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Toh, due pesi e due misure

Quello di Montreal di domenica scorsa e’ stato un gran premio spettacolare. Jella nera della rossa a parte, viene voglia di dar ragione a quel matto di Ecclestone quando dice che si dovrebbero allagare le piste per fare più spettacolo. A parte il dominio incontrastato della safety car, veramente un GP come non se ne vedevano da tempo. Ma c’è sempre la safety car. Procedure di sicurezza dunque per situazioni rischiose.

Chissà se gli editori del PNAS hanno fatto lo stesso ragionamento nel ricevere il manoscritto dell’ultimo lavoro di Lindzen e Choi, giunto a completamento e correzione di una loro precedente pubblicazione che aveva ricevuto un consistente numero di critiche in sede di dibattito scientifico.

Qui la prima pubblicazione sul GRL: Lindzen, R. S., and Y.-S. Choi (2009), On the determination of climate feedbacks from ERBE data, Geophys. Res. Lett., 36, L16705, doi:10.1029/ 2009GL039628

Qui la seconda: Lindzen, R. S., and Y.-S. Choi (2011), On the Observational Determination of Climate Sensitivity and Its Implications. Asian Pacific Journal of the Atmospheric Sciences, in press

I lettori più attenti avranno notato che poche righe fa ho parlato di Proceedings of National Academy of Science (PNAS), mentre l’ultimo lavoro di Lindzen e Choi è in press su un’altra rivista scientifica. E qui sta il succo del discorso.

Prima di arrivarci però, è d’obbligo dire due parole su queste due pubblicazioni perché credo possa essere utile. Le principali determinazioni degli studi condotti da questi due autori rientrano a pieno titolo nel campo dello scetticismo climatico, in quanto testando una serie di modelli climatici con le osservazioni delle temperature di superficie degli oceani nella fascia tropicale e con i dati della radiazione totale uscente al top dell’atmosfera (TOA) misurata dai satelliti Terra (strumento CERES) e ERBE per la stessa area, giungono alla conclusione che i modelli sovrastimino pesantemente la sensibilità climatica, cioè attribuiscano ad un ipotetico raddoppio della concentrazione di CO2 in atmosfera un fattore riscaldante troppo elevato. Il tutto partendo dal presupposto, piuttosto condivisibile, che la maggior parte del feedback relativo alle nubi ed al vapore acqueo svolga il suo ruolo alle latitudini tropicali.

In particolare, stante la nota relazione logaritmica tra la capacità della CO2 di assorbire la radiazione infrarossa e la sua stessa concentrazione, relazione che produrrebbe un riscaldamento attorno ad 1°C della temperatura globale (IPCC 2007), i modelli presi in esame attribuiscono il resto del riscaldamento previsto ad una serie di meccanismi di amplificazione (feedback positivi – primi tra tutti le nubi e il vapore acqueo) che invece potrebbero essere molto meno determinanti ovvero addirittura negativi, ridimensionando di molto ogni preoccupazione per un eccessivo riscaldamento del Pianeta.

Di per se, visto che la prima pubblicazione aveva ricevuto delle critiche anche significative e concettualmente corrette, ben venga un lavoro successivo che si propone di migliorare e/o correggere quanto già scritto, rispondendo quindi alle critiche e alimentando un corretto dibattito scientifico.

Tuttavia, come detto in apertura, gli editori del PNAS hanno pensato bene di fare qualcosa di diverso, ovvero dar vita, qualora se ne sentisse il bisogno, a quella forma di ostracismo verso le pubblicazioni provenienti da ambienti scettici, ancorché rappresentati da eminenti ricercatori, di cui abbiamo tanto sentito parlare ad esempio nelle vicende del climategate, con gli scienziati della Climatic Research Unit della East Anglia impegnati a cercare di controllare il flusso delle pubblicazioni di molte riviste autorevoli.

