affermare che “Per gli ecosistemi dipendenti dal fuoco come le savane si impone la sfida di bilanciare da un lato la necessità di incendi frequenti per mantenere l’habitat dei grandi mammiferi e la biodiversità e dall’altro la necessità di limitare l’impatto del fuoco sul paesaggio per migliorare la qualità dell’aria e proteggere le proprietà e l’agricoltura “.

In complesso gli autori dell’articolo apparso su Science prevedono che il declino globale degli incendi continui, con una tendenza che dovrebbe essere inclusa nei GCM che “prevedono” il clima e le dinamiche del carbonio.

Aspetti storici ed etnografici del fuoco: dalla sua scoperta all’ignicoltura al suo uso in agricoltura

La ricerca uscita su Science è l’occasione per analizzare dal punto di vista storico e etnografico il ruolo del fuoco nella gestione del paesaggio.

Da tale punto di vista occorre anzitutto sottolineare che il mito greco dice il vero quando sostiene che Prometeo, colui che donò all’uomo l’arte di governare il fuoco non fosse di stirpe umana. Infatti le più antiche tracce di governo del fuoco da parte dei nostri progenitori, reperite nella caverna di Wonderwerk nella zona del Capo (Sud Africa) e che si riferiscono a circa 1 milione di anni or sono (Berna et al., 2012) sono state lasciate dal nostro antenato Homo erectus, apparso circa 1,9 milioni di anni fa, e ci indicano la sua capacità di utilizzare il fuoco come fonte di luce e di calore da utilizzare per riscaldasi e per la cottura dei cibi.  Su quest’ultimo argomento si consideri che secondo la tesi di Wrangham (2009) l’importanza evolutiva della dieta a base di carne cotta fu decisiva in quanto la bassa resa calorica dei cibi crudi imponeva ai primati molte ore passate ad alimentarsi e un cervello più piccolo rispetto al corpo per ridurre il costo energetico, che è proporzionale alla dimensione del cervello e al numero dei neuroni. Con il passaggio alla cottura dei cibi, Homo erectus, a differenza delle grandi scimmie, poté avere una maggiore resa calorica e passare dunque meno ore ad alimentarsi, il che stimolò le relazioni sociali portando la dimensione cerebrale ad aumentare sensibilmente.

Il fuoco ha poi seguito gli ominidi fino a giungere alla nostra specie (Homo sapiens), accompagnandola per la lunga fase di caccia e raccolta propria del paleolitico. In particolare presso i popoli di cacciatori-raccoglitori di zone climatiche caratterizzate da una stagione arida, l’incendio era usato per stimolare la germinazione di piante erbacee eduli (ad esempio cereali spontanei) e come richiamo per gli animali selvatici da cacciare. A partire dalla rivoluzione neolitica, che ha avuto luogo 10-12 mila anni orsono in quattro centri primari di domesticazione (Mezzaluna fertile, Cina, Africa sub-sahariana e America centro-meridionale) l’incendio è stato  usato per liberare i terreni da coltivare dal bosco o dai residui della coltura precedente.

Secondo Forni (1990) le tracce di tali usi ancestrali del fuoco sono reperibili in etimi come Svizzera e Svezia (che indicano radure aperte con il fuoco), nel nome greco dei cereali (puros con pur=fuoco), nel nome slavo antico dei cereali (pyro) e in brasserie, termine francese con cui si designano le birrerie. In quest’ultimo caso occorre considerare che la birra si fà con malto d’orzo e che secondo Plinio (Nat. Hist. XVIII, 7, 627) i celti chiamano i cereali bracis (=brace)).

