E’ d’obbligo cominciare questo post con un disclaimer. Non abbiamo nessuna intenzione di sconfinare in un territorio che non ci è congeniale. Sulle nostre pagine si parla soprattutto di clima e meteorologia. E’ pur vero che nel corso degli anni abbiamo avuto modo di constatare che per molti dei nostri lettori le Scienze della Terra sono il pane quotidiano. E’ dunque a loro che rivolgo l’appello di aiutarci a discutere quanto vi ilusstrerò brevemente nelle prossime righe.
La cronaca degli ultimi giorni è purtroppo occupata interamente dal sisma occorso in Emilia. Movimenti tellurici che non accennano a diminuire di frequenza e intensità. Uno degli aspetti forse più sorprendenti per chi non è addetto ai lavori e soprattutto per le popolazioni colpite, è stata senz’altro la comparsa del fenomeno di liquefazione dei suoli e di eruzione di sabbia spinta verso la superficie dalla pressione del sisma.
Già nell’immediatezza delle prime scosse, ci è stato spiegato che il fenomeno, pur raro, è tipico di quando avvengono movimenti sismici in aree con morfologia come quella della Pianura Padana, ossia nelle piane alluvionali. Sulle pagine di Meteoweb, c’è un interessante articolo che chiarisce piuttosto bene l’argomento, iniziando con il racconto di un evento sismico che per localizzazione e magnitudo si stima sia stato molto simile a quello in corso, il terremoto di Argenta del 1624.
Ma, questa è storia, per molti aspetti anche lontana. Può accadere, con eventi dai tempi di ritorno così dilatati, che si perda la memoria storica e si facciano delle scelte che poi possono rivelarsi sbagliate. Ci sono però delle informazioni molto più recenti delle quali forse si sarebbe dovuto far tesoro. E’ un articolo uscito su Global and Planetary Change con questo titolo:
A study on the effects of seismicity on subsidence in foreland basins: An application to the Venice area – Carminati et al., 2007.
Si parla di fenomeni sismici e loro effetti sull’accelerazione della subsidenza nelle aree già soggette a questo fenomeno. nella fattispecie il focus è sulla città di Venezia, ma nel paper c’è una figura, la numero 2, in cui sono messe in evidenza le zone di possibile sismogenesi nell’area della Pianura Padana centro-orientale. Tra queste c’è Mirandola e la stima della Magnitudo del sisma che si pensava potesse svilupparsi nell’area è di 6,2 gradi della scala Richter.
Il mio commento, che veramente non si può nanche definire tale, lo fermo qui e attendo i vostri.
a proposito di prevenzione….
http://www.galileonet.it/articles/4fc74abd72b7ab4f5b00001a
http://www.galileonet.it/articles/4fc8a6c172b7ab3c01000001
[…] barone, che ringrazio, ha aggiunto un commento al mio breve post sul sisma in Emilia Romagna. Ci ha spiegato cosa si intende per liquefazione delle sabbie. Esattamente quello che […]
per quanto “cinico”, mi sento sulla stessa linea di pensiero di Fabrizio;
aggiungo solo, con grande amarezza, l’aver potuto osservare in questi giorni il proliferare di teorie fantascientifico-complottiste che pseudo esperti hanno propinato in giro (web, giornali e tv) incolpando del sisma via via I MAYA, LE INDAGINI GEOGNOSTICHE finalizzate a ricerche di idrocarburi, ESPERIMENTI SEGRETI del governo USA che addirittura sarebbe in grado di MANIPOLARE IL METEO (!!!!!)….
l’amarezza deriva dal vedere centinaia e centinaia di “tweet”, “mi piace”, “condividi”, etc etc che persone anche di discreta cultura hanno voluto mettere su questi link e simili….
siamo ancora il paese di maghi, stregoni e alchimisti…. perché sperare in qualcosa di meglio?
PS: ho letto l’articolo in inglese dei ricercatori; con molte incertezze derivanti dalle difficoltà di misurazioni e di simulazioni, sostengono che in alcune zone geologicamente predisposte alla subsidenza, eventi sismici possono occasionalmente favorire brusche accelerazioni del processo di subsidenza stesso…. mi sembra più che pacifico e accettabile; la possibile Magnitudo 6.2 indicata su mirandola deriva non da dati storici, ma da modellizzazione (oltre che naturalmente da una profonda conoscenza dell’assetto geologico-strutturale del sottosuolo);
il lavoro è recente, quindi dubito che anche se fosse stato messo “in piazza”, enti e amministrazioni locali avrebbero potuto fare – e fatto – qualcosa in più sulla prevenzione….
oltretutto, si sa, prevenire è peggio che prender voti…..
