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Prezzo del petrolio: Non così male per l’economia

La realtà supera sempre l’immaginazione, e le dinamiche del prezzo del greggio e dell’economia globale non fanno eccezione. Lo so potrà sembrare assurdo e assolutamente contro intuitivo, ma a livello globale le crisi petrolifere, ovvero le fasi in cui il petrolio ha raggiunto prezzi da cardiopalma, hanno sempre finto per essere salutari per l’economia di molti paesi.

Questo sembra scaturisca da una ricerca condotta dall’IMF (Fondo Monetario Internazionale) di cui ci dà notizia Roger Pielke jr:

Oil Shocks in a Global Perspective: Are they Really that Bad?Tobias N. Rasmussen e Agustín Roitman – IMF Working Paper

Possibile? Beh, i dati parlano chiaro. Pur con qualche eccezione, tra cui per esempio l’economia degli USA e quella del Giappone, per la grande maggioranza dei paesi importatori di greggio, quando il prezzo del petrolio cresce, cresce anche l’economia. Questo però vale in particolare per le grandi crisi petrolifere, non per una crescita dei prezzi più graduale. In questo caso infatti si verifica una diminuzione media di mezzo punto percentuale del prodotto interno lordo spalmata nell’arco di 2/3 anni.

Figure 4. Real GDP Growth in Oil Shock Episodes Less Median Growth (1970 – 2010, in percent)

Un concetto difficile da digerire in effetti, perché nei fatti normalmente percepibili dai cittadini, ovvero nella nostra quotidianità, un greggio più caro è sempre un salasso in termini di consumi. Inoltre, ammoniscono giustamente gli autori di questo report, alcuni paesi hanno in effetti sofferto molto gli aumenti del prezzo del greggio e non si possono escudere effetti decisamente più dirompenti in caso di altre future crisi petrolifere. Questo perché se la norma degli ultimi decenni è stata quella di crisi generate essenzialmente dalla domanda, il discorso potrebbe essere molto diverso per un aumento dei prezzi generato da una minore disponibilità, cioè da una contrazione dell’offerta.

E l’Italia? Siamo piccoli nell’istogramma, quarti da sinistra nell’area delle ordinate positive. Cioè le crisi petrolifere hanno provocato nel nostro paese una reazione positiva dell’economia, seppur estremamente limitata (e questa del resto non pare essere una novità).

Bene, per quel che mi riguarda, ho semplicemente riportato la questione. Attendo fiducioso il contributo di qualche lettore più ferrato di me sull’argomento.

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Published inAttualitàNews

4 Comments

  1. MarcoB.

    Le crisi petrolifere o nei tempi passati di altro genere (agricole sociali o commerciali) hanno sempre portato ad un rilancio dell’economia, possiamo considerare una crisi come un’epidemia che si abbatte su una società, colpisce i più deboli, ma lascia i più forti o chi si sa adattare meglio, va tutto bene è sano……..certo che se sei il più debole!!!….

  2. Fabrizio Andreoli

    La butto li, non sarà x caso che l’aumento del prezzo porti a razionalizzazioni che poi, mantenendosi, hanno un effetto positivo sulle aziende?

    • Fabio Spina

      Credo che l’osservazione è giusta in un mondo dove è difficile delocalizzare la produzione in posti dove l’energia (e molti altri fattori) costano meno. Naturalmente all’inizio le razionalizzazioni producono grandi effetti positivo e poi negli interventi successivi decrescono, in Italia questo fu in parte l’effetto della politica dell’Austerity anni 70-80, per quello prendere come riferimento l’anno 1990 per il protocollo di Kyoto è stato un grande errore. Ciao

  3. Il punto è capire qual’è la causa e qual’è l’effetto.
    “I dati parlano chiaro” però non è semplice capire quello che dicono.

    Intanto bisogna vedere se l’oil shock dipende da un aumento del prezzo causato dalla domanda o dall’offerta. Se c’è una diminuzione della quantità di petrolio offerta e quindi il prezzo sale, il danno all’economia sarà certo nel breve, medio termine (meno energia in ingresso, meno produzione in uscita a parità del resto dei fattori – i produttori marginali, più inefficienti sono i primi a uscire dal mercato). Nel lungo termine, la diminuzione dell’offerta e l’elevato prezzo causano un aumento dell’efficienza della produzione e una diversificazione delle fonti energetiche (nuovi tipi di energia, nuovi giacimenti). Quindi la domanda di petrolio tende a scendere in modo sistemico insieme al prezzo (come è successo negli anni ’70 e ’80).

    Se invece il prezzo è guidato da un aumento dei consumi (perché c’è più ricchezza), l’aumento sarà più graduale e la spinta a modifiche sistemiche sarà minore. Inoltre, il prezzo fluttuerà in ragione della ricchezza disponibile per maggiori consumi. In questo caso, un prezzo elevato del petrolio è accompagnato ad un aumento della ricchezza prodotta e quindi ad una crescita economica.

    C’è la terza possibilità: il prezzo del petrolio è aumentato da una inflazione generale della quantità della moneta. C’è un aumento iniziale dell’economia, che spinge in su il prezzo per via di una maggiore domanda indotta artificialmente. Quando cessa l’effetto dello stimolo, l’economia si contrae perché c’è stato un aggregato di consumi ed investimenti superiore a quello che l’economia poteva sostenere e quindi l’economia entra in recessione.

    In generale, argomentare se il prezzo del petrolio è un bene o un male per l’economia a questo o quel livello è banalmente inutile. Se il prezzo è deciso liberamente sul mercato, questo fa bene all’economia, se è causato da decisioni politiche (embarghi, leggi “ecologiste”, etc.) questo fa male.

    Lo studio sembra utile a chi vorrebbe aumentare il prezzo del petrolio con qualche tassa per fare questo o quello. Però sono quelle che fanno male all’economia. Sempre e comunque.

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