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Climategate, un anno dopo.

E’ trascorso già un anno dal dilagare del Climategate.  Sulla blogosfera, scettica e non, si trovano molti post che ripercorrono quei giorni, per lo più facendo autocelebrazione dell’atteggiamento tenuto e del successo con i propri lettori da un lato, tornando invece a sottolineare lo scarso significato di quanto accaduto dall’altro.

Per quel che riguarda CM, credo non ci sia molto da celebrare, nell’immediatezza dell’evento e nelle settimane a seguire abbiamo detto tutto quello che c’era da dire, comprese le doverose precisazioni di poche settimane fa, quando è uscito l’ultimo report delle commissioni d’inchiesta che hanno indagato sull’argomento. Semmai, credo ci sia parecchio da da tenere a mente.

Ci aiutano a farlo le pagine di Nature, con un editoriale piuttosto interessante cui sono seguiti anche dei commenti altrettanto interessanti e chi vi consiglio di leggere per intero. Il titolo è “Closing the Climategate“.

Il consiglio è d’obbligo, e vorrei lo seguiste prima di proseguire, altrimenti, commentandone come farò tra poco soltanto alcune frasi, meriterei un bel cartellino giallo per condotta ad elevato sospetto di cherry picking. Ma vediamo la prima:

[…] That a study has been through peer review is used too often as a universal defence of its quality. If more scientists were more forthcoming about the flaws in their quality-control system, then commentators and the wider public may have been more willing to accept that scientists engaged in it do not always act as the public would expect[…]

Il fatto che un lavoro passi il processo di revisione è usato troppo spesso come garanzia universale della sua qualità. Se più scienziati fossero consapevoli delle falle del loro sistema di controllo qualità, chi fa i commenti e il pubblico più in generale potrebbero accettare più volentieri il fatto che gli scienziati che vi hanno a che fare non sempre si comportano come ci si potrebbe attendere.

L’argomento è naturalmente quanto emerso dalle mail di Phil Jones che sottendevano la volontà di impedire la pubblicazione di  lavori non allineati al pensiero degli scienziati della CRU. Ora, questo sarà pure un atteggiamento comune ad altri settori della scienza come leggiamo nello stesso editoriale, ma, come dice uno dei commenti, non sono molti i campi dello scibile umano in cui il mainstream scientifico vorrebbe fornire le conoscenze di base per cambiamenti strutturali del modello di società, con implicazioni economiche e sociali davvero enormi. Soltanto questo, dovrebbe richiedere il massimo livello di attenzione perché sia rispettata la pluralità delle opinioni, piuttosto che adeguare il proprio comportamento ad abitudini comunque discutibili. Inoltre, non si deve dimenticare che prima che scoppiasse il Climategate e si scoprissero anche alcune altrettanto discutibili incursioni di letteratura non peer-reviewed nel 4° Rapporto IPCC (quando non di mere opinioni di attivisti), era proprio il mainstream della scienza del clima a trincerarsi dietro il marchio di qualità della letteratura ufficiale. Insomma, quel che ne è venuto fuori, che gli sforzi del CRU-Team abbiano avuto buon esito o meno, è che anche nella scienza del clima vale la vecchia legge per cui per gli amici le regole si interpretano, per i nemici si applicano. Questo sia o no quello che succede normalmente, se si deve discutere del futuro dell’umanità, come questi signori fanno puntualmente nell’abstract e nelle conclusioni di ogni articolo che pubblicano, non può essere accettabile.

Al riguardo, vale la pena ricordare anche un altro “vizietto” dei protagonisti di questa storia, ovvero la scarsa volontà di cooperare mettendo a disposizione tutti ma proprio tutti i dati e le procedure di elaborazione delle pubblicazioni prima e delle richieste di approfondimento poi.

[…] but it is clear that the CRU scientists did not cooperate fully with all requests for data and other information.[…]

Ma è chiaro che gli scienziati della CRU non cooperarono pienamente in occasione delle richieste di dati ed informazioni.

[…] For critics of CRU and their, sometimes legitimate, complaints about data access to be taken seriously, they must be more specific about who should be more open with what, and address their concerns at the correct target[…]

Per i critici della CRU e per le loro a volte legittime rimostranze circa la necessità di prendere sul serio le richieste di accesso ai dati, è necessario che essi siano più precisi circa chi dovrebbe essere più disponibile e su cosa, indirizzando correttamente le loro critiche.