🙂
Io ho una cosa semplice semplice da dire, a sommi capi sulla questione dei problemi e delle relative soluzioni, visto che non sono esperto di terremoti e leggo con interesse i contributi degli altri.
Dunque: per quanto mi riguarda è chiaro da circa il 2004/2005, cioè da quando è stata pubblicata la mappa di rischio ufficiale, che quasi tutto il territorio italiano è a rischio. Dunque, dal 2004/2005 sarebbe stato legittimo attendersi dalle amministrazioni pubbliche l’inizio di operazioni preventive. Niente. Nel 2009 abbiamo ripreso una sberla e lì mi aspettavo di vedere le amministrazioni pubbliche muoversi. Niente di nuovo. Tutta la polemica verte sul come viene gestita l’emergenza, più qualche ignorante complottista che si chiede perché l’evento non è stato previsto.
Le scuse stanno a zero: anche se poi magari qualcuno vi dice che “ma è colpa delle leggi che non obbligano eccetera” e sarà pure vero, ma è anche vero che le amministrazioni locali sono in grado di fare cose in autonomia. Anche perché non c’è solo la questione diretta delle costruzioni: c’è anche la prevenzione fatta di esercitazioni per il pubblico (che, beninteso, senza scuse relative alle percentuali di rischio, andrebbero fatte in *tutta Italia* perché è ben probabile che qualsiasi cittadino italiano, pur vivendo in una zona che – lasciatemi dire l’assurdo per un attimo – sia a rischio zero, possa trovarsi per ragioni di lavoro o di diletto in Abruzzo, Campania, Friuli, Emilia, eccetera). Tanto per capirci, potrebbero ben essere anche i sindacati a chiedere prevenzione culturale di questo tipo sul posto di lavoro senza aspettare che ci sia una legge.
Invece niente. Neanche i professionisti dell’indignazione si indignano. Questo perché alla fine le colpe stanno davvero in basso: se l’opinione pubblica decide di farsi abbindolare da discussioni su rischi come il riscaldamento globale che sono o basati sul nulla, o che comunque non costituiscono un pericolo *chiaro ed imminente* come i terremoti o le inondazioni che ci possono fregare domani e non tra cinque, dieci o cinquant’anni, be’, cosa devo dire: peggio per voi. Notare che non c’è nessun partito politico che mette la prevenzione sismica nel proprio programma: neanche i grillini, per dire, che sarebbero quelli che ascoltano le esigenze del popolo, altro che i carrozzoni partitici. Questo perché, semplicemente, non c’è richiesta. Tutti sono al più allineati ai no di moda: no agli inceneritori, no alle discariche, no al nucleare, eccetera.
A questo proposito, c’è una cosa che trovo sconcertante. Subito dopo il secondo sisma la discussione si è incanalata sul deposito di gas che avrebbe dovuto essere costruito in zona. Di nuovo qualcuno ha pensato che era opportuno creare una cortina fumogena, indirizzando l’attenzione su una cosa che forse (ma ho detto forse) sarebbe stato rischioso fare, ma che comunque nessuno sinora ha neanche iniziato, piuttosto che si discutesse troppo su cosa è stato già fatto, o non è stato ancora fatto, ma che ha già causato lutti e danni. Ancora: la regione Emilia Romagna si è “vantata” con il classico “l’avevo detto che era pericoloso” a proposito di questo progetto già almeno da 4/5 anni adducendo quei rischi sismici che poi ha contemporaneamente smentito di conoscere quando le è stato chiesto perché non ha fatto prevenzione sugli immobili. Nessun giornalista per ora ha avuto l’idea di fare questa semplice domanda ai politici locali. E non solo ha bloccato il progetto: ha bloccato le indagini geologiche preventive che, chissà, magari effettuate 4 o 5 anni fa avrebbero portato maggiore conoscenza e maggiore consapevolezza del rischio. Complimenti: la stupidità e l’ignoranza al potere, con l’aggravante che gli stessi si vantano invece di essere intelligenti e colti.
Allora, devo dire una cosa dura: il terremoto tenetevelo. E dovunque capiterà il prossimo, anche a casa mia, ce lo siamo meritato.
Il problema della liquefazione delle sabbie è noto a chiunque si occupi di geotecnica. Voglio affrontarlo dal punto di vista ingegneristico, di chi, cioè, progetta le strutture fondali di un manufatto edilizio, ovvero dal punto di vista geotecnico. Lascio gli aspetti geologici veri e propri a chi si occupa di geologia. A vantaggio della comprensione, inoltre, sacrificherò un po’ di rigore tecnico ben consapevole di espormi agli strali dei puristi 🙂 . Me ne scuso in anticipo.