Cosa ci dicono l’etnografia e la storia dell’agricoltura

Per comprendere l’importanza del fuoco per le popolazioni di cacciatori-raccoglitori del paleolitico è utilissimo lo studio dell’etnografia delle tribù di nativi americani che probabilmente derivano da popolazioni asiatiche giunte in America circa 13 mila anni orsono attraverso lo stretto di Bering. L’etnografia pone in evidenza il massiccio uso del fuoco da parte di tali popolazioni per una serie di scopi che vanno ben oltre la fornitura di luce e di calore (figura 2). Tali scopi sono documentati da Williams (2003), Queen (2001) e Boyd (1998) e sono elencati qui di seguito in forma sintetica:

  • favorire l’espansione di specie eduli che si avvantaggiano del passaggio del fuoco e che sono perciò dette pirofite (figura 3)
  • creare radure in cui piantare mais e tabacco
  • eliminare erbe alte e cespugli facilitando la raccolta di frutti e semi eduli (es: ghiande)
  • stimolare la crescita di erbe da pascolo allo scopo di richiamare cervi, alci, antilopi, bisonti
  • mantenere le praterie libere da arbusti e alberi
  • creare pascolo per i cavalli
  • creare fasce tagliafuoco per proteggere gli insediamenti da incendi distruttivi
  • contenere le popolazioni di insetti nocivi (mosche, zecche, pulci, zanzare), roditori e serpenti velenosi
  • distruggere il pabulum in quota gradito ai cervi (es: muschi) per costringerli a scendere a valle dove la caccia era più facile
  • condurre estorsioni ai danni di altre popolazioni
  • creare e mantenere i sentieri
  • abbattere gli alberi
  • ripulire le aree ripariali.

Esempi di nativi americani che facevano uso del fuoco per gli scopi suddetti sono riportati da Boyd (1998) il quale segnala che l’ignicoltura era diffusa in tutte le aree del West e riporta svariati esempi fra cui ci limitiamo a citare quelli dei Kalapuya e degli Spokan.

I Kalapuya, abitavano la valle di Willamette (Oregon) con una popolazione che ammontava a 9000 – 14000 individui a fine XVIII secolo scesi a 600 nel 1841 a seguito di diversi episodi di malaria. Tale popolo faceva un uso sistematico del fuoco a fine estate sull’intera valle (centinaia di migliaia di ettari) con il doppio scopo di stimolare lo sviluppo di piante erbacee eduli (camas, tarweed, wapato, frutti di bosco, nocciole e ghiande) e attirare i cervi verso la vegetazione fresca per poi cacciarli.

Gli Spokan occupavano invece la parte orientale del plateau della Columbia ed una porzione della zona intermontana del nord-est dello stato di Washington e del nord dell’Idaho, praticando una strategia di combustione stagionale per una varietà di aree distribuite su fasce altitudinali successive. L’incendio era volto a creare radure nelle foreste e a stimolare la produttività di piante eduli (camas, balsam root, huckleberry). In tale popolazione fino al 20 ° secolo gli anziani (specie le donne) continuavano a servirsi del fuoco, anche quando ciò era ormai proibito.

Gli scopi sopra riportati avvalorano l’ipotesi secondo cui nel corso del paleolitico i nostri progenitori che vivevano in zone con aridità stagionale ponessero in atto un’attività di ignicoltura (intesa come uso del fuoco per la gestione a fini produttivi del territorio) che si porrebbe come antenata dell’agricoltura neolitica.

Con la rivoluzione neolitica l’uso del fuoco diviene parte essenziale delle tecniche di gestione del territorio per usi agricoli. Infatti l’eliminazione della vegetazione arborea per aprire lo spazio ai campi coltivati risultava proibitiva con i rudimentali strumenti allora disponibili (asce con il tagliente in pietra) per cui si può pensare che i nostri progenitori eliminassero la scorza con l’uso di tali asce per poi incendiare in modo da eliminare gli alberi ormai secchi.

Nelle prime agricolture in cui la lavorazione del terreno avveniva con la zappetta neolitica e anche dopo l’introduzione dei primi aratri discissori (IV millennio a.C. in Mesopotamia e dalla fine del III millennio in Italia) il fuoco si rivelò essenziale per eliminare la paglia dei cereali che non poteva essere interrata da tali strumenti che consentivano lavorazioni assai superficiali. Tale uso del fuoco è persistito nell’areale europeo a clima mediterraneo a estate arida (climi di tipo Csa di Koeppen) fino al XX secolo e ciò perché l’aratro discissore non rivoltando il terreno (a differenza di quel che accade con il più evoluto aratro rivoltatore, comparso nella tarda epoca romana e diffusosi in Europa sul finire dell’alto Medioevo) evitava un’eccessiva perdita di acqua dal terreno.