Come sopra. La prima frase contiene una considerazione tutt’altro che banale. Sarà pur vero che dalle inchieste che sono seguite non è stata individuata alcuna condotta a-scientifica, ma è anche vero che che le inchieste sono state molto più pro-forma che altro, altrimenti, come dire, non staremmo qui a parlarne, e soprattutto non leggeremmo niente del genere sulle pagine di Nature, che non è solo la rivista scientifica più autorevole, è anche la più allineata con il mainstream, per dichiarata scelta editoriale. E questo lo capiamo nel secondo periodo messo in evidenza, perché tra quanti hanno partecipato alla discussione sul Climategate, da protagonisti o da semplici commentatori, è arci noto che le critiche e le richieste erano perfettamente indirizzate. Per avere i dati dei lavori di Mann ci sono voluti anni, per quelli di Briffa qualcuno sta ancora aspettando, tanto per fare un paio di esempi.

E infine, ma solo per me perché vi chiedo ancora una volta di leggere l’editoriale per intero, arriva la “torre d’avorio” della scienza del clima:

[…] The UEA hierarchy misjudged the need to respond and the role that Internet blogs now play in seeding stories for the mainstream media. “I won’t worry about it until I hear it on the [BBC Radio] Today programme,” one university official said when pointed to early online coverage at the time. He got his wish a few days later. By then, the Climategate was already swinging off its hinges. […]

La gerarchia della UEA [Università della East Anglia] sottovalutò la necessità di rispondere e il ruolo che i blog svolgono attualmente nell’alimentare il flusso di informazioni verso i media. “Non mi preoccuperò finché non ci sarà la copertura del Today Programme [di Radio BBC]. Desiderio soddisfatto pochi giorni dopo. Per allora, il Climategate stava già dilagando.

Come dire, non l’hanno preso in tempo. E perché? Per eccessiva fiducia in un sistema dell’informazione che evidentemente, per scelta, per pigrizia o per convenienza, garantiva tranquillità. Tanto che proprio in alcune mail abbiamo letto parole di sconcerto per un episodio in cui pare si fosse dato troppo spazio allo scetticismo. Peccato che neanche quel sistema dell’informazione si era ancora accorto di essere stato largamente soppiantato dalla comunicazione dei blog, dal tam tam della rete, dalle voci di quanti, non avendo accesso alla torre, hanno ormai trovato asilo nella blogosfera, raggiungendo in molti casi molte più menti di quanto non riesca a fare la comunicazione tradizionale. Se così non fosse stato, non avremmo visto la maggior parte dei media allinearsi ai blog non appena è stato chiaro che la storia era decisamente ghiotta ed anche molto, molto reale.

Alla fine, come dice lo stesso editoriale, questi signori non hanno fatto certo un gran favore alla credibilità del settore, e poco importa come la faccenda sia venuta fuori. Sì, probabilmente quello perpetrato ai danni dei server della UEA è stato un reato (ammesso che si sia trattato di hackeraggio), e questo può non piacere, ma forse nell’epoca in cui si sanno più fatti da Wikileaks che dai telegiornali -con metodo che nessun benpensante si sogna di censurare- sarebbe meglio evitare di assumere una condotta che possa poi essere oggetto di questo genere di attenzioni, specie se c’è di mezzo, come dicono sempre loro, il futuro dell’umanità.

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Published inAttualitàNews

3 Comments

  1. Maurizio

    Penso a wikileaks, milioni di email “segrete” rubacchiate e rese pubbliche. Il parallelo col climategate mi pare ci stia.
    Ora sono tutti pronti a criticare certi fatti che vengono alla luce tramite questo tipo d’investigazione diciamo borderline.
    Quando si tratta del GW mi pare che l’atteggiamento sia molto diverso. Si dice che le email sono state rubate quindi è come non esistessero (?) e sono da perseguire gli autori del furto e coloro che le utilizzeranno, comunque alla fine quelli coinvolti si auto assolvono in concorso con l’establischment o mainstream che dir si voglia. Nel caso di wikileaks invece il capo riconosciuto dell’organizzazione è “santo subito”, vittima, martire, e forse prossimo nobel per la pace. Tutto quello che viene svelato è sicuramente VERO, la privacy non conta e tanto meno il segreto di stato…

    I governi tremano, altri, forse, tramano, ma probabilmente, lucrano.

    • E’ il primo e ultimo commento che accetterò da parte sua, contenente solo link. Questo sito, come è facile capire andando in giro per i post, promuove lo scambio di opinioni e anche di informazioni (per esempio link). Ci piace molto meno un commento utilizzato *semplicemente* per veicolare links.

      L’admin
      Claudio Gravina

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