Il mio professore di geotecnica, prima, e ancor più il mio professore di tecnica delle fondazioni, dopo, hanno sempre cercato di mettere in risalto questo fenomeno subdolo e pericolosissimo. Chi progetta un manufatto edilizio deve valutare la possibilità che il complesso terreno-fondazione possa essere soggetto a fenomeni di liquefazione delle sabbie. In Giappone ed in Cina, per esempio, non è raro osservare edifici del tutto integri che, però, si sono parzialmente immersi nel terreno dopo un evento sismico: responsabile di tutto, ovviamente, la liquefazione delle sabbie. Da un punto di vista scientifico con il termine liquefazione si intendono tutti quei fenomeni associati “ad una perdita di resistenza al taglio o ad accumulo di deformazioni plastiche in terreni saturi, di natura prevalentemente sabbiosa, sollecitati da azioni cicliche e dinamiche che agiscono in condizioni non drenate”. Dietro l’aridità della definizione tecnica si individuano tutte le caratteristiche fisiche del fenomeno: terreni di tipo sabbioso, presenza di acqua che occupa tutti gli interstizi tra i granelli (terreni saturi), presenza di forze applicate in modo periodico e dinamico (terremoto, tanto per intenderci), impossibilità per l’acqua di abbandonare le zone interessate dalle sollecitazioni (la cosa non è proprio precisa ma rende l’idea 🙂 ). Il fenomeno, inoltre, interessa strati piuttosto profondi. Esso, infatti, preoccupa in presenza di fondazioni profonde (come i pali, per esempio) e non ha grossi effetti sulle fondazioni superficiali quando la falda freatica è piuttosto profonda (oltre 15 metri dal piano di posa delle fondazioni). I terreni interessati dalla liquefazione, inoltre, sono poco addensati. Con questo termine intendiamo dire che un corpo è in grado di penetrare con una certa facilità al loro interno. Il grado di addensamento di un terreno sabbioso dipende dal numero di colpi necessari per far avanzare di una certa lunghezza un cilindro metallico con punta conica (penetrometro) nel terreno. Semplificando molto: più il terreno è denso, maggiore è il numero di colpi necessario a far avanzare il penetrometro nel terreno. Altro aspetto che influenza la liquefacibilità delle sabbie è la granulometria delle stesse. Detto in soldoni né i limi (sabbie molto sottili), né le ghiaie si liquefano. A liquefarsi, invece, sono le sabbie che hanno una granulometria compresa tra qualche centesimo di millimetro e qualche millimetro. In realtà la valutazione della tendenza a liquefazione di un terreno è molto complessa e richiede indagini di notevole difficoltà tecnica. Gli aspetti legati alla granulometria, per esempio, sono molto più articolati di quelli da me indicati: si determina la curva granulometrica del campione di terreno (difficile da prelevare perché incoerente), si valuta il suo coefficiente di uniformità e, alla fine, la si confronta con dei fusi standard. Se la curva così determinata ricade entro questi fusi la sabbia è soggetta a liquefazione, in caso contrario no.
Riassumendo, quando uno strato di sabbia caratterizzato da un’opportuna granulometria, da uno scarso addensamento e da un’immersione completa in acqua viene interessato da sollecitazioni dinamiche di tipo ciclico e di notevole magnitudo (le onde sismiche, per esempio) i terreni perdono la capacità di resistere a taglio. La capacità di resistere a taglio è strettamente legata all’attrito all’interno del materiale. Di ciò si tiene conto mediante il coefficiente di attrito che, nel caso dei terreni, è legato all’angolo di attrito interno influenzato, a sua volta, dalla granulometria del materiale. In presenza di acqua ed in condizioni non drenate l’angolo di attrito interno tende a zero (come nei liquidi) per cui le capacità dei terreni di resistere alle sollecitazioni dipendono solo dalla coesione (altro parametro fisico meccanico che caratterizza i terreni) che, però, per le sabbie, è molto bassa. In altri termini, in presenza di liquefazione delle sabbie, esse perdono quasi tutte le loro capacità portanti ed i fabbricati e gli altri manufatti posti al di sopra di esse sprofondano. Il motivo per cui le proprietà meccaniche di una sabbia si riducono a zero va ricercato nelle pressioni che si vengono a creare all’interno degli interstizi tra i granelli di sabbia (pressioni interstiziali). Esse sono prodotte dalle deformazioni indotte dalle onde sismiche sui terreni che confinano l’acqua impedendole di defluire. L’acqua è un liquido incomprimibile per cui tali pressioni si trasmettono in ogni punto della massa liquida. In presenza di sabbie poco compatte (sciolte) le pressioni interstiziali possono essere superiori a quelle prodotte dal peso dei materiali sovrastanti (pressioni efficaci)per cui lo scheletro solido costituito dai granelli di sabbia si scompagina completamente e l’attrito si riduce quasi a zero. Il terreno perde consistenza e non è più in grado di sostenere i carichi posti al di sopra di esso. L’acqua in pressione, infine, sfugge lungo eventuali fratture dei terreni e trascina con sè la sabbia che fuoriesce dal terreno formando piccoli vulcani o chiazze come quella visibile nella foto in testa al post.