Questi i fatti. Il PNAS pubblica solitamente due tipi di lavori. Possono essere studi sottomessi direttamente oppure proposti da membri dell’Academy che, in quanto tali, godono di procedure di accettazione/pubblicazione facilitate (pare si chiami pal-review – revisione amichevole). E’ infatti chi presenta lo studio a proporre due revisori, mentre il board della rivista, se non ritiene che la proposta sia accettabile, ne propone altri due che devono comunque incontrare il gradimento di chi presenta lo studio. Ogni membro NAS può portare all’attenzione della rivista quattro lavori all’anno. Come forse è logico che sia, date le predette procedure di referaggio, la stragrande maggioranza di quanto viene poi pubblicato finisce per avere una provenienza interna all’Academy. Accade però che in questo caso la procedura sia stata messa da parte.

Il board della rivista ha giudicato le proposte di Lindzen e Choi non idonee e ha sottomesso il lavoro al giudizio di quattro revisori di cui soltanto due sono stati giudicati parzialmente idonei dagli autori. Il lavoro è stato rifiutato e sono state proposte delle modifiche che Lindzen e Choi non hanno voluto fare, preferendo rivolgersi, ottenendo poi la pubblicazione, ad un’altra rivista.

Coerentemente, nel motivare la decisione del rigetto, l’editore spiega che dal momento che si tratta di un lavoro di cruciale importanza e su cui si è sviluppato un acceso dibattito, il processo di referaggio deve essere più accurato del solito e suggerisce di sottoporlo, cioè coinvolgere nella discussione, anche a chi ha sollevato le critiche allo studio precedente. In pratica, siccome sei scettico ti cambiamo le regole sotto al naso e, consapevoli del fatto che potresti anche avere ragione, chiediamo cosa ne pensa a chi ti ha già dato torto la prima volta. Così, tanto per stare tranquilli.

Ora, se fosse stata mantenuta la procedura standard, su cui comunque ci sarebbe parecchio da dire, cosa avrebbe impedito a chi aveva criticato il primo lavoro di intervenire nuovamente su qualcosa di pubblicato, piuttosto che decidere se dovesse essere pubblicato o meno? Una delle ragioni per cui tizio potrebbe essere meglio di caio, è che tizio non deve avere nessun genere di conflitto di interessi. Trovare in un lavoro qualcosa che ti da torto e poterne impedire la pubblicazione si può dire che rientri nella casistica? E’ meglio che venga discusso apertamente un lavoro che contenga eventualmente degli errori o è meglio correre il rischio che qualcosa di valido e importante sia affogato nella burocrazia del processo di pubblicazione? Forse la risposta a questa domanda dipende da cosa si intende per “rischio”?

Tra l’altro, come scrive Judith Curry sul suo blog, la review del PNAS ha sollevato anche delle motivazioni che possono essere ritenute valide. Forse allora se ci fosse stata la pal-review questo non sarebbe accaduto? Forse allora la procedura va cambiata, ma per sempre, non alla bisogna, altrimenti si rischia di incorrere nell’atteggiamento riassumibile in “la legge è uguale per tutti, ma qualcuno è più uguale degli altri”. Forse ancora, questo farebbe la differenza tra una rivista che svolge il ruolo di vetrina disponibile per gli associati, magari tutti allineati al consenso, e una rivista che si pone l’obbiettivo di pubblicare scienza di qualità, il cui livello è tenuto alto dalla correttezza e imparzialità del processo di revisione.

Ah, ricorrendo sempre alle parole della Curry, ogni volta che si è detto che un certo ambiente scientifico si impegna ad evitare o comunque limitare la pubblicazione di articoli ritenuti scomodi – e questo di Lindzen e Choi certamente lo è – è giunta puntuale la risposta che comunque dei personaggi prominenti del panorama scientifico del clima non avrebbero problemi a veder pubblicati i loro lavori, salvo poi, ove necessario, vederli anche giustamente criticati. Pare non sia questo il caso però.

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Published inAttualità

Un commento

  1. Essendo Proceedings, dovrebbero essere i bollettini dell’attivita’ dell’Accademia, cioe’ degli Accademici. Quindi invece delle ridicolaggini tipo “pal-review” (e del suo altrettanto risibile contraltare, la “rival-review” dove i nemici non fanno passare neanche 2+2=4), dovrebbe passare a un sistema di “initial review” per scremare e migliorare i testi scritti dagli Accademici, seguito poi dalla pubblicazione del lavoro, e dei commenti ricevuti (firmati).

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