Figura 2 – Indiani Piedi Neri incendiano al prateria in un dipinto del 1905 di Charles Marion Russel http://hoocher.com/Charles_Marion_Russell/Charles_Marion_Russell.htm
Figura 3 – Alcune specie pirofite del Nord America citate nel testo.

Gli effetti positivi del fuoco

Chi ha avuto la costanza di leggere fino a questo punto si sarà reso conto che gli autori dell’articolo di Scienze circa gli incendi in prateria mantengono un giudizio almeno in parte positivo, il che potrà stupire il lettore abituato da decine d’anni di becera propaganda ambientalistica a considerare qualsiasi azione umana sull’ecosistema come negativa per definizione.

Per capire la posizione degli autori occorre considerare che negli ambienti di prateria l’incendio controllato viene oggi utilizzato per favorire il persistere di specie vegetali e animali che sarebbero altrimenti destinate a scomparire. Un esempio di ciò è reperibile ad esempio nel report “Grassland Management With Prescribed Fire” redatto dal professore di ecologia delle praterie James Stubbendieck e da due coautori (1998) e pubblicato sul bollettino dell’estensione service del Nebraska. In esso si offre una panoramica sull’uso dell’incendio controllato nella gestione delle praterie descrivendone la storia e l’importanza per i vegetali e per l’intero ecosistema.

Conclusioni

Il fuoco è una componente essenziale dell’avventura umana da almeno un milione di anni. Grazie a tale strumento i nostri progenitori paleolitici hanno potuto sopravvivere in un ambiente ostile (si pensi all’Europa durante l’ultima era glaciale) mettendo probabilmente a punto tecniche di vera e propria ignicoltura e cioè di uso controllato del fuoco per la gestione a scopi produttivi del territorio. Con il neolitico l’uso del fuoco è divenuto parte essenziale delle tecniche di gestione del territorio per usi agricoli.

Tali reminiscenze ancestrali possono in qualche misura spiegare l’uso del fuoco a cui tuttoggi assistiamo negli ambienti mediterranei ad estate arida, anche se tale pratica è oggi da considerare ad avviso di chi scrive irrazionale nella gran parte dei casi.

Peraltro la complessa gamma d’usi del fuoco da parte dell’uomo, che và ben oltre il classico uso per l’illuminazione e come fonte di calore per riscaldarsi e cuocere i cibi, giustifica la sacralità attribuita al fuoco dagli antichi, a cui si collega l’osservazione di Carandini (2016) secondo cui è impossibile pensare la storia della cultura greco-romana senza quel simbolo di vita e di potenza: senza fuoco pubblico non si danno né città greche né latine ed in particolare a Roma Il culto di Vesta al Foro sancisce la nascita della città.

L’articolo di Andela et al. (2017) apparso su Science è utile per informarci del fatto che non tutto procede verso la catastrofe e che in varie aree del globo si sta gradualmente affermando una gestione più razionale del territorio.

Un elemento finale di riflessione è costituto dal fatto che l’abbandono del fuoco per la gestione degli ecosistemi non presenta unicamente effetti positivi, tant’è vero che in alcuni ambienti di prateria l’incendio controllato viene oggi utilizzato per favorire il persistere di specie vegetali e animali che sarebbero altrimenti destinate a scomparire. Questo deve abituarci anche all’idea che la natura non possa essere semplicemente abbandonata a sé stessa ma che debba essere viceversa gestita dall’uomo in modo razionale.