La zona interessata dagli eventi sismici in Emilia è costituita da depositi sabbiosi di grossa potenza, normalmente consolidati, con granulometria piuttosto critica, completamente immersi in acqua. In presenza di fenomeni tellurici con magnitudo superiore a 5 gradi Richter e di accelerazioni al suolo maggiori di 0,1g (in campo libero) ci troviamo nelle condizioni ideali per assistere a fenomeni di liquefazione. Strano non è il fenomeno; strana è la “sorpresa” che molti evidenziano in questa circostanza. Si tratta, infatti, di fenomeni ben noti, ampiamente documentati nella bibliografia tecnica e consacrati nelle norme tecniche che regolano l’attività edilizia nel nostro Paese. E’ vero che non siamo in grado di elaborare modelli in grado di quantificare in modo completo ed esaustivo il fenomeno, però lo conosciamo piuttosto bene pur senza comprenderlo appieno (niente di nuovo sotto il sole dei … modelli 🙂 ).
Ciao, Donato.
Errata corrige: per un malaugurato lapsus tra 5 e Richter compare la parola gradi. Me ne sono accorto solo dopo aver inviato il commento.
Ciao, Donato.
Ottima segnalazione Colonello. Quell’immagine, che pone la zona di Mirandola come probabile epicentro di un sisma di magnitudo 6,2, parla da sola…
vado di corsa perché sto al lavoro:
poi mi leggero’ con calma l’articolo in inglese…
inizio con una piccola tirata di orecchie per te Guido:
sei ingenuamente incorso nello stesso errore di definizione in cui incorrono da sempre centinaia di giornalisti e affini:
la scala richter misura la MAGNITUDO di un terremoto, non i gradi, che invece sono di pertinenza della scala Mercalli; parlare di “gradi Richter” seppur più facilmente comprensibile, è come dire “un’auto che fa 20 Kg al litro”; non mi dilungo sulle differenze tra Scala Richter e Mercalli, se volete lo approfondiamo in un altro momento, ma internet è piena di spiegazioni;
sul fenomeno di liquefazione delle sabbie, noto da sempre a tutti gli addetti ai lavori (geologi, geotecnici, idrogeologi, ingegneri idraulici, etc), che altro dire, l’articolo linkato lo spiega semplice e facile;
in un documento dell’INGV che risale al 2006, all’indomani di un aggiornamento della carta della pericolosità sismica del nostro territorio, le zone oggi coinvolte dal recente sisma sono nella fascia di pericolosità medio/bassa;
non è mai stato mistero per nessun geologo che la fascia appenninica e di avanfossa sono sempre da tenere sott’occhio e sono zone sismogenetiche, ma dato che la classificazione della pericolosità si fa in base ai dati storici, (che quando risalgono a 3-4 secoli fa vanno comunque dedotti da documenti e testimonianze dell’epoca), non mi sento di colpevolizzare o attribuire a superficialità nella classificazione i danni dovuti all’imprevisto sisma recente;
come al solito, quello che manca in Italia è la cultura della prevenzione;
a volte la malafede ci si aggiunge:
in occasione del sisma del 2009 in Abruzzo, lavoravo in una trasmissione di informazione giornalistica (non è necessario specificare);
sono stato costretto a falsificare (in qualità di operatore grafico) una carta geologica dell’INGV perché il SINDACO di una città nota, non coinvolta all’epoca dal sisma ma vicina, NON VOLLE che si vedesse un grosso sistema di FAGLIE che passava sotto la sua città e che potenzialmente poteva significare rischio futuro probabile;
e così falsificato quel documento tecnico andò in onda sulla rete ammiraglia della TV di Stato, in ossequio al volere del politico di turno…
a voi i commenti…
E meno male che andavi di corsa Max! la prossima volta vai più piano!
🙂