Bibliografia

  • Andela N., Morton D.C., Giglio L., Chen Y., van der Werf G.R., Kasibhatla P.S., DeFries R.S., Collatz G.J. Hantson S., Kloster S., D. Bachelet, Forrest M., Lasslop G., Li F., Mangeon S., Melton J.R., Yue C., Randerson J.T., 2017. A human-driven decline in global burned area, Science 30 Jun 2017: Vol. 356, Issue 6345, pp. 1356-1362, DOI: 10.1126/science.aal4108
  • Berna F., Goldberg P., Kolska Horwitz L., Brink J., Holt S., Bamford M. Chazan M. (2012) Microstratigraphic evidence of in situ fire in the Acheulean strata of Wonderwerk Cave, Northern Cape province, South Africa, Proceedings of the National Academy of Science 109 (20): E1215-E1220 (doi: 10.1073/pnas.1117620109).
  • Boyd R., 1999. in “Indians, Fire, and the Land in the Pacific Northwest” OSU Press.
  • Carandini A., 2016. Il fuoco sacro di Roma. Vesta, Romolo, Enea. Laterza, 166 pp
  • Forni G., 1990. Gli albori dell’agricoltura, origini ed evoluzione fino a gli Etruschi e ai Romani, Reda, 1990, 430 pp.
  • Nasa, 2017. NASA Detects Drop in Global Fires https://www.nasa.gov/feature/goddard/2017/nasa-detects-drop-in-global-fires
  • Quinn R.R., 2001. Fire and Agriculture: Historical Perspective to the Present, Invited presentation to NBTT Senior Staffers Workshop, January 24, 2001, Denver, CO(http://www.wrapair.org/forums/fejf/documents/nbtt/QuinnPaper.pdf)
  • Stubbendieck J., Volesky J., Ortmann J., 1998. Grassland Management With Prescribed Fire, University of Nebraska – Lincoln, Extension service, report EC148 http://www.nfs.unl.edu/documents/fireprotection/Ext%20EC148.pdf
  • Wrangham R., 2009. Catching Fire: How Cooking Made Us Human, Basic books https://www.amazon.com/Catching-Fire-Cooking-Made-Human/dp/0465013627#reader_0465013627
  • Watts A., 2017. NASA: Global acreage burned by fire has dropped 24% since 1998, su WUWT https://wattsupwiththat.com/2017/06/30/nasa-global-acreage-burned-by-fire-has-dropped-24-since-1998/
  • Williams, 2003. References on the American Indian use of fire in ecosystems, USDA Forest Service Washington, D.C.
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Published inAttualità

3 Comments

  1. virgilio

    Gran bell’articolo postato da Luigi M., indispensabile da leggere soprattutto in questi periodi in cui nei notiziari mediatici s’elevano pianti, cori funebri e oscuri presagi ad ogni spuntar di fiamma in qualche parte del Pianeta. Riguardo alla cottura dei cibi, citata in un paragrafo, non ne va dimenticata l’importanza a fine sanitario (magari anche inconsapevole). In epoche precedenti gran quantità di individui s’ammalava gravemente o moriva per banali infezioni all’apparato digerente dovuto a cibi contaminati o in stato degenerativo oppure per parassiti coi quali s’entrava in contatto attraverso piante e carni infette o conservate troppo a lungo. Basti pensare alla pratica essenziale della bollitura dell’acqua. Se allo scopo di rinfrescarsi o dissetarsi si raccoglie acqua da fiume, lago o ruscello nei quali è caduta qualche bestia morta, si corre il concreto rischio di restarne avvelenati. Gli istruttori delle “scuole di sopravvivenza” ricordano sempre di controllare accuratamente i corsi naturali a cui in caso d’emergenza si attinge e qualora vi si sospetti qualche materiale impuro raccomandano di bollirne l’acqua prima di utilizzarla. La predilezione umana per infusi in acqua calda di sostanze nutritive erbacee e l’aumentato gusto di carne animale terrestre e ittica posta a cottura ha sicuramente contribuito a sopravvivenza e diffusione della nostra specie.

  2. Alessandro2

    Davvero molto interessante ed istruttivo. Grazie.

  3. Gianni Bellocchi

    Nei giorni scorsi sono passati molti messaggi che hanno messo in relazione il tragico incendio avvenuto in Portogallo con il cambiamento climatico di natura antropica, che aumenterebbe gli episodi di siccità e quindi il rischio di incendi.

    L’articolo di Andela et al. suggerisce una lettura globale differente e mi conferma sull’errore di fondo degli studi di attribuzione di eventi singoli e localizzati (https://wwa.climatecentral.org).

    Ma attendo il conforto di altri commenti